GIURISPRUDENZA
Autore: Bianca Pascotto
ASSINEWS 370 – Gennaio 2025
La vendita di una polizza non funzionalmente collegata al prodotto finanziario non è vietata, ma attenzione se si tratta di una pratica commerciale sleale
È finita al cospetto della Corte di Giustizia Europea1 la vicenda che ha interessato la Compass Banca Spa e l’AGCOM, con una articolata decisione la cui soluzione finale pare offrire due antitetiche soluzioni.
La concessione di un mutuo o di un prestito personale, se vestiamo i panni di Paperino e non quelli di Paperon De Paperoni, è sempre subordinata alla stipula di una polizza che garantisce l’ente mutuante dal rischio di mancato pagamento delle rate in caso di eventi che colpiscono il nostro marinaretto.
La vendita abbinata di un prodotto finanziario e di un prodotto assicurativo è una pratica ammessa e del tutto legittima, la cui disciplina ha visto un prima e un dopo con la Direttiva 2016/97 (IDD), recepita in Italia da norme primarie – art. 120 quinquies del Codice delle assicurazioni – e da norme secondarie, Reg. Ivass n. 40 e 41 del 2018.
L’impatto che tali vendite abbinate producono del portafoglio del nostro Paperino è evidente e la tutela improntata dal legislatore, sia europeo che italiano, prevede per l’intermediario un obbligo di massima informazione e trasparenza. In difetto di ciò, vengono sanzionate e vietate tutte quelle condotte volte a “plagiare” il consumatore mediante condizionamenti, suggestioni e pressioni dirette a far sottoscrivere slealmente il pacchetto 1+1 (finanziamento e polizza) o comunque di stipularlo in assenza di una decisione consapevole.
La Corte di Giustizia, dunque, è stata chiamata dal Consiglio di Stato a fornire la corretta interpretazione delle Direttive 2005/29 e 2016/97, in relazione alle norme del Codice del Consumo (art. 20) e del Codice delle assicurazioni private (art. 120 quinquies), sottoponendole 5 quesiti pregiudiziali.
Il caso
La Compass Banca spa, nel periodo tra il 2015 ed il 2018, ha fatto sottoscrivere ai propri clienti dei contratti di finanziamento personali e dei prodotti assicurativi che, pur non collegati funzionalmente, venivano proposti in abbinamento al finanziamento.
L’AGCOM ravvede in detta condotta una pratica commerciale sleale e avvia il procedimento amministrativo.
La Compass presenta una proposta contenente degli impegni volti a precisare con maggior chiarezza, la non obbligatorietà della sottoscrizione del contratto assicurativo e la previsione del diritto di recesso del cliente del tutto incondizionato ed ininfluente rispetto al finanziamento.
L’AGCOM non considera detta proposta accettabile e richiede che debba prevedersi la concessione di un lasso di tempo pari a 7 giorni tra la sottoscrizione del contratto di finanziamento e del contratto di assicurazione, quale periodo di riflessione necessario a favore del consumatore.
La Compass ravvista detta misura sproporzionata e gravemente limitante rispetto alle normali regole di mercato dei suoi competitors e propone altra soluzione consistente nel richiedere ai propri clienti l’espressa conferma della polizza dopo i 7 giorni dalla sua sottoscrizione, assumendosi il costo della polizza relativo a questo lasso temporale.
La proposta non incontra il benestare dell’AGCOM e, ritenuta condotta aggressiva ai sensi del Codice del consumo, applica una sanzione di € 4.700.000 e vieta la continuazione della pratica commerciale in essere.
Compass ricorre dapprima al TAR del Lazio, che respinge il ricorso e successivamente al Consiglio di Stato, per l’annullamento della decisione, sostenendo che l’autorità di vigilanza ha “etichettato” come sleale la vendita abbinata senza fornirne prova alcuna.
In appello l’AGCOM deduce che la vendita abbinata è stata condotta con metodologie coercitive e aggressive, condizionando e limitando la libertà di scelta dei consumatori, circostanza che non si sarebbe prodotta se la Compass avesse concesso un tempo ragionevole (pari a 7 giorni) per una libera decisione del consumatore.
Per la soluzione della vertenza il Consiglio di Stato si rivolge alla Corte di Giustizia, ponendole 5 quesiti pregiudiziali volti a chiarire l’interpretazione delle Direttive da applicarsi nel caso concreto ed in particolare chiede di precisare se ed in quali termini le norme sovranazionali possano (i) da un lato giustificare/ legittimare le azioni adottate dall’AGCOM e (ii) dall’altro possano definire pratica commerciale sleale e/o aggressiva la mera vendita abbinata di un prodotto finanziario e di un prodotto assicurativo, addossando al solo intermediario il difficile onere di fornire la prova contraria.
La decisione
La sentenza, lunga ed articolata, analizza i 5 quesiti, richiamando e confrontando la normativa sovranazionale e quella nazionale. Si tralascia l’analisi dei quesiti n. 1, che attiene alla definizione di consumatore medio e n. 5, in quanto di fatto assorbito dal quesito n. 2.
Quesito n. 2
Il giudice del rinvio (Consiglio di Stato) chiede di accertare se la vendita abbinata (il cosiddetto framing che nella sentenza viene tradotto in italiano come pratica di incorni ciamento) “possa essere considerata in ogni caso aggressiva ai sensi della Dir. 2005/29 ed essere quindi contraria per questa sola ragione alla stessa (direttiva ndr)”.
La Corte lussemburghese ricorda che le pratiche commerciali definite “sleali”, come disciplinate nella Direttiva 2005/29, sono di due tipi:
- pratiche commerciali ingannevoli previste nella Sezione 1;
- pratiche commerciali aggressive previste nella Sezione 2.
Ora, senza entrare nel complesso dettaglio della direttiva 2005/29, la Corte giunge ad affermare che la pratica commerciale “consistente nel proporre simultaneamente al consumatore un’offerta di finanziamento personale e un’offerta di un prodotto assicurativo non collegato a tale finanziamento non costituisca una pratica che può essere qualificata come pratica commerciale in ogni caso aggressiva o come pratica commerciale in ogni caso sleale ai sensi direttiva”.
Nel caso di specie, la mancata concessione al consumatore di un “tempo di riflessione” come pretesa dall’AGCOM, non implica di per sé che detta vendita possa esser definita aggressiva o attuata con metodi coercitivi.
Allora quando la vendita abbinata potrà definirsi aggressiva?
Quando ai sensi dell’art. 8 della direttiva, indipendentemente dalla mancata previsione del periodo di riflessione, l’intermediario abbia fatto ricorso a molestie, a coercizioni o ad un indebito condizionamento con l’intento di falsare la libera decisione del consumatore.
In assenza di tali condotte la vendita abbinata, però, potrebbe comunque rientrare nel novero delle pratiche commerciali sleali se la condotta dell’intermediario soddisfi le condizioni previste dagli art. 6 (azioni ingannevoli) e 7 (omissioni ingannevoli) della direttiva.
Quesito n. 3
Con il terzo quesito si chiede se la direttiva 2005/29 vieti ad una autorità nazionale, una volta accertato il carattere aggressivo o anche solo sleale di una pratica commerciale adottata da un professionista, “di imporre a tale professionista di concedere a detto consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date della firma del contratto di assicurazione e del contratto di finanziamento”.
Anche in questo caso la Corte fornisce un parere positivo, partendo dall’assunto di cui al quesito n. 2, ovvero che la semplice vendita abbinata in quanto tale non è una pratica commerciale né aggressiva, né sleale.
Gli Stati membri possono imporre obblighi o limiti più restrittivi rispetto alle normative unionali, ma la Corte ricorda che dette capitis deminutio devono essere sempre applicate nel rispetto della certezza del diritto e dunque afferma che “la direttiva 2005/29, osta (vieta ndr) a che un’autorità nazionale possa stabilire, al fine di tutela dei consumatori un obbligo generale o preventivo di rispettare un determinato periodo di riflessione in caso di pratica commerciale consistente nel presentare simultaneamente un’offerta di prodotto assicurativo e un’offerta per un contatto di finanziamento qualora né un siffatto obbligo né la competenza di una tale autorità ad imporre un siffatto obbligo siano stati espressamente previsti dalla normativa nazionale”.
Ab contraris, la norma nazionale non viola la Direttiva CE nel caso in cui preveda sanzioni o limitazioni all’esercizio di una pratica commerciale ove sia accertato il carattere aggressivo di quest’ultima.
La Corte poi sposta l’angolo della sua visuale, posizionandosi dal lato dell’intermediario.
Se infatti la Direttiva è tesa a combattere l’esercizio scorretto dell’attività imprenditoriale, è altrettanto vero che la norma vieta agli Stati membri di limitare la libera prestazione di servizi.
È, dunque, necessario valutare anche il criterio di proporzionalità da applicare tra la tutela del consumatore e la libertà d’impresa, ragion per cui l’imposizione del “tempo di riflessione” tra la sottoscrizione dei due contratti, trova giustificazione solo quando sussista la prova dell’attività aggressiva e/o sleale e “non esistano altri mezzi altrettanto efficaci per porre fine a tale pratica che siano meno lesivi della libera prestazione di servizi e della libertà d’impresa del professionista interessato”.
Quesito n. 4
Il quarto quesito affronta le problematiche ut supra (carattere aggressivo della vendita abbinata e necessità del tempo di riflessione) alla luce della Direttiva 2016/97 UE.
La nota direttiva sulla distribuzione assicurativa non si occupa di pratiche commerciali sleali, ma all’art. 24 impone ai distributori assicurativi alcuni obblighi particolari.
Il quesito rivolto alla Corte è diretto a chiarire se la Direttiva IDD consenta ad una autorità nazionale (AGCOM), in caso di vendita abbinata di un prodotto finanziario e di un prodotto assicurativo non connesso al primo, di adottare un provvedimento che imponga all’intermediario “di concedere al consumatore uno spatium deliberandi di 7 giorni fra la formulazione della proposta abbinata e la sottoscrizione del contratto assicurativo”.
L’art. 24 del paragrafo 3 della IDD, l’unico paragrafo della direttiva preso in considerazione dal Consiglio di Stato, prevede che se il contratto assicurativo è accessorio rispetto ad un altro prodotto o servizio, l’intermediario assicurativo ha l’obbligo di offrire al cliente la possibilità di acquistarlo separatamente.
Detto paragrafo non impone all’intermediario l’adozione altre o diverse condotte più o meno restrittive in caso di vendita abbinata e non crea alcun collegamento tra l’obbligo di proporre l’acquisto separato dei beni offerti al consumatore e l’adozione di una condotta “leale”.
Gli stati membri sono sempre liberi di adottare delle misure aggiuntive, supplementari o maggiormente restrittive rispetto agli obblighi imposti dalla normativa unionale e possono anche vietare la vendita abbinata, quando ravvisano che l’intermediario abbia attuato una condotta dannosa per il consumatore (paragrafo 7 dell’art. 24), ma questi ulteriori obblighi possono applicarsi solo a due condizioni:
- quando il contratto assicurativo è il prodotto principale rispetto ad un prodotto e/o servizio accessori e
- quando entrambi sono offerti al consumatore come una unica proposta contrattuale.
Dal momento che il giudice del rinvio non ha fatto esplicito richiamo al paragrafo 7, il caso de quo va ricondotto al solo paragrafo 3, che contempla quale “minimo impegno” richiedibile all’intermediario assicurativo, l’obbligo di offrire separatamente l’acquisto dei beni e/o servizi.
Siccome nel più sta il meno e siccome il paragrafo 3 non impone all’autorità nazionale (AGCOM) di porsi un limite rispetto ai poteri concessi in caso di condotta aggressiva o sleale, la Corte interpreta l’art. 24 nel senso che la Direttiva permette “che una autorità nazionale esiga dal professionista la cui pratica commerciale di incorniciamento (vendita abbinata ndr) è considerata aggressiva … che per porre fine a tale pratica conceda al consumatore un periodo di riflessione ragionevole tra le date di sottoscrizione dei contratti di cui trattasi”.
Se per i quesiti n. 2 e 3 l’approdo della Corte è in sostanza a favore dell’intermediario o, più correttamente, interpreta la Direttiva come ostativa a considerare pratica aggressiva o sleale la vendita abbinata, come pure all’applicazione dei 7 giorni quale tempo di riflessione a favore del consumatore, con il quarto quesito si sposta l’ago della bilancia che ora pende a sfavore dell’intermediario.
A quest’ultimo, pertanto, può esser richiesta l’adozione di una condotta che preveda di concedere al consumatore un tempo di riflessione quando, ovviamente abbia posto in esser una condotta illecita ai danni del consumatore.
1 Corte di Giustizia Europea 14 novembre 2024 C-646/22
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