Quanto è cambiato il lavoro? Poco, resta fragile: dal precariato ai salari. Ma oggi l’orizzonte di un cambiamento è più lontano

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Com’è cambiato il lavoro dall’Unità d’Italia a oggi? Come si sono modificate le sue molteplici forme, la sua rappresentazione pubblica, la sua gestione politica e il relativo inquadramento giuridico nel corso dei decenni fino ai tempi odierni? E’ il centro di Il lavoro in Italia. Un profilo storico dall’Unità a oggi (Carocci), scritto da Manfredi Alberti, ricercatore di Storia del pensiero economico al Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni internazionali dell’università di Palermo e già autore di Senza lavoro. La disoccupazione in Italia dall’Unità a oggi (Laterza, 2016).

Per quanto per uno storico sia sempre difficile inoltrarsi sul terreno della stretta attualità e soprattutto ragionare sugli scenari futuri, l’autore spinge la sua analisi fino a oggi, constatando che il lavoro, nel suo insieme, è molto fragile, ed è questa la ragione per cui si può parlare di una nuova questione sociale. Alberti sottolinea il tema del lavoro precario, le nuove forme di povertà, la questione salariale, il problema degli incidenti mortali sul lavoro e quello del caporalato. Enfatizza inoltre l’affievolimento, se non la scomparsa, di un orizzonte di cambiamento per il miglioramento delle condizioni di vita e benessere di chi lavora. Evidenzia poi la necessità di fuoriuscire dalle gabbie della retorica della destra populista che, nel passato come oggi, non agisce nell’interesse della parte lavoratrice. Piuttosto, l’autore preme sul bisogno di promuovere una riorganizzazione delle forze politiche e sindacali che hanno a cuore i temi della democrazia economica e del lavoro. Questa appare come premessa ineludibile per intraprendere un percorso trasformativo che ponga al centro l’interesse della costellazione di soggettività che compongono il mondo del lavoro salariato. Come spicca nel corso di tutto il libro, le lotte di chi lavora risultano essere storicamente al cuore di ogni cambiamento significativo.

Benché l’autore metta al centro del suo libro “i lavoratori salariati e dipendenti, ma anche gli autonomi non distanti dai primi per status socioeconomico (si pensi a quelli che furono i ceti medi contadini oppure, per venire ai nostri giorni, al variegato mondo dei piccoli esercenti o del popolo delle partite Iva”), lo fa cercando di rendere un’immagine più complessa del lavoro e della sua storia come fatto sociale. Per questa ragione il libro non manca di considerare questioni dirimenti legate all’analisi politica nazionale, a una riflessione sull’inserimento dell’Italia all’interno di un contesto globale, alla centralità delle prospettive di genere e generazionale.

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Il profilo storico fornito è assolutamente puntuale e Alberti conduce abilmente il lettore attraverso le grandi fasi della storia economica e politica italiana. Contemporaneamente, fa alcuni approfondimenti tematici che forniscono lenti utili per comprendere quali sono le urgenze che muovono una ricerca storica sul lavoro in Italia: la lunga durata dell’instabilità lavorativa; la continua presenza della disoccupazione; il trattamento differenziale in rapporto a genere ed età; l’inefficacia del welfare.

Dall’analisi dell’autore emerge una forte persistenza di forme di lavoro instabile e di una diffusa pluriattività durante ogni momento della storia del paese. In particolare, spicca la costante tendenza datoriale verso una massimizzazione dei profitti che si fonda sull’intensificazione dei ritmi produttivi e sulla minimizzazione dei costi. Ciò implica la ricerca di manodopera al più basso costo possibile. Questa forza lavoro è sempre composta dalle parti sociali più vulnerabili e minacciabili. Ciò avviene nell’Ottocento ma pure negli anni Settanta del Novecento, anche se allora si articola una progettualità politica di inquadramento giuridico del lavoro stabile come punto d’arrivo condiviso. Questa direzione è simboleggiata prima di tutto dallo Statuto dei lavoratori ed è resa possibile dalla forza di un movimento operaio capace di generare conflitto distributivo. Ciò, comunque, non annulla la presenza di ampi margini di lavoro non stabile, si pensi al lavoro a domicilio che, non a caso, coinvolge soprattutto le donne. Donne che – come ben sottolinea l’autore – hanno sempre lavorato tanto all’interno quanto all’esterno delle mura domestiche, a prescindere dalla loro costruzione sociale e politica in quanto mogli e madri. Non sono mai state solo questo né mai lo saranno.

Il lavoro precario attraversa in vario modo tutta la storia italiana, con diversa intensità e coinvolgendo in misura maggiore soggetti marginalizzati e con minore potere sociale come le donne, i giovani, i migranti. Condizioni di lavoro e di vita precarie assurgono a sistema comune (che mantiene delle differenze al suo interno in rapporto ai generi, alle classi sociali, alle provenienze) tramite i processi di flessibilizzazione degli anni Ottanta e Novanta, che danno ufficialmente legittimità politica a una dinamica di lunga durata. A ciò si lega anche una cruciale riflessione sulla disoccupazione. L’autore sottolinea quanto sia necessario ripensare le modalità con cui si combatte questo fenomeno. In particolare, non appare efficace concentrarsi sulla deregolamentazione del mercato del lavoro ma è necessario far crescere gli investimenti pubblici e privati, in modo da dare nuovo impulso alla domanda di lavoro. Quest’ultimo appare come il metodo che ha ottenuto risultati migliori nel corso del tempo. Inoltre, devono essere affrontati i grandi problemi strutturali che hanno da sempre caratterizzato il mercato del lavoro italiano, come la disoccupazione giovanile, che diventa un tema negli anni Settanta ma che può essere solo in parte dovuta a cause contingenti come la questione demografica legata al baby boom. Quest’ultima non basta a spiegare la presenza della disoccupazione tra i giovani già negli anni Cinquanta e la sua recrudescenza oggi. È più probabile che abbiano concorso varie concause come la mancanza di un welfare universalistico che permetta di sostenere la ricerca di un lavoro e lo scarso dinamismo tecnologico dei sistemi produttivi italiani. In generale, il libro di Alberti permette di osservare criticamente un passato su cui si fondano le numerose questioni critiche che ancora caratterizzano il lavoro in Italia oggi.



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