«Ai dazi di Trump possiamo reagire. Necessario tenere Dana in Trentino»

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Nel 2024 le imprese trentine si sono trovate ad affrontare una situazione delicata tra la crisi della Germania e dell’automotive, la fine dei bonus per l’edilizia e il mancato recupero del potere d’acquisto che ha portato a cali nei consumi e a difficoltà sentite in diversi settori dal vetro al tessile. A queste difficoltà si aggiungono la carenza di manodopera, ormai endemica su tutto il territorio e i settori e il tema dei bassi salari che, di certo non aiuta ad attrarre i lavoratori necessari per la crescita delle aziende. Con l’anno nuovo e la vittoria di Trump negli Stati Uniti potrebbero arrivare anche i dazi commerciali verso l’Europa, per i quali è bene farsi trovare pronti, considerando che gli Usa sono il secondo mercato di esportazione per il Trentino. Ma nonostante le ombre all’orizzonte lo sguardo di un imprenditore deve rimanere sempre positivo verso il futuro. E con questo atteggiamento si pone anche il presidente di Confindustria Lorenzo Delladio: «Dobbiamo guardare avanti con ottimismo e vedere il bicchiere mezzo pieno. Iniziamo con entusiasmo questo 2025, pur consapevoli delle tante sfide da affrontare», il suo appello al mondo economico trentino.

Ma qual è il bilancio di questo 2024, presidente?
«Quest’anno come industria trentina, ma in generale in Europa, si è molto sofferta soprattutto la crisi tedesca e in particolare quella delle grandi fabbriche di automobili. Rallentando il ritmo di produzione anche la nostra meccanica è andata in difficoltà e l’hanno seguita agroalimentare, vetro e moda. La richiesta è diminuita e questo crea anche crisi e problematiche provinciali».

E per il 2025 cosa aspetta l’industria trentina?
«Una seconda problematica che potrebbe arrivare nei primi giorni gennaio sono i dazi. Se verranno rispettate le promesse fatte da Trump agli elettori, si parla di un 20% trasversale su tutti i prodotti europei».

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Ma lei crede che andrà fino in fondo con queste misure?
«Io credo che non potrà mantenere questi dazi ma pensare a un 10% mi sembra realistico. In ogni caso dobbiamo farci trovare pronti alla peggiore delle ipotesi e quindi al 20%. Saremmo penalizzati moltissimo, essendo quello statunitense il nostro secondo mercato di sbocco. Non dobbiamo trovarci a reagire in quel momento ma avere già un piano qualora si concretizzi questa situazione».

Questo è lo scenario peggiore, e quello migliore quale sarebbe?
«Che non ci fossero dazi e che si trovino soluzioni che tengano a galla il commercio unitario. Un 10% potrebbe ancora essere sostenibile, ma se poi ci rimette troppo il consumatore americano, ci sarà un calo dei consumi e soffriremo. Per questo, dico che dobbiamo farci trovare pronti».

In che modo?
«Le realtà europee possono creare un fronte comune molto forte, verso gli Stati Uniti abbiamo argomenti importanti da calare. Gli americani hanno bisogno di noi, ad esempio sui mercati ipertecnologici e di alta qualità ai quali il consumatore americano è legato».

Restando in tema di americani, come vede la situazione di Dana?
«Partirei dal presupposto che Dana è un’azienda che va molto bene ed è un gioiellino che abbiamo in Trentino. La gestisce una multinazionale partecipata da fondi che ci tiene a distribuire dei buoni dividendi e per questo ha scelto di vendere il gioiello di famiglia. Come territorio abbiamo bisogno che il quartier generale rimanga in Trentino».

Qualcuno è preoccupato che ciò non accada.
«Più che di preoccuparci penso che dobbiamo metterci nell’ottica di dare una mano all’azienda che acquisirà Dana ed accompagnarla. Dobbiamo essere bravi a spiegare che non solo è un gioiello ma che ci sono tutte le condizioni perché resti qui».

Ad esempio quali condizioni?
«Ci sono i centri di ricerca con cui può interagire l’azienda stessa, l’università e altri valori aggiunti che può dare solo il Trentino. c’è poi un discorso di avviamento. Quindi ci sono tutte le condizioni e le competenze generate in questi anni e dimostrate fino ad ora. Noi come associazione di categoria, sindacati e Provincia dobbiamo presentarci come sistema territoriale e prepararci ad accogliere i nuovi acquirenti. Faremo di tutto perché l’azienda resti qui».

E come commenta la possibile delocalizzazione in Messico?
«Quella è una partita separata. Già mesi fa si sapeva che la casa madre aveva deciso di concentrare in Messico una specifica tipologia di prodotto, ma se ne parlerà nel 2026 e potrebbe anche essere messo tutto in discussione».

Un altro tema di cui si è molto discusso è quello della carenza di manodopera.
«Rimane un grosso problema. C’è scarsità di offerta in tutti i comparti e senza manodopera non possiamo far crescere le imprese, che invece devono crescere, dobbiamo essere molto più presenti sui mercati».

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E quindi come si può intervenire?
«Siamo attrattivi come territorio ma non abbiamo le abitazioni per fare alloggiare i nostri dipendenti, anche quelli che dovrebbero venire. Manca il tassello di alloggi e foresterie. Alla politica stiamo chiedendo aiuto in questo senso».

E che risposte vi aspettate?
«L’assessore Gottardi sta portando avanti il cambio di destinazione d’uso degli alberghi dismessi, che potrebbero diventare foresterie. In questo senso la politica si è mossa. C’è, però, da percorrere l’ultimo miglio. Comuni e comunità di valle devono essere ricettivi. Servono sinergie tra zone centrali e valli. Noi possiamo fare la nostra parte, però la politica ha l’obbligo di mettere le imprese nelle condizioni migliori per poter operare».

Toccano il reclutamento anche le politiche sull’immigrazione.
«Abbiamo bisogno assoluto di immigrati. Sono politiche che vanno regolamentate bene e portate avanti con lungimiranza, guardando al di là del proprio naso».

Era meglio puntare su un sistema di accoglienza diffuso?
«In provincia sicuramente sarebbe più opportuno muoversi sulla diffusione, ma questa problematica si riscontra in tutta Italia. Anche a livello di Confindustria centrale, a Roma, ne stiamo parlando e ci stiamo muovendo per accogliere e dialogare sull’accoglienza. Anche pensando a nuovi modelli».

Quali?
«Un’idea è quella di formare le persone da un punto di vista professionale prima di portarle in Italia. Formiamole nei Paesi di provenienza, anche sulla lingua, in modo che si aiutino i Paesi di origine stessi e che quando arrivano qui, i potenziali lavoratori siano più pronti per calarsi nel contesto italiano e trentino».

Parlando di attrattività del territorio non si può fare a meno di parlare anche di salari.
«Io ritengo che laddove possibile sia un dovere sociale aumentare gli stipendi. C’è da fare un bel distinguo tra le imprese che possono permetterselo, e quelle che non possono. La mia è una grossa azienda e io posso farlo, ad esempio ma non tutti abbiamo questa possibilità. Auspico che in futuro possano farlo più aziende. Per essere attrattivi dobbiamo stare attenti a stipendi, welfare e rapporto vita lavoro».

In tema di servizi, invece, come procede il progetto sulla viabilità in Val di Fiemme?
«Ci sono tre pullman per i lavoratori che partono uno da Trento, uno da Pozza di Fassa e uno che attraversa tutti i paesi dell’alta Val di Fiemme. Tutti arrivano fino a Ziano. È un bel successo che ci ha permesso anche di assumere personale, però ha costi molti alti. Sfioriamo i 400 mila euro in un anno come azienda singola. Da soli possiamo sostenerlo per qualche anno. È un progetto pilota che punta ad estendersi ad altre aziende e in un secondo tempo a mostrare alla politica provinciale di cosa avremmo bisogno. Porta benefici in termini di emissioni, riduce traffico e incidenti e anche il problema dei parcheggi. A livello sistemico potrebbe diventare una misura di welfare per i lavoratori».

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