Toscana troppo cara, i brand della moda di lusso ora guardano alle «zone speciali» di Campania e Abruzzo

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di Silvia Ognibene

Con gli sgravi fiscali lì un lavoratore costa il 30% in meno

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Per quanti controlli si facciano, è oggettivamente complicato riuscire a sorvegliare in modo efficace una filiera di subfornitura estremamente variegata e frammentata. Ma affidarsi ai terzisti non è l’unico modo per produrre. Si potrebbe far ricorso a dipendenti diretti, evitando così di incappare in fornitori poco rispettosi delle regole.

Secondo gli esperti, la scelta dei brand di fare ricorso alla subfornitura per la parte preponderante della produzione di beni di lusso è una strategia precisa che ha come obiettivi mantenere i costi bassi e gestire la domanda




















































I brand del lusso sono legati ai loro fornitori artigiani da semplici accordi commerciali e questo consente, appunto, di gestire la domanda perché se il mercato chiede meno, semplicemente al fornitore si chiede di consegnare meno pezzi, scaricando il rischio interamente sulle sue spalle. In altre parole, se i volumi sono in calo e c’è meno lavoro, è il terzista a doversi fare carico della gestione del personale in esubero (con il ricorso agli ammortizzatori sociali o ai licenziamenti) e dei riverberi sul conto economico. In questo modo i brand non rischiano nulla. 

Sul secondo aspetto, cioè mantenere bassi i costi, un protagonista del distretto fiorentino della pelletteria, che preferisce rimanere anonimo, spiega: «Il costo aziendale di un dipendente in Francia è di 2 euro al minuto, in Italia è di 1,5 euro al minuto. Ai terzisti vengono corrisposti dai brand 0,50-0,55 euro al minuto, ovvero un terzo rispetto al costo di un dipendente. Per un terzista, al quale si chiede anche di investire e rispettare tutte le regole e le normative e i codici di condotta, per sopravvivere servono almeno 0,6 – 0,7 euro al minuto. I brand, a seguito delle inchieste milanesi, stanno cercando di scaricare le responsabilità sugli ispettori che hanno condotto gli audit, che lavorano per ditte esterne. Ma è ovvio a chiunque abbia voglia di fare due semplici conti che se paghi quelle cifre è impossibile che i tuoi fornitori rispettino tutte le regole: è lampante».

Fra le tattiche adottate dai brand per ridurre i costi c’è anche quella di cambiare fornitori. Un rischio molto elevato per la Toscana. Prosegue la fonte: «Ormai, dopo gli ultimi episodi emersi a seguito dell’attività della procura di Milano, si è scatenata una sorta di ‘caccia al cinese’: i brand tendono a non dare più commesse ai laboratori a conduzione cinese».

Ma chi spera che questa strategia, insieme alla crisi di mercato che richiede volumi largamente inferiori rispetto al periodo post-Covid, possa servire a «ripulire» la filiera, rischia di rimanere deluso: «La Toscana è troppo cara, chi rispetta le regole non ce la fa con i prezzi che vengono pagati per produrre le borse. Poiché è sempre più complesso ricorrere alla manifattura cinese a basso costo, i brand stanno facendo importanti insediamenti nelle regioni del Sud, soprattutto in Campania e in Abruzzo dove possono beneficiare delle Zes, le zone economiche speciali istituite su impulso del Governo per rilanciare quei territori. Gli sgravi fiscali fanno sì che un dipendente costi il 30% in meno rispetto alla Toscana. E si lavora in fabbriche nuove, perfettamente rispettose di ogni norma. I dipendenti accettano di lavorare percependo il minimo tabellare che è di circa 1.200- 1.300 euro al mese. Contando gli sgravi, un lavoratore costa circa il 50% in meno rispetto alla Toscana dove un lavoratore pretende almeno 2.000 euro al mese, altrimenti non accetta. Comprensibile visto che qui, soprattutto a causa del costo proibitivo della casa, con meno è impossibile campare. Al contrario, in Abruzzo e in Campania con 1.300 euro al mese si vive dignitosamente. Per questo insieme di fattori la Toscana rischia seriamente di assistere a uno smottamento della sua manifattura».  

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4 gennaio 2025 ( modifica il 4 gennaio 2025 | 08:04)

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