Finita la pacchia dell’opposizione a governi da tiro delle freccette, come quello di Mario Draghi, la premier Giorgia Meloni si domandava sempre più ansiosamente cosa inventare per poter continuarla a raccontare al popolo bue, da intortare con la sua specialità: le panzane da campagna elettorale ininterrotta, che le avevano fruttato (oltre alla dabbenaggine di Enrico Letta) la conquista del premierato.
Stando ai segnali intercettati dalle sue antenne sensibili di ragazza cresciuta nel popolare quartiere romano della Garbatella e formata al destrismo duro e puro nella sezione missina di Colle Oppio, tra i camerati di ceto medio-basso ossessionati nella loro precaria identità dalle politiche di inclusione sociale vulgo “di sinistra”, il bersaglio privilegiato della sua campagna di annunci non poteva essere che una presenza minacciosa ad alto spettro: l’altro da fuori, specie se di pelle qualche tonalità più scura di quella italiota corrente. Dunque i migranti, messi nel mirino dalla beneamata legge Bossi-Fini in quanto “clandestini”. Soggetto perfetto in quanto alimentato da flussi epocali che non accennano a esaurirsi. Visto che nei primi nove mesi del 2024 gli sbarchi nel Mediterraneo di poveracci in fuga da guerre, mattanze etniche e carestie erano stati nientemeno che 123.878, con una particolare rilevanza per il Bel Paese (60.509 al 21 novembre). Arrivi su cui la Meloni premier aveva già fatto il record l’anno precedente con 151mila sbarchi.
Purtroppo a smentita dell’arguta profezia di uno specialista in sviolinate destrorse quale Alessandro Sallusti, che le invasioni migratorie si sarebbero automaticamente interrotte alla sola comparsa a Palazzo Chigi della puffetta mannara, quando indossa la maschera terrificante della Medusa nella sua gag preferita: la “boia chi molla” bomba e pugnale alla Farinacci. Difatti, trascorsi giovanili che non sono andati perduti nell’antica leader di Azione Giovanile, nonostante il recente trasloco nella villa di 350m2 e piscina nella zona residenziale romana del quartiere Torrino, tra via Del Mare e la Cristoforo Colombo. Quella ducetta che già ventunenne comandava i duri di Azione Studentesca, dominanti nella Roma degli anni Novanta (come oggi) nelle strutture scolastiche e giovanili.
Appurato il bersaglio, in un primo momento la Meloni aveva escogitato la narrazione propagandistica di lei all’inseguimento per l’intero orbe terracqueo dei biechi scafisti mercanti di umanità del Terzo Mondo per l’intero. Purtroppo il plot, ispirato ai cinegiornali Luce di mussoliniana memoria rivisitati in stile sceriffo western, si era subito rivelato irrealistico; stante lo spazio che si intendeva presidiare e l’incredibilità dell’immagine di una premier in caccia, svolazzante su un velivolo alla Italo Balbo. Meglio ripiegare su modalità più familiari. Ossia il diploma meloniano nell’istituto tecnico professionale Amerigo Vespucci di Roma, dedicato all’apprendimento dei servizi enogastronomici e ospitalità alberghiera.
E qui si accese la lampadina: creare strutture di accoglienza in ambiente esotico che facessero concorrenza agli odiati francesi del Club Mediterranée, star del turismo vacanziero dal 1950 (anche se ormai a capitale cinese). Nasce così il progetto di due strutture di accoglienza in Albania per sbarcati sulle coste italiane provenendo dal Sud del Mondo: i Grand Hotel Meloni, che a regime dovrebbero offrire alla clientela 3mila posti-letto, dove la suddetta albergatrice potrà valorizzare al meglio il proprio prestigioso titolo di studio. Un progetto che doveva costare 630 milioni in cinque anni ma che nei primi mesi ha già sforato il milione.
Poco importa, Meloni, convinta di essere stata confermata da recenti sentenze della magistratura che parlavano d’altro, è intenzionata ad andare avanti a spron battuto. Anche perché l’iniziativa le consentirà di riqualificare anche il personale che popola la Corte dei Miracoli che attualmente ci governa. Infatti Antonio Tajani, per anni apprezzato lacchè della famiglia Berlusconi, sarebbe un perfetto concierge; Matteo Salvini con la sua taglia sovrappeso da chef stellato avrebbe l’opportunità di cimentarsi nella delizia della cassoeula al cus-cus per i ristoranti della catena e il noto taste vin Carlo Nordio già si candida al ruolo di sommellier.
Infine il ministro della Cultura Alessandro Giuli, grazie alla perfetta padronanza dell’aramaico, potrebbe fungere da “je suis l’animateur” per la clientela medio-orientale.
Insomma, quanto si prospetta è il remake del celebre film omonimo, premio oscar 1932 di Edmund Gouling con Greta Garbo. Concluso con la celebre battuta che vale anche per la versione meloniana: “Grand Hotel, gente che va gente che viene. Tutto senza scopo”.
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