Trump day, Meloni si inchina all’imperatore

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Giorgia Meloni è stata folgorata sulla via di Teheran. Ancora alla vigilia dell’incontro con Trump, a palazzo Chigi facevano gli sdegnosi: «Perché dovrebbe andare a far da comprimaria?». Per la parte del vassallo bastava Salvini, che peraltro non chiedeva di meglio e il mancato invito è un cruccio di quelli che non si stemperano col tempo. La pezza con la quale spiega la mancata partenza è che deve indagare sugli attentati alle ferrovie.

Ironizzare sarebbe maramaldesco. All’ex Capitano è toccata in sorte la parte più ingrata, quella del gatto Silvestro. Merita umana comprensione.

LA SCELTA INIZIALE di disertare l’incoronazione, per la premier italiana, era dunque questione d’immagine però non solo. C’era di mezzo l’etichetta: di norma i capi di Stato e di governo stranieri non vengono invitati agli insediamenti presidenziali.

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Niente invito a Salvini che fa sapere che resterà in Italia per occuparsi dei treni

Ma a rompere la consuetudine ha provveduto l’incoronato in persona, che ha distribuito inviti a raffica e l’italiana non è l’unica ad avere accettato. Ci saranno l’argentino Milei, il salvadoregno Bukele.

Ci sarà, in rappresentanza di Xi jinping, il vicepresidente cinese Han Zheng e da solo vale l’intera platea. Ma a frenare la premier era soprattutto la nessuna voglia di trovarsi ingruppata con il peggio della destra europea. Non che non apprezzi i vecchi amici sovranisti, anche se magari non tutti e non tutti allo stesso modo. Ma lei, si sa, ama tenere il piede in due staffe e la festa di Washington invece ha un colore ben preciso, quello del sovranismo estremo e del suprematismo senza fronzoli, insomma è roba di destra tanto estrema da suggerire cautela persino a una Marine Le Pen che già pensa solo alle elezioni presidenziali e infatti domani alla Casa Bianca non ci sarà.

MA L’INVITO proveniva dall’imperatore in persona e da un imperatore che aveva appena graziosamente accettato di chiudere tutti e due gli occhi sullo scambio di ostaggi con l’Iran. Giorgia Meloni non è un’ingenua. Ha capito subito di non avere scelta anche se per ufficializzare ha aspettato l’ultimo momento. Per rispetto nei confronti della sua amica non invitata Ursula von der Leyen, secondo la versione fatta circolare dal Palazzo a Roma. Più probabilmente per evitare polemiche di ogni sorta.

Dunque la presidente del consiglio italiano, scortata da tre esponenti del suo partito, partirà stanotte all’ultimo momento: toccata e fuga. Domani siederà, al chiuso causa gelo e non come d’uso di fronte alla reggia, insieme al francese Eric Zemmour, che al confronto Le Pen è una moderatissima, al britannico Nigel Farrage, il pasdaran della Brexit, al tedesco Tino Chrupalla, co-leader di quella AfD che persino i Patrioti di Orbán considerano infrequentabile.

La discutibile compagnia non le farà gran piacere anche se con loro e con Trump condivide la nuova parola magica: «Remigrazione», o deportazione di massa che dir si voglia.

Comunque si consolerà scambiando quattro chiacchiere con uomini tra i più ricchi del mondo, i padroni della rete: Bezos, Zuckerberg e Tim Cook nonché il vecchio Elon col quale le chiacchiere saranno otto e probabilmente sedici. Per un faccia a faccia con Trump invece non ci sarà tempo. Quel che si dovevano dire se lo sono già detti a Mar-a-Lago e per il resto ci sarà tempo.

Giorgia Meloni a marzo 2024 alla Casa bianca a Washington foto Andrew Harnik /Ap

NON SI PENSI PERÒ che alla premier la presenza quasi obbligata alla festa di Trump non faccia piacere. La donna è rapida nel vedere le occasioni, anche più lesta nel coglierle.

Il parterre europeo è quello che è ma lei è l’unica premier europea invitata, e a viva voce non per lettera. Non ci sarà l’amica Ursula e neppure l’ungherese Orbán, il trumpiano numero uno nel vecchio continente.

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I cerimoniali, si sa, hanno da sempre un senso politico preciso. Quello della presenza della leader italiana reclamata con insistenza dal ripresidente americano è quasi un’investitura alla vicereggenza nella provincia europea dell’impero. Forse non è quel che aveva in mente Meloni, l’equidistanza tra la Casa Bianca e palazzo Barleymont.

Probabilmente non è il solo scenario che consideri praticabile, in fondo Trump resta un’incognita anche per lei. Ma certo non è neppure un ruolo da buttare via. Subordinata sì, però d’alto lignaggio.



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