– Marina Sacchelli –
Qualche domenica fa mi sono recata a Peccioli, un comune della provincia di Pisa da cui dista circa 40 chilometri, incuriosita più che altro dalla recente vittoria del concorso “Borgo più bello d’Italia 2024“. Le aspettative non sono state deluse. Oltre allo splendido paesaggio collinare che si gode dalla moderna terrazza sospesa nel tempo, il borgo vanta un Polo museale di tutto rispetto, splendide piazze, antichissime chiese ma soprattutto Peccioli è ricca di arte contemporanea. Installazioni luminose, fotografie, quadri sculture, murales , tutto è disseminato nei quattro rioni che danno vita al paese. Ma le piacevoli scoperte non finiscono qui e mentre mi trovo in Piazza del Popolo, poco prima di andare a pranzo, scorgo un signore che sembra volermi comunicare qualcosa con un simpatico atteggiamento proattivo fatto di sguardi, sorrisi e qualche frase buttata là sulle bellezze di Peccioli.
Si presenta, per tutti è Dide ma il suo vero nome è Enrico Rocchi. Inizia una piacevole conversazione e scopro che Dide ama fare da Cicerone ai turisti, un po’ perché è orgoglioso del suo paese ed anche per trascorrere del tempo in compagnia. Ha novanta anni e tanta voglia di socializzare. Gli chiedo se posso contattarlo per una breve intervista e lui accetta, ci scambiamo i numeri, scatto qualche foto e ci salutiamo. Dopo qualche giorno ci sentiamo al telefono…
Quando è nato Dide e dove? Ci racconta qualcosa della sua famiglia?
“Sono nato il 21 gennaio 1934 a Pisa e non a Peccioli, dove la mia famiglia abitava da generazioni. Poco prima del parto mia madre ruzzolò dalle scale e mio padre che faceva il tassista non sentì storie e la portò di corsa all’ospedale di Pisa. Mio padre era un tipo particolare, pensi che mi vide per la prima volta quando tornammo a casa dall’ospedale, non venne a trovarci soltanto perché voleva una figlia femmina e fu deluso quando gli dissero che ero nato io. I primi due figli morirono in tenera età, la seconda era una femminuccia e il babbo gli si affezionò così tanto che in seguito cercò in tutti i modi di generare un’altra bambina ma ahimè i miei poveri genitori si dovettero accontentare di quattro figli maschi nati rispettivamente nel ’22, nel ’24, nel ’26 ed infine io nel ’34”.
Cosa ci dice del suo soprannome?
“Mi è rimasto addosso questo nomignolo perché il fratello più grande, quello del ’22, si chiamava Pilade ma io essendo molto piccolo riuscivo a dire solo Dide e da lì tuttora in paese mi conoscono così. Mio padre come tanti italiani di quel periodo era stato conquistato dal fascio e dai sogni di gloria che pareva infondere alla popolazione, tantè che partecipò alla marcia su Roma nel ’22. Tuttavia non andava d’accordo con i fascisti di Peccioli e non si occupò mai di politica attivamente”.
Fino a che età ha studiato?
“Purtroppo in prima elementare mi ammalai, ebbi l’infezione da scabbia, mi bocciarono, poi scoppiò la guerra e a pezzi e bocconi riuscii a frequentare fino alla quarta elementare. Erano tempi difficili. Vivevamo tutti in una stanza comunicante con la casa del nonno, mamma si sacrificava lavorando di notte a maglia e così portava a casa quanto bastava per sfamarci. Poi riuscimmo a cambiare casa con una un po’ più grande, aveva tre stanze ma era anch’essa senza bagno, c’era una buca vicino all’acquaio di cucina per i bisogni. Ci scaldavamo grazie alla brace del camino che i nostri vicini ci regalavano. Mamma la notte teneva accanto a sé due “caldani” che le permettevano di non morire di freddo ma che al contempo le procuravano croste sulle gambe dal ginocchio in su”.
Che lavoro ha svolto nella sua vita?
“Iniziai a lavorare da ragazzino. Conoscevo due meccanici che avevano un’officina, mi parve una buona idea iniziare con loro. Il primo giorno mi sembrò soddisfacente ma finito il turno e una volta rientrato, mia madre mi vide tutto sporco di morca e sentenziò che forse sarebbe stato meglio imparare il mestiere di falegname perché tornare la sera con la segatura addosso lo trovava meno complicato. Come sempre accettai il suo consiglio e fu così che in capo a pochi anni divenni bravino nel mio mestiere. Piano piano, col tempo, riuscii a mettere su una ditta per conto mio insieme ad atri due più un lustrino (colui che a lavoro finito era incaricato della lucidatura). Nel ’64 mi sposai e nel ’70 nacque il primo figlio, poi nel ’75 una figlia femmina. Alla fine con tanti sacrifici sono riuscito a crearmi una bella famiglia. L’unico dispiacere che mi hanno dato i figli è che non hanno voluto studiare. Meno male che ho una nipote che mi da soddisfazione, suona diversi strumenti ed è brava in disegno”.
Cosa ricorda della guerra?
“Ci sono delle cose che non scorderò mai anche se ero un bambino. Prima fra tutte la tristezza nel vedere la distruzione intorno a me, la sensazione costante di pericolo e poi la fame che non mi abbandonava mai. Insieme ad un amico andavo a piedi nelle campagne circostanti per trovare qualcosa da mangiare. Arrivavamo fino alla “Rosa” e a Terricciola bussando alle case dei contadini. Ci eravamo inventati una cantilena che faceva più o meno così: massaia un pezzettino di pane ,un uovo, un frutto per favore Riuscivamo spesso a mettere qualcosa sotto i denti ma quel poco non bastava mai considerando che camminavamo tanto”.
L’avvenimento più tragico che ricorda?
“Accadde nel ’44, quando furono chiamati ad arruolarsi i nati dell’anno 1924. La mia famiglia era già in pena poiché il più grande dei figli, Pilade, si trovava prigioniero in Germania e non se ne avevano notizie e l’angoscia di perdere anche il secondogenito era forte. Ci fu una grossa protesta generale in paese, nessun giovane del ’24 voleva presentarsi tantè che i fascisti dovettero fare un’azione di forza. Alla fine dalla paura di essere deportato mio fratello cedette e si arruolò finendo in un battaglione di stanza a Volterra. Un giorno chiese ed ottenne un permesso per venire a Peccioli in visita alla fidanzata. Trovò un passaggio in bicicletta da uno che conosceva, allora era normale arrangiarsi così, ci si alternava un po’ pedalando e un po’ stando seduti sulla canna. Purtroppo accadde che uomini combattenti contro il regime appostati a una curva appena fuori Volterra, spararono addosso al mio giovane fratello in divisa militare e lo uccisero. Sono le tristi assurdità della guerra, mio fratello fu ucciso solo perché in divisa, magari da un giovane come lui magari compaesano chissà. Ho ancora in mente la scena della bara che fu posizionata in una stanza del Comune. Il giorno del funerale tutto il battaglione si presentò a rendergli omaggio subendo durante il tragitto per arrivare a Peccioli mitragliate di un caccia americano”.
Come avete fatto a resistere a tanti patimenti subiti, a trovare la forza per andare avanti?
“La speranza in un futuro migliore non ci ha mai abbandonato. Alla morte di mio fratello fummo risarciti dallo Stato con 25.000 lire e per un po’ questo ci aiutò ad andare avanti. Negli anni mi impegnai talmente tanto nel lavoro di falegname da essere considerato uno dei più bravi della zona e con tanta forza di volontà sono riuscito a cavarmela nella vita accettando con sacrificio anche degli incarichi lontano da Peccioli. Non mi sono mai tirato indietro e sono felice di quello che ho fatto”.
Spesso è in strada e parla ai turisti, cosa le chiedono? Lei cosa racconta?
“Da qualche anno amo passare parte del mio tempo in giro per il paese, di solito la mattina soprattutto nei giorni di festa. Dopo una sosta al bar dove leggo anche il giornale, mi metto in attesa di qualche turista. Per prima cosa chiedo se sono italiani e poi dopo i primi convenevoli mi rendo conto se hanno piacere della mia compagnia. Di solito facciamo un giro tra i vicoli rispondo alle loro domande, beninteso senza pretendere di essere una guida anche perché non ne ho la competenza. Mi accorgo tuttavia di essere ben gradito e spesso mi diletto anche a cantare qualche canzone la mia preferita è Rose rosse di Massimo Ranieri). In poche parole gli tengo compagnia e allo stesso tempo mi fanno compagnia. Alla mia età ne ho bisogno, qui in paese ne sono rimasti pochissimi di novantenni forse due o tre di cui uno è stato anche sindaco in passato. Sono perlopiù malmessi ed io voglio sfruttare al massimo la mia buona condizione di salute stando in mezzo alla gente”.
Come è cambiato il paese rispetto a una volta?
“È cambiato molto. C’è stato un momento di crisi un po’ di anni fa dovuto alla diminuzione del lavoro alla Piaggio. Tanti concittadini erano rimasti senza lavoro. Poi, con il progetto della discarica ormai consolidato, nel giro di pochi anni il nostro è diventato un comune ricco e ne hanno beneficiato tutti soprattutto chi aveva proprietà immobiliari. Ormai ogni spazio disponibile è in vendita o in affitto ed è un fiorire di trattorie e bar. Da una parte tutto questo afflusso di turisti porta benessere ma dall’altra si sono perse tante piccole botteghe. Ne ricordo una in particolare in fondo al paese, era solo una stanza ma vendeva tanti prodotti di agraria. Io ci andavo a comprare il panìco per il mio cardellino. Adesso quella stanza è una gelateria. Attualmente il centro storico è percorso soltanto da piccole auto elettriche .Ne abbiamo a disposizione 32 utilizzate perlopiù da artigiani e commercianti del centro. Tante sono le iniziative enogastronomiche e culturali che nascono e attirano visitatori, soprattutto dopo l’enorme pubblicità dovuta all’elezione di Borgo più bello 2024”.
Bene Dide, la ringraziamo moltissimo per aver condiviso con noi i suoi ricordi. Come ultima domanda le chiediamo: cosa consiglierebbe a un giovane di oggi sulla base della sua lunga esperienza? “Semplicemente di studiare. Di mettere passione nell’apprendere e approfondire le materie per cui ci si sente portati. Io ho sofferto tanto il fatto di essere ignorante, ho lavorato fino a ottanta anni con passione ma sempre con il cruccio di non essere all’altezza, un po’ di cultura mi avrebbe fatto sentire un uomo migliore”.
Marina Sacchelli
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