“Serve un nuovo Antitrust. Solo così le tlc si salveranno”

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Gianluca Corti, co-ceo di WindTre, l’industria delle tlc da tempo vive in difficoltà, soprattutto in Italia. Quali sono i motivi?

«Nel nostro Paese ci sono i prezzi più bassi al mondo dopo Israele a causa di una concorrenza senza senso. Prima dell’accordo tra Vodafone e Fastweb, eravamo cinque operatori infrastrutturati. Praticamente un unicum mondiale. Ma non basta, anche se restassimo in 4 saremmo comunque troppi. È una situazione generata da politiche europee che hanno scoraggiato le aggregazioni perché si credeva che l’aumento della concorrenza favorisse i consumatori. Ma se i margini sono troppo bassi le aziende non investono e alla lunga i clienti si trovano con un servizio di qualità inferiore».

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Dunque, anche lei conferma che il settore non è più in grado di investire sullo sviluppo?

«Da noi le tlc hanno sempre investito molto, tanto è vero che abbiamo un’elevata qualità del servizio e i prezzi più bassi. Una situazione che non può essere sostenibile. Se guardiamo i dati, l’ammontare degli investimenti sta calando: dai 7,6 miliardi del 2019 siamo a 7 miliardi nel 2023. Può sembrare un lieve calo, ma senza i fondi del Pnrr e al netto dell’inflazione gli investimenti privati sono calati del 26%. Avanti di questo passo l’Italia rimarrà indietro nella competizione».

Però WindTre continua a investire.

«Sì, circa 1 miliardo l’anno, di cui oltre mezzo miliardo sulle reti. Il grosso va sul 5G, un campo in cui siamo, a oggi, l’operatore che ha messo più antenne. Stiamo lavorando affinché, per metà del prossimo anno, sia disponibile la prima rete 5G standalone per tutti i clienti WindTre. Un passo importante per riuscire a dare alle aziende italiane ciò di cui hanno bisogno, con la possibilità di una banda dedicata a una latenza molto inferiore che consente un maggiore grado di automazione industriale».

La vecchia Commissione Ue ha spesso ostacolato le aggregazioni nel settore, crede che la nuova sarà più aperta?

«È presto per valutare. Sicuramente c’è bisogno di consolidamento, perché siamo troppi. Su questo l’Inghilterra ha dato un segnale su quale sia la strada da percorrere, autorizzando la fusione fra Vodafone e Three e facendo scendere il numero degli operatori a tre. C’è anche altro: si deve risolvere l’asimmetria tra chi deve sottostare alle regole del codice delle telco e chi, invece, ne sta fuori».

Pensa ai cosiddetti Ott, i giganti del web?

«Esatto. Faccio un esempio: Whatsapp è chiaramente un operatore di telefonia, eppure non è sottoposto alle nostre stesse regole. Non deve avere un call center gratuito come noi. Anzi, quando non funziona i clienti ci contattano arrabbiati perché credono sia colpa nostra. Ad oggi, questi big occupano il 75% del traffico sulla nostra rete e sfruttano il concetto di neutralità della rete – nato per difendere i più piccoli solo per non pagare».

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Si spieghi meglio

«Se Netflix fa il servizio premium, con contenuti in alta definizione, e fa pagare 5 euro in più ai suoi clienti, al netto dell’Iva guadagna quasi 4 euro. Noi dobbiamo spendere di più per adeguare la rete al maggiore traffico. Quindi loro incassano, a noi restano i costi».

Sicché volete un contributo da parte loro. Come si risolve il problema?

«Alcuni emendamenti alla manovra da noi suggeriti puntavano sull’istituzione di un obbligo di negoziazione, con l’obiettivo di fare remunerare i servizi che rendiamo, per finanziare gli investimenti che siamo obbligati a fare perché questi giganti possano fare il loro business. I rapporti di Draghi e Letta sulla competitività mettono in evidenza questo problema e pongono le telco al centro della politica industriale, un aspetto che finora è mancato».

A rendervi la vita più difficile ci sono società di altri settori, come quello energetico, che si sono messe a offrire servizi di telefonia. Pensa che sia necessario un intervento legislativo?

«Ormai c’è un mercato nuovo, multiservizi, dove società di energia vendono telefonia, così come società tlc e anche noi di Windtre offriamo luce e gas. Il problema è che la legge nazionale antitrust del 1990 si rifà al quadro europeo, che non considera le situazioni create dal contesto multiservizi ma si ferma a situazioni come l’abuso di posizione dominante o le intese restrittive. Quindi quando un gigante economico entra in un altro settore, dove non ha posizioni dominanti, può arrivare a distruggerlo».

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«La legge Antitrust permette ai nuovi entranti di vendere servizi a condizioni che altrimenti sarebbero vietate. Ma se uno è un gigante dell’energia e vende la telefonia solo per fidelizzare il suo cliente, pratica prezzi bassi perché i margini li fa altrove e così danneggia le imprese del nostro settore.

Questi soggetti hanno la possibilità di fare leva sul loro fatturato nel settore tradizionale per fare offerte insostenibili se prese singolarmente senza ricadere nella disciplina molto rigorosa dei sussidi incrociati. Ecco perché serve con urgenza aggiornare la disciplina antitrust».



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