Clima, debito e poveri. Quello di Francesco è un Giubileo “politico”

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Papa Francesco ha chiesto alla comunità internazionale tre azioni concrete per dare un senso all’anno giubilare: condonare il debito dei paesi poveri, abolire la pena di morte, istituire un fondo mondiale per combattere il riscaldamento climatico e la fame nel mondo. Il papa argentino, che critica il capitalismo e ha rifiutato il nazionalismo, non è mai stato amato dalle cancellerie occidentali

Il Giubileo appena iniziato non contiene solo un forte valore simbolico e spettacolare amplificato dai media ­­­­­­– cosa di cui pure la chiesa è consapevole tanto da provare a sfruttare l’opportunità per rilanciare la propria immagine a livello globale – ma ha anche, nell’impostazione datagli dal papa, una forte carica politica.

Sì, perché riprendere la tradizione giudaica dell’evento, inteso come anno di clemenza e liberazione che riguarda tutti, significa, applicando quei criteri all’oggi, compiere scelte ben precise a cui sono chiamati i cristiani come i non credenti.

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Lo aveva capito bene Giovanni Paolo II, le cui proposte per l’anno santo del 2000 sono state riprese e ampliate, in un contesto ben diverso, da Francesco. D’altro canto, come ha spiegato nella messa del 24 dicembre il papa argentino, «la speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente, non è l’happy end di un film: è la promessa del Signore da accogliere qui, ora, in questa terra che soffre e che geme».

Così Bergoglio, nel messaggio per la giornata mondiale della pace (pubblicato lo scorso 12 dicembre) che si celebra il primo gennaio, ha chiesto ai governi del mondo tre gesti profetici da compiere in occasione del Giubileo, per iniziare a cambiare le cose.

Un atto di giustizia

In primo luogo la cancellazione totale o parziale del debito dei paesi poveri, perché «il debito estero è diventato uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri». A ciò si aggiunga – denunciava il pontefice – che «diverse popolazioni, già gravate dal debito internazionale, si trovano costrette a portare anche il peso del debito ecologico dei paesi più sviluppati».

Per questo, Francesco, prendendo spunto «da quest’anno giubilare», ha rivolto un appello alla comunità internazionale affinché proceda verso «il condono del debito estero, riconoscendo l’esistenza di un debito ecologico tra il nord e il sud del mondo». È un richiamo alla solidarietà, ha scritto il papa «ma soprattutto alla giustizia».

Quindi il papa ha chiesto che si proceda «all’eliminazione della pena di morte in tutte le nazioni. Questo provvedimento, infatti, oltre a compromettere l’inviolabilità della vita, annienta ogni speranza umana di perdono e di rinnovamento».

Infine, rifacendosi al magistero di Paolo VI e Benedetto XVI, ha sollecitato tutte le nazioni a utilizzare «almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico».

A tutto ciò si aggiungano gli appelli continui pronunciati dal papa, rinnovati durante la benedizione urbi et orbi del giorno di Natale, per cercare di risolvere le diverse situazioni di conflitto che lacerano la vita dei popoli, ricorrendo al negoziato e rinunciando alla logica delle armi.

Fra nord e sud del mondo

Se dunque l’azione riformatrice del pontefice sul piano della vita interna della chiesa è apparsa come un alternarsi di accelerazioni e rallentamenti, di passi avanti e passi falsi, sul piano politico, indubbiamente, il papa ha segnato una svolta collocando la chiesa dalla parte del sud del mondo e, più in generale, facendo riferimento a questioni e problemi che interessavano l’intera «famiglia umana» e poco o nulla condividevano con il pervasivo nazionalismo di questi anni.

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Anche per tali ragioni il papa argentino non è mai stato troppo amato dall’Occidente e dalle cancellerie europee (con qualche eccezione, vedi tra gli altri la tedesca Angela Merkel, che aveva stabilito un’intesa personale con il pontefice argentino).

Inoltre Francesco è stato uno dei pochi critici delle sperequazioni determinate dal capitalismo finanziario contemporaneo, considerate non solo come storture da correggere, ma come parte di una crisi sistemica della finanza globale. Per queste ragioni il papa venuto dal sud de mondo, che ha sollevato per esempio il tema migratorio come nodo centrale delle disumanità e delle ingiustizie di quest’epoca, per i suoi interventi che mettevano in discussione assunti ideologici dati ormai per scontati, è sempre stato guardato con una certa dose di diffidenza dai governi e dagli establishment occidentali.

Non a caso, aprendo la porta santa, il vescovo di Roma ha osservato come «il Signore ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù».

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