Elena Luisi rapita a 17 mesi, il poliziotto che la trovò: «La caccia, la fuga della banda, la minestra tiepida… E il miracolo»

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di
Simone Dinelli

Giovedì la morte del padre Rino a 82 anni. Il ricordo dei fatti di Bagni di Lucca del poliziotto che salvò la piccola. L’Italia rimase col fiato sospeso per 40 giorni

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L’Italia col fiato sospeso per 40 giorni, gli appelli ai rapitori, persino l’intervento di Papa Giovanni Paolo II, per una vicenda – a lieto fine – che nell’autunno del 1983 tenne un intero Paese incollato davanti a radio e tv.

Quaranta anni fa a Bagni di Lucca

È la storia di Elena Luisi, oggi quarantaduenne ma all’epoca bambina di appena 17 mesi, strappata dalle mani della mamma e dei nonni materni la notte del 16 ottobre di 41 anni fa da una banda che aggredì la madre e i nonni materni di Elena, per poi fuggire a gambe levate con la bimba.




















































Succedeva a Lugliano, una piccola frazione collinare di Bagni di Lucca, lungo la direttrice che conduce verso la Montagna Pistoiese. Uno shock per un borgo minuscolo, dove tutti si conoscevano e – all’epoca – si lasciavano le chiavi nelle toppe delle porte di casa, tanta era la tranquillità che regnava in quei paesini.

La scomparsa di babbo Rino, all’età di 82 anni

Una vicenda mai dimenticata, che proprio in questi giorni è riaffiorata alla memoria di molti. Giovedì pomeriggio, infatti, si è spento all’età di 82 anni Rino Luisi, il papà di Elena. Lui non c’era, la notte del rapimento: imprenditore specializzato nell’organizzazione di viaggi turistici, era fuori col suo pullman.

Dovette rientrare in fretta e furia, una volta appreso quanto successo a casa. E per settimane, assieme alla moglie Isabella Citti (poi scomparsa nel 2011), lottò con tutte le sue forze per far sì che la loro primogenita (in seguito sarebbe nata Veronica, sorella di Elena) venisse ritrovata.

Arpia, il poliziotto che guidò le indagini: «Era un tempo da lupi..»

Uno dei protagonisti di quelle settimane così difficili e piene di incertezze fu Claudio Arpaia, poliziotto di origini calabresi giunto a Lucca pochi anni prima – correva il 1976 – per ricoprire l’incarico di dirigente capo della Squadra mobile, che avrebbe poi diretto per quasi 20 anni, sino alla fine del 1995.

C’era lui alla guida delle indagini avviate dalla Procura di Lucca subito dopo il rapimento, assieme al comandante provinciale dei carabinieri Antonio Gesuele.

E ancora oggi, 41 anni più tardi, gli occhi di Arpaia diventano lucidi nel ripensare a quelle settimane. «La sera del rapimento – sospira – ero a casa. Mi arriva questa telefonata e assieme ai miei uomini partiamo per Lugliano. Ricordo che pioveva forte, un tempo da lupi. Arriviamo in questo piccolo borgo e ci arrampichiamo su una stradina stretta che conduce alla casa dei Luisi, dove troviamo il terrore per quanto accaduto poco prima».

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I primi sospetti

Le indagini partono e gli inquirenti si focalizzano subito su un particolare anomalo: chi può essere arrivato a organizzare un sequestro di una bambina in un paesino così piccolo della Toscana, ai danni di una famiglia, sì facoltosa (il nonno materno è titolare di una importante azienda della zona di nome Italvetro), ma non certo così in vista al di fuori della Valle del Serchio?

«Da subito – aggiunge l’ex capo della Mobile – ci concentriamo sulla cerchia di persone vicine alla famiglia, dagli amici e i paesani ai semplici conoscenti, convinti che qualcuno di loro possa aver agito quantomeno da informatore».

La richiesta di un riscatto monstre: 5 miliardi di lire

Dopo meno di una settimana arriva una telefonata a casa dei Luisi, con una richiesta di riscatto monstre: 5 miliardi di lire. «Molti telefoni a quel punto sono già sotto controllo – sottolinea Arpaia – ma parliamo di un’epoca in cui ovviamente i cellulari ancora non esistono. E quindi individuare chi sta chiamando è assai più complicato di oggi».

I rapitori continuano a chiamare periodicamente, cercando di mettere pressione alla famiglia per avere i soldi. Intanto, nel Paese cresce l’apprensione per le sorti della bambina: persino Papa Wojtyla se ne interessa, lanciando un appello ai rapitori. Dopo più di 5 settimane di angosciante attesa e incessante lavoro da parte degli inquirenti, arriva la svolta.

Poi la svolta in Emilia Romagna

«La nostra attenzione – racconta Arpaia – si concentra su un rappresentante siciliano che ha rapporti di lavoro con la Italvetro, l’azienda del nonno materno di Elena. Raccogliamo riscontri su di lui e alla fine decidiamo di fermarlo».

La paura: «Se la banda sa che mi avete preso, la uccidono»

Succede a Ferrara, in Emilia Romagna: l’uomo, accusato di essere non un rapitore materiale, ma il basista della banda, inizialmente nega ogni addebito. Ma di fronte all’incalzare degli inquirenti, arrivano le prime ammissioni.

«Fate presto – dice alla fine l’uomo ad Arpaia e agli altri investigatori – se la banda scopre che mi avete preso, la bimba è in grave pericolo. Potrebbero decidere di ucciderla e disfarsene, oppure venderla a un’altra banda».

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Da Ferrara a Pisa e poi in Sicilia

Sono le 2 del mattino del 25 novembre, gli investigatori non perdono un attimo. Da Ferrara tornano a Pisa, dove li attende un aereo militare che li conduce a Catania.

«Il basista – spiega l’ex dirigente della Mobile – lo portiamo con noi, per evitare ogni possibile rischio di contatto col mondo esterno. Durante il volo in aereo si lascia andare ad altre confessioni: la banda si trova in provincia di Messina, ma non ci sa dire con precisione in quale abitazione, perché la bimba viene spostata in continuazione».

Alle prime luci dell’alba polizia e carabinieri di Lucca, coadiuvati dai colleghi locali, entrano in azione nell’area indicata dal rappresentante. Nel giro di poche ore vengono fermate 7 persone, ma ancora della bambina non c’è traccia. «Ci viene indicato un casolare – racconta Arpaia – e ci precipitiamo lì, sicuri di trovare Elena. Al nostro ingresso, l’edificio è vuoto. Ma su un fornello c’è un pentolino con dentro della minestra in brodo ancora tiepida. I due rapitori che hanno la bimba, un uomo e la sua compagna, sono fuggiti da pochissimi minuti».

Sono attimi drammatici: in azione nel Messinese ci sono più di venti pattuglie. Per strada è ormai buio, piove e la visibilità è scarsa. «L’ordine alle volanti – svela Arpaia – è quella di procedere per strada a velocità ridottissima, per non perdersi neanche un dettaglio».

Il lieto fine

Ad un certo punto, il miracolo. «Siamo all’altezza del paese di Pace del Mela e in prossimità di una curva gli abbaglianti di una volante permettono di individuare una bambina sul ciglio della strada. È per terra, sta camminando a gattoni sull’asfalto».

È Elena che, si scoprirà poi dopo, è stata abbandonata dai suoi rapitori, avvolta dentro a un cartone che però si è rovesciato. La bimba a quel punto è uscita fuori e ha iniziato a muoversi. «È un miracolo averla ritrovata viva – sospira Arpaia con gli occhi lucidi – Poteva essere investita, finire fuori dalla strada senza esser vista o morire assiderata. E invece no: è lì, davanti a noi».

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«Era come alla vittoria dei mondiali»

Alla radio poliziotti e carabinieri si scambiano la notizia e tutti convergono nella zona del ritrovamento. «Le sirene delle volanti iniziano a suonare all’impazzata – dice l’ex dirigente – quasi come ad un corteo dopo una vittoria della Nazionale ai Mondiali. Tutti noi ci abbracciamo e piangiamo, ce l’abbiamo fatta».

Elena viene portata di corsa in ospedale: ha gli occhi sbarrati e rischia l’assideramento. I medici la trattengono qualche ora, ma al mattino viene dimessa perché fuori pericolo. Nel frattempo l’aereo militare che ha portato gli inquirenti in Sicilia, è ripartito alla volta della Toscana per andare a prendere Rino e Isabella, i genitori della bimba. «Ci incontriamo all’aeroporto di Catania – dice Arpaia -, sotto le scalette dell’aereo, in mezzo a una confusione incredibile di persone, tenendo conto che ci troviamo in un sito militare. Dopo di che decolliamo tutti assieme, alla volta di Pisa».

Il ritorno in Toscana arriva nella serata del 26 novembre: la notizia del ritrovamento della bimba è ormai noto a tutti, ma a quel punto accade qualcosa che ad Arpaia fa venire ancora oggi la pelle d’oca.

La festa in paese

«Arrivati a Santa Maria del Giudice – dice -, che è il primo paese che si trova uscendo dalla provincia di Pisa ed entrando in quella di Lucca, troviamo gente ai lati della strada. Sta aspettando noi, il nostro corteo di auto. Due ali di folla, che da lì si allargano lungo tutto il percorso fino a Lugliano. Parliamo di circa 40 chilometri di strada, lungo la quale sono assiepate centinaia di persone che vogliono salutare Elena. A Lugliano c’è un maxi striscione dedicato a lei: tutti applaudono e si abbracciano, una gioia incredibile».

Solo a quel punto Arpaia e i suoi colleghi si rendono conto di esser senza cibo da due giorni: «Abbiamo mangiato un panino alla mortadella in 48 ore – sorride – E chi aveva tempo in quel momento di pensare al cibo?».

Lei e il poliziotto, uniti per sempre

Negli anni successivi la vita dei Luisi e quella di Arpaia proseguono a distanza, fisicamente, ma legate indissolubilmente. Nel 2022, durante un incontro a Bagni di Lucca, Elena e l’ex capo della Mobile si abbracciano pubblicamente.

La bambina e il giovane dirigente della polizia sono diventati una donna adulta e madre, e un uomo maturo che si gode la meritata pensione. Ma quel legame, oggi come ieri, è solido come la roccia. Così come nitidi sono i ricordi di una vicenda che fece battere forte il cuore a tutta l’Italia. E a chi l’ha vissuta da vicino, lo farà battere per sempre.

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