Tumore del seno in stadio precoce e mutazione BRCA: con olaparib 88% dei pazienti ancora in vita dopo 6 anni

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L’88% dei pazienti con tumore del seno in stadio precoce e mutazione BRCA trattati con olaparib in adiuvante è vivo a sei anni. È quanto emerge dall’aggiornamento a sei anni dei dati dello studio di Fase III OlympiA, che ha dimostrato miglioramenti prolungati e clinicamente rilevanti della sopravvivenza globale (OS), della sopravvivenza libera da malattia invasiva (IDFS) e della sopravvivenza libera da malattia a distanza (DDFS) in pazienti con tumore della mammella in stadio precoce negativo per HER2, ad alto rischio di recidiva, con mutazione germinale dei geni BRCA (gBRCAm).

I risultati nel dettaglio
Con un follow-up mediano di 6,1 anni, nei pazienti eleggibili – che avevano completato la terapia locale e la chemioterapia neoadiuvante o adiuvante standard – olaparib in adiuvante ha ridotto il rischio di morte del 28% (hazard ratio [HR] 0,72; intervallo di confidenza [CI] 95% 0,56-0,93) rispetto a placebo, con l’87,5% dei pazienti trattati con olaparib ancora in vita a 6 anni rispetto all’83,2% di quelli trattati con placebo.

Olaparib ha anche dimostrato miglioramenti prolungati e clinicamente rilevanti degli endpoint di sopravvivenza libera da malattia invasiva (primario) e sopravvivenza libera da malattia a distanza (secondario).

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Il farmaco, rispetto a placebo, ha ridotto il rischio di recidiva di tumore della mammella invasivo, di secondi tumori o di morte del 35% (HR 0,65; 95% CI; 0,53-0.78) e ha ridotto il rischio di recidiva di malattia a distanza, di secondi tumori non-mammari o di morte del 35% (HR 0,65; 95% CI; 0,53-0,81). Il beneficio con olaparib è risultato coerente in tutti i sottogruppi principali, tra cui pazienti con malattia ad alto rischio positiva ai recettori ormonali.

Con un follow-up più esteso, il profilo di sicurezza e tollerabilità di olaparib è risultato in linea con quanto osservato nelle precedenti analisi. In particolare, non sono emerse evidenze di aumento del rischio di sindrome mielodisplastica o di leucemia mieloide acuta rispetto a placebo. Lo studio OlympiA è coordinato dal Breast International Group (BIG) in collaborazione con NRG Oncology, US National Cancer Institute (NCI), Frontier Science & Technology Research Foundation (FSTRF), AstraZeneca e MSD.

I commenti
“I risultati dello studio OlympiA si riferiscono ai tumori della mammella in stadio precoce, insorti in donne con mutazione in uno o entrambi i geni denominati BRCA1 e BRCA2 – dichiara Alessandra Fabi, Responsabile Medicina di Precisione in Senologia, Fondazione Policlinico Universitario A.Gemelli IRCCS di Roma – In presenza di una mutazione BRCA, il tumore della mammella tende a manifestarsi in una popolazione più giovane. Inoltre, una parte di queste neoplasie è caratterizzata da un rischio di recidiva più elevato”.
“Gli importanti risultati a lungo termine dello studio OlympiA – aggiunge Fabi – confermano che il trattamento adiuvante con olaparib per un anno continua a produrre un beneficio di sopravvivenza clinicamente significativo, per oltre sei anni, con un beneficio persistente in tutti i sottogruppi. Inoltre, i dati di tossicità a lungo termine, così come quelli sulle gravidanze, sono rassicuranti per queste pazienti, che di solito sono più giovani. Olaparib colpisce specificamente le mutazioni dei geni BRCA1 e 2, per ridurre ulteriormente il rischio di recidiva e aumentare le probabilità di guarigione definitiva”.

“I dati dello studio OlympiA – afferma Laura Cortesi, Responsabile della Struttura Semplice di Genetica Oncologica al Dipartimento di Oncologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena – sottolineano l’importanza di eseguire il test per la mutazione dei geni BRCA al momento della diagnosi, per poter identificare al più presto le pazienti eleggibili che possono trarre beneficio dal trattamento con olaparib. Il test può essere prescritto dall’oncologo, dal chirurgo o dal genetista, che diventano responsabili anche di informare adeguatamente la paziente sugli aspetti genetici collegati ai risultati. Il test per le mutazioni BRCA, da un lato, consente una migliore presa in carico della paziente, dall’altro, fornisce un’informazione utile per i suoi familiari. L’identificazione di varianti patogenetiche nei geni BRCA permette infatti di intraprendere un percorso di consulenza oncogenetica nei familiari, per identificare i portatori sani, ad alto rischio di sviluppare la malattia. A questi ultimi, è possibile proporre programmi mirati di sorveglianza, finalizzati alla diagnosi precoce dei tumori associati alle sindromi a trasmissione familiare, e/o strategie finalizzate alla riduzione del rischio”.

 

 



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