“Comitato di distretto per il futuro del tessile”

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Natale amaro per il distretto tessile, per le sue aziende e per i suoi lavoratori, con un appello-allarme lanciato dal Lorenzo Pancini, segretario generale della Camera del Lavoro. A fronte di un “ridimensionamento brutale del tessile, che oggi conta 1.600 imprese e 15.000 addetti, con un ricorso costante alla cassa integrazione che, nel solo artigianato, ha visto coinvolte quasi 500 imprese per circa 2.300 lavoratori, con le proroghe dei contratti a termine diminuite del 4,2% e con le trasformazioni da tempo determinato a indeterminato calate di oltre il 20%, è necessario un sussulto di tutta la comunità pratese per dare una nuova prospettiva all’economia locale”. Per Pancini non c’è più tempo da perdere per affrontare “la quarta crisi pesante che si abbatte sul distretto nell’arco di una quindicina di anni. C’è bisogno di una mobilitazione straordinaria, che può significare anche fare manifestazioni di piazza. Ma c’è bisogno di più: va ripensato il modo di fare il distretto o altrimenti dovremmo prendere atto del suo definitivo declino”. Non ci sono mezze misure e Prato se vuole continuare a vivere deve abbandonare il mito del “piccolo è bello” perché “lo è ancora meno in un contesto globale attraversato da guerre e tensioni economiche. Non possiamo rassegnarci alla perdita del distretto o al permanere, come è evidente nel comparto delle confezioni che non sembra subire crisi di un’economia illegale con aspetti criminali e barbaro sfruttamento”. Pancini parte dall’analizzare i dati del mondo del lavoro del terzo trimestre del 2024 (Osservatorio del mercato del lavoro della provincia di Prato e i dati di Confindustria Toscana Nord, oltre a quelli di Irpet) e avanza una proposta per passare da una strategia conservativa ad una dinamica.

“Bene il tavolo della moda, ma c’è bisogno di una governance di distretto magari istituendo un comitato capace di richiedere risorse, gestirle ed avere una forza politica. Una governance partecipata e condivisa in cui confluiscano interessi differenti e rappresentativi delle varie realtà, ognuno impegnandosi per la propria parte. Come Cgil siamo pronti con la comunità dei lavoratori ad essere alla testa di questa mobilitazione necessaria, ma che deve essere dell’intero distretto e del comparto tessile”. Dati alla mano, i primi sei mesi del 2025 non si presentano rosei. “La crisi attuale del distretto si insersce in una crisi globale e anche regionale: in Toscana si assiste ad una decrescita del manifatturiero a favore del terziario. A Prato tale direzione sta impoverendo tutto il territorio e la struttura sociale”.

Pancini ricorda che la media salariale per un addetto del tessile tradizionale è di 23.559 euro a fronte degli 11mila euro per addetti dell’altro settore, quali le confezioni. “Purtroppo non c’è stato un travaso degli operatori del tessile tradizionale alla confezione – aggiunge – A Prato si è perso il 20% di attività produttive e abbiamo due settori (confezione-pronto moda e commercio all’ingrosso) che complessivamente fanno circa 8mila imprese e circa 35mila addetti, dove il contratto di lavoro è a tempo determinato e part time, le retribuzioni medie sono 11mila euro lorde all’anno. O accettiamo un destino inesorabile o ci interroghiamo attraverso una mobilitazione generale della comunità pratese per salvare il comparto industriale ripensandolo e a contrastare un comparto che impoverisce la città e fa diventare il distretto appetibile per l’illegalità. Anche rispetto alle direttive sul tessile e sulla sostenibilità dell’Europa, Prato che ha 4.500 aziende del fast-fashion deve porsi delle domande al riguardo”. Il settore moda resta uno dei più penalizzati (produzione in calo dell’8%, raccolta ordini -5,9% con l’estero e -9,5% con l’interno): “Quanto pensiamo di poter reggere?”, di chiede Pancini che richiama alla responsabilità tutti a partire dal mondo del mercato del lavoro: “Ad ora non ci sono procedure per licenziamenti collettivi, ma ci sono diversi licenziamenti individuali, come conferma l’aumento di Naspi. La prima causa di cessazione dei rapporti di lavoro è la fine naturale dei contratti a termine non rinnovati (oltre il 46%), poi seguono le dimissioni volontarie e solo il 6,1% è per motivi economici”. Se da gennaio a settembre si sono perse “80 aziende del manifatturiero di cui più della metà tessili, il pronto moda è cresciuto in dodici anni del 32%”. Male il mercato del lavoro in cui “rispetto al 2023 si contano 200 cessazioni in più ed un’esplosione dalla richiesta di cassa integrazione: se non si allunga la cassa integrazione oltre la fine di gennaio o azzeriamo il contatore degli ammortizzatori è possibile che febbraio qualcuno possa aprire procedure di licenziamento collettivo”.

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Sara Bessi



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