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I problemi sono esplosi dopo l’abbuffata all’Ars e toccano la segreteria. Un partito rimasto senz’anima né elettori

La goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno fino all’orlo è stato l’ennesimo inciucio parlamentare che ha messo il Partito Democratico sullo stesso piano della maggioranza. Tutti insieme appassionatamente per spartirsi i piccioli di una manovra che valeva 800 milioni, di cui 80 di sole mance. Nonostante i distinguo della vigilia – provenienti per lo più da Roma, in forma di auspicio – i deputati dem di Sala d’Ercole hanno partecipato alla sagra e hanno partecipato al maxi emendamento del governo per evitare l’esercizio provvisorio. Ma questa, come detto, è solo una parte del problema. Perché il Pd, pur non governando in Sicilia ormai da anni, non riesce a starsene compatto neppure all’opposizione. In ballo, oltre alle mance, c’è la guida di un partito diviso in aree e contrade: alcune più centrali, come quella della segretaria Elly Schlein e del governatore emiliano Bonaccini; le altre più periferiche, che non mancano di dare il proprio contributo quando si respira l’area dello scisma.

Sabato prossimo l’assemblea dovrà decidere le regole del prossimo congresso: c’è chi reclama il voto nei gazebo, chi solo a beneficio degli iscritti. Ma è in questa diatriba perenne, in questa palese incapacità di distinguersi dalla massa degli altri partiti (specie della destra), che il Pd ha perso la propria centralità negli schemi politici e anche agli occhi dell’elettorato. Che infatti non esiste più. Nell’Isola riemerge di rado, solo di fronte a una chiamata alle armi collettiva (com’è accaduto, in parte, alle ultime Europee). I rappresentanti del territorio, invece, sono ormai privi di qualsiasi riconoscibilità e negli appuntamenti che contano, quando c’è da affidarsi a dei nomi (per perdere?), la scelta ricade su strani e azzardati esperimenti civici. Per questo alle ultime Regionali si è riusciti a candidare un’ex magistrata che l’anno dopo già sguazzava nel partito di Forza Italia (Caterina Chinnici), con cui riusciva a ottenere l’elezione – la terza di fila – a Strasburgo; mentre la partita delle Amministrative, a Palermo e Catania, ha portato a scottarsi due personaggi come Franco Miceli e Fabio Caserta, provenienti da mondi “altri”.

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Sono questioni morte e sepolte, annegate nel mare dell’attualità, ma torna utile rivangarle per comprendere più a fondo il profilo di un partito senza identità. Dove non esistono gli elettori né la classe dirigente, al netto di alcuni reduci dell’Ars. Fra questi, senz’altro, Antonello Cracolici, che ha fatto i numeri per essere rieletto a Palazzo dei Normanni dopo la beffa del Senato, quando il posto di capolista gli fu sfilato da una sindacalista di Genova. Nel Pd, che alle Politiche rimpiazza i propri rappresentanti siciliani con i “paracadutati”, non entra più nessuno. E’ un partito murato che sta ancora scontando gli anni del governo Crocetta, le liti clandestine per la segreteria (ai tempi di Renzi e Faraone), la resistenza di un’area – quella riconducibile alla sinistra più dura – che aspetta il segretario di turno sull’altra sponda del fiume. Per farlo fuori. Mentre il partito non riesce a produrre un’iniziativa che gli permetta di distinguersi: è stato Schifani – che paradosso – a inventarsi lo strumento del reddito di povertà, che sarà pure una manovra populista, con un occhio al clientelismo di massa, ma mette comunque in palio trenta milioni per le famiglie indigenti.

Al Pd sono rimaste poche battaglie e qualche apparizione. Per lo più in estate, alla Festa dell’Unità, e in aula, a Sala d’Ercole, dove da quasi due anni – però – manca il segretario regionale Anthony Barbagallo. Oggi fa il deputato nazionale, e forse per la teoria che più ci si distacca dalle cose e più si riescono ad analizzare con lucidità, è l’unico che emette ogni tanto un gemito d’indignazione. Per la ‘questione morale’, per qualche scandalo insabbiato, per la sanità marcia. L’ultimo gemito, però, ha fatto saltare il banco, perché Barbagallo ha trascinato dentro i suoi stessi compagni. “Promettere utilità come finanziamenti, in cambio di consensi elettorali è un reato grave per il nostro ordinamento giuridico. Andremo in tutte sedi per denunciare distorsioni delle procedure e sperperi di denaro pubblico”. Barbagallo, che si è fatto promotore di un esposto alla Procura e alla Corte dei Conti per denunciare le cattive abitudini della Finanziaria regionale, si riferiva principalmente al governo e al centrodestra, ma le sue parole hanno ferito chi – tra i dem – ha partecipato alla ricca spartizione. A coloro che hanno ottenuto uno strapuntino nel maxi emendamento per finanziare una chiesa o un campo di calcio. A chi si era opposto, sulla carta, al metodo e ha finito per condividerlo.

Nell’immediato post manovra, prima di San Silvestro, il capogruppo del Pd all’Ars, dichiarando il voto contrario alla Legge di Stabilità, aveva rivendicato il lavoro dei colleghi “per inserire quantomeno alcune misure che riteniamo necessarie, ad iniziare dal finanziamento per il trasporto pubblico degli alunni e dei disabili, il potenziamento dei fondi per i Comuni, l’aumento della percentuale del bilancio regionale destinata al sostegno dei soggetti autistici. Abbiamo inoltre potenziato gli interventi previsti contro la crisi idrica – aveva aggiunto Catanzaro – sui quali comunque era necessario agire con maggiori strumenti, e inserito alcune misure utili a sostenere la crescita, come l’abbattimento degli interessi sui prestiti per l’acquisto di beni durevoli”.

Ma è evidente che sia troppo poco, e che non costituisce un plus valore rispetto alla Finanziaria approvata in Assemblea, subito divenuta oggetto di scherno a livello nazionale. Come fai a giustificare la presenza di 1.200 voci di spesa, più che parcellizzata, se sei un partito dell’opposizione? Né il Pd né i Cinque Stelle hanno preso le distanze da questo marchettificio mascherato – i soldi non andranno direttamente alle associazioni ma ai sindaci amici – né l’ha fatto il gruppo di Cateno De Luca, che anzi ha elogiato l’azione dei deputati del Pd, con un’ingerenza che appare tanto strana quanto ingiustificata per le dinamiche interne di un partito “concorrente”: “Solidarietà ai deputati dell’Ars del Pd per le goffe affermazioni del loro segretario Barbagallo che addirittura ha annunciato di denunciarli alla Corte dei Conti – ha scritto De Luca in una nota – Siamo davanti a esternazioni deliranti che mostrano lo stato politico-confusionale del segretario del Pd siciliano che ha deciso di fare una mera sceneggiata sulla finanziaria denigrando anche l’intenso lavoro fatto dalle opposizioni, con in testa proprio i deputati del Pd. Con ogni probabilità su imposizione di Roma. Barbagallo del resto non è nuovo a questo modus operandi, per lui parla il risultato deludente del Pd in Sicilia alle ultime europee, il peggior risultato in Italia dei democratici”.

Il peggior risultato del Pd in Italia, alle Europee, è corrisposto al miglior risultato del Pd Sicilia da un po’ di tempo a questa parte. Questioni di prospettiva. Ad ogni modo, come se non bastasse la spaccatura interna al partito, è arrivata la dissacrante invettiva di Scateno, che del Pd, a un certo punto, sembrava diventato un riferimento. Evviva la confusione. Degli elettori democratici, o presunti tali





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