la doppia cittadinanza di Abedin, l’estradizione e il ruolo della Svizzera

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Teheran, in una cella del famigerato carcere di Evin, dove il regime rinchiude e tortura gli oppositori e i dissidenti, una giornalista italiana di 29 anni, Cecilia Sala, è rinchiusa da dieci giorni senza che ancora sia stata formulata un’accusa. Spostandosi verso Ovest, a 4.500 chilometri, Mohammad Abedini Najafaldi, ricercatore, doppia-cittadinanza svizzera e iraniana, è detenuto nel carcere di Opera, a Milano: è stato arrestato a Malpensa, il 16 dicembre, dopo essere sceso da un volo proveniente da Istanbul. È accusato di associazione a delinquere con finalità di terrorismo. Gli Usa hanno formalizzato la richiesta di estradizione: deciderà la Corte d’Appello di Milano. Questa svolta però potrebbe complicare uno dei piani per riportare a casa la reporter. Ieri sera il Dipartimento di Stato degli Usa ha spiegato: «Gli Stati Uniti seguono molto da vicino il caso dell’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala. Siamo a conoscenza delle notizie sulla detenzione in Iran, il cui regime sfortunatamente continua a detenere ingiustamente i cittadini di molti paesi, spesso per utilizzarli come leva politica. Non c’è giustificazione e dovrebbero essere rilasciati immediatamente».

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Cecilia Sala e la “diplomazia degli ostaggi”, chi è l’iraniano Abedini fermato a Malpensa: il presunto legame con l’arresto della giornalista

Sull’arresto di Abedini la procura di Milano ha aperto un’indagine conoscitiva (modello 45, senza indagati e senza ipotesi di reato): colpisce la rapidità del fermo. Il tribunale del Massachusetts ordina l’arresto il 13 dicembre, la polizia italiana esegue il mandato già il 16 dicembre, dunque dopo soli tre giorni. Il mandato di cattura internazionale ipotizza che Abedini abbia fornito tecnologia occidentale ai Pasdaran (per Washington organizzazione terroristica) aggirando le leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. La tecnologia che Abedini, insieme ad un altro iraniano arrestato negli Usa, ha ceduto ai Pasdaran è stata utilizzata in un drone che in Giordania ha ucciso soldati americani. Cecilia Sala è stata prelevata dalle forze di sicurezza iraniane nel suo hotel tre giorni dopo l’arresto di Abedini: appare evidente il rapporto di causa ed effetto. Teheran chiede la liberazione del ricercatore e sta usando Cecilia Sala, che pure aveva un visto giornalistico e aveva rispettato tutte le condizioni poste dalle autorità di Teheran per realizzare i suoi podcast in Iran, come merce di scambio. La popolarità della reporter italiana per Teheran è un elemento positivo, perché rende più efficaci le pressioni sull’opinione pubblica. Da giorni c’è una trattativa diplomatica in corso, che coinvolge anche gli Usa, che hanno chiesto l’estradizione di Abedini.

PERCORSI

Uno dei piani su cui si sta lavorando è raffinato, ma dall’esito incerto. Coinvolge Ministero della Giustizia, Farnesina e intelligence e punta a sfruttare la doppia cittadinanza di Abedini, consentendo l’estradizione sì, ma in Svizzera dove, a quel punto, difficilmente sarebbe destinato ad essere consegnato agli Usa. Si tratta di un percorso ad ostacoli: gli Usa accetterebbero questa concessione a Teheran, dopo che l’Italia è stata particolarmente solerte nell’eseguire il mandato di arresto internazionale? E va soppesata la posizione della Svizzera. Infine, c’è un elemento che preoccupa: per mettere in moto un meccanismo così complesso, servirà tempo, e Cecilia Sala rischia di restare nel carcere di Evin per molti – troppi – giorni. Non solo: la conferma che gli Usa hanno formalizzato la richiesta di estradizione rischia di fare saltare il tavolo. Ma perché Mohammed Abedini Najafabadi è al centro di un intrigo internazionale di cui sta pagando ingiustamente le conseguenze Cecilia Sala? La corte federale del Massachusetts, da cui è partito l’ordine d’arresto, lo indica come fondatore della Sdra, una società iraniana che fornisce moduli di navigazione ai droni militari dei Pasdaran. Per eludere i divieti di cedere tecnologia americana, Abedini ha creato una società di facciata, una scatola vuota, nel 2019, chiamata Illumove con sede nell’Innovation Park del Politecnico federale di Losanna. Al radiogiornale svizzero il Politecnico ha confermato che Abedini ha svolto un dottorato “post doc” presso l’ateneo nel 2022, mentre la Illumove non svolge alcuna attività, è solo un indirizzo postale. Dunque, secondo l’accusa, quella scatola vuota serviva ad alzare una cortina fumogena per dissimulare l’invio dei componenti tecnologici in Iran. Abedini si è laureato alla Sharif University of Technology di Teheran, l’ateneo iraniano più prestigioso nel settore della tecnologia. Nel 2019 si è trasferito a Losanna per il dottorato all’Epfl. Dice il suo avvocato, Alfredo De Francesco: «Il mio assistito respinge le accuse, è stupito, non capisce i motivi dell’arresto e la sua posizione è meno grave di quanto sembra». La Digos ha sequestrato documenti e computer. Resta una domanda: perché ha fatto scalo a Malpensa? Appare plausibile che il suo viaggio fosse iniziato a Teheran per poi prendere a Istanbul il volo di connessione verso l’Italia. Ma perché la destinazione era l’aeroporto milanese, se l’uomo vive a Losanna, quindi a 8 ore di treno e quasi 4 di macchina? Non avrebbe avuto più senso andare direttamente a Ginevra?

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