Influenza, brusco aumento dei casi soprattutto nei bambini sotto i cinque anni: chi si vaccina è protetto?

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di
Chiara Bidoli

I giorni di picco influenzale sono arrivati e gli ultimi dati ISS (Istituto Superiore di Sanità) confermano che la categoria più colpita è quella dei più piccoli. Come mai? Cosa fare? I vaccini mettono al riparo dai virus in circolazione? Intervista a Susanna Esposito responsabile Tavolo Tecnico Malattie Infettive della Società Italiana di Pediatria (SIP)

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Che il picco influenzale fosse in arrivo era nell’aria. A confermarlo l’ultimo rapporto pubblicato dal Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità che presenta un’incidenza in aumento in tutte le fasce di età. Dal 6 al 12 gennaio il livello di incidenza in Italia è risultato pari a 14,3 casi per mille assistiti, verso i 12,1 della settimana precedente, ma i bambini sotto i cinque anni di età sono risultati i soggetti maggiormente colpiti (l’incidenza è pari a 25,5 casi per mille assistiti verso i 22,6 della settimana precedente, ndr).

Le sindromi simil-influenzali e i virus respiratori

«Sebbene la circolazione dei virus influenzali sia in aumento, il numero di sindromi simil-influenzali è sostenuto anche da altri virus respiratori», dal sinciziale (Rsv o Vrs) a Covid, ricordano gli esperti dell’Iss. Durante la settimana numero 2 del 2025, dettaglia il rapporto virologico, «la percentuale dei campioni risultati positivi all’influenza sul totale dei campioni analizzati risulta pari al 27,2%, in ulteriore aumento rispetto alla settimana precedente (25,3%). 




















































In particolare, su 2.852 campioni clinici ricevuti dai diversi laboratori afferenti alla rete RespiVirNet, 777 sono risultati positivi al virus influenzale, 641 di tipo A (312 di sottotipo H1N1pdm09, 177 H3N2 e 152 non ancora sottotipizzati) e 136 di tipo B. Tra i campioni analizzati, 188 (6,6%) sono risultati positivi per Vrs (virus respiratorio sinciziale), 88 (3%) per Sars-CoV-2 e i rimanenti 259 sono risultati positivi per altri virus respiratori, di cui: 183 (6,4%) rhinovirus, 105 coronavirus umani diversi da Sars-CoV-2, 50 adenovirus, 28 metapneumovirus, 18 virus parainfluenzali e 15 bocavirus».

I vaccini disponibili e quale copertura garantiscono

La vaccinazione è la forma più efficace di prevenzione dell’influenza. Attualmente in Italia sono disponibili vaccini antinfluenzali quadrivalenti che contengono 2 virus di tipo A (H1N1 e H3N2) e 2 virus di tipo B. Nella passata stagione influenzale (2023-24) si è vaccinato appena il 53% della popolazione target cui è raccomandato il vaccino. L’ideale – come spiega in questo articolo Claudio Mastroianni,  past president della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) , professore ordinario Malattie Infettive all’Università La Sapienza di Roma e direttore dell’Unità operativa complessa di Malattie Infettive al Policlinico romano Umberto I «sarebbe che si vaccinasse il 90-95 per cento della popolazione cui è raccomandata, quantomeno dovrebbe farlo il 70-75% della popolazione target – consiglia l’infettivologo –. Come tutti i vaccini, anche il vaccino antinfluenzale non impedisce che ci si possa contagiare, ma riduce complicanze e ricoveri in ospedale».

I vaccini antinfluenzali, ovviamente,  non proteggono da infezioni e malattie causate da altri virus che possono dare sintomi simili all’influenza.

Come mai un picco di casi nei bambini più piccoli? 

L’abbiamo chiesto a Susanna Esposito, responsabile Tavolo Tecnico Malattie Infettive della Società Italiana di Pediatria (SIP), professoressa ordinaria di Pediatria all’Università di Parma, direttrice della Clinica Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera-Universitaria di Parma
«È necessaria una premessa: dalla stagione 2020-2021 il Ministero della salute raccomanda la vaccinazione a tutta la popolazione pediatrica di età compresa tra i 6 mesi e i 6 anni. Nonostante ciò, purtroppo, vediamo che le coperture vaccinali sono bassissime in tutta la popolazione pediatrica e in tutta Italia. Nello specifico, non abbiamo ancora a disposizione i dati di questa stagione, ma se andiamo a vedere quelle che sono state le coperture vaccinali contro l’influenza nella popolazione pediatrica nelle stagioni precedenti, vediamo che sono ancora bassissime.

«Se consideriamo la popolazione pediatrica più a rischio di sviluppare forme gravi, quelle che possono portare all’ospedalizzazione, ovvero la fascia di età inferiore ai 2 anni, vediamo come si passi dalla provincia autonoma di Trento che ha una copertura del 21,22% a regioni come la Sardegna, la Sicilia, l’Abruzzo e la provincia autonoma di Bolzano dove le coperture sono inferiori al 5%” (fonte Ministero della salute, ndr). La cosa interessante è paragonare i dati di copertura della popolazione pediatrica a quelle degli anziani nelle stesse regioni. La vaccinazione (per l’influenza, ndr) in pediatria non è stata percepita come prioritaria, anche in regioni virtuose come l’Emilia-Romagna, che sulle coperture per le vaccinazioni di routine ha le percentuali più elevate a livello nazionale. Questo spiega perché, se guardiamo le curve epidemiologiche, la fascia di età inferiore ai 6 anni continua a risultare la più colpita dalla malattia. Il bambino febbrile, nei primi due anni di vita in particolare, è un bambino che ha sintomi di difficile diagnosi, viene portato dai genitori in pronto soccorso perché spaventati dalla febbre alta, spesso viene trattato con antibiotici e ha più probabilità di venire ricoverato. Mentre quello che ha un’età compresa tra i 2 e i 6 anni è colui che si ammala di più e diffonde la malattia all’interno del nucleo familiare, anziani compresi».

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La previsione di copertura vaccinale di quest’anno è quindi in linea con gli anni precedenti?

«Probabilmente quest’anno potremmo avere dei dati migliorativi, se paragonati alla stagione influenzale precedente, perché comunque ci sono state più iniziative di sensibilizzazione sui pediatri di libera scelta, ma oltre alla raccomandazione ministeriale è necessaria una campagna di informazione che spieghi che si tratta di una vaccinazione importante perché l’influenza nei più piccoli può essere una malattia associata a complicanze. La campagna per la copertura della popolazione degli anziani è stata molto più strutturata, grazie a politiche di sostegno economico e sociale mirate e, quindi le coperture raggiunte sono buone».

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Quali sono i principali rischi di prendere l’influenza sotto i due anni?

«Sotto i due anni aumenta il rischio di sovrainfezioni batteriche – come polmonite e otite -, e l’uso di antibiotici. Nei primi due anni di vita l’influenza è più grave perché il sistema immunitario del bambino non ha incontrato i virus influenzali in precedenza e di solito le manifestazioni cliniche della prima infezione sono, spesso, più rilevanti».

Dopo i due anni?

«Dai due ai sei anni il rischio di sovrainfezioni batteriche è inferiore, il problema grosso è rappresentato dal peso epidemiologico. La prevalenza dell’infezione è molto elevata, questi sono i bambini inseriti negli asili nido e nelle scuole materne, quando si ammalano diffondono la malattia a scuola e in famiglia».

Quali sono i sintomi principali dell’ influenza?

«Ci sono dei sintomi che caratterizzano le sindromi influenzali, ovvero quelle patologie di origine virale che nel nostro emisfero tendenzialmente si presentano nei periodi invernali (tra novembre e fine febbraio, ndr). Questi sintomi sono innanzitutto il rialzo termico, che può raggiungere anche punte di 40° o può essere modesto ma generare malessere. Frequenti sono i sintomi respiratori quali, per esempio, mal di gola, raffreddore e tosse e i sintomi gastrointestinali, come vomito e diarrea. Sotto i due anni di vita il bambino con vomito e diarrea spesso non mangia e non beve ed è a rischio di disidratazione. Sappiamo anche che l’influenza lascia stanchezza e debolezza, il bambino può avere dolori muscolari e mostrarsi apatico o sofferente.

Come bisogna comportarsi?

«È sempre fondamentale seguire un’adeguata convalescenza. Un bambino non va mai “imbottito” di paracetamolo o ibuprofene e mandato all’asilo, ma deve rimanere a casa per un tempo sufficiente a impedire la diffusione dell’influenza in classe. Il rialzo termico dura di solito dai 3 ai 5 giorni, ma finché rimangono sintomi come naso che cola e tosse il rischio di diffondere i virus è ancora presente e, soprattutto nei più piccoli, può essere necessario evitare la frequenza della comunità anche per 10-14 giorni. A proposito di contagio, quello dell’influenza avviene molto facilmente, in genere avviene con una trasmissione che va da 1-2 giorni prima della comparsa dei sintomi fino a 5-6 o, nei casi peggiori, 10-14 giorni dopo. Di solito i soggetti che trasmettono più a lungo la malattia, quindi fino a 10-14 giorni, sono i bambini sotto i due anni di vita e gli immunocompromessi».

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Quali possono essere le principali complicanze dell’influenza?

«I primi due anni di vita sono quelli a maggior rischio di sovrainfezione batterica e di patologie come otiti, rinosinusiti, polmoniti. Vorrei chiarire che non va preso l’antibiotico per evitare la sovrainfezione. L’antibiotico può selezionare resistenze tra i batteri di cui il bambino è regolare portatore e questo può causare sovrainfezioni più gravi. Pazienti con alcune patologie croniche (ad esempio, patologie cardiache, respiratorie o metaboliche), se contraggono l’influenza, possono andare incontro a scompensi della patologia di base. Maggiori rischi ci sono anche per i nati pretermine. Nella fascia 6 mesi – 6 anni sono possibili le convulsioni febbrili, che si verificano solitamente durante bruschi rialzi termici».

Quando andare al Pronto Soccorso?

«Se il bambino ha febbre e ha meno di tre mesi, se il bambino ha da 3 a 12 mesi e il pediatra non riesce a visitarlo nelle 48 ore successive alla comparsa dei sintomi, se il bambino ha un comportamento protratto diverso dal solito (es. irritabile o sonnolento), se non mangia e non beve, se non ha un miglioramento quando la temperatura scende, se fa fatica a respirare, se la pelle è pallida o ha un colorito bluastro con estremità fredde. In caso di vomito e diarrea il bambino va visitato se ha più di tre episodi di vomito in un’ora o se il vomito dura più di un giorno, ma anche se ha un numero di scariche che è molto abbondante con segni di disidratazione (come pelle secca, assenza di lacrime, occhi infossati), o ancora se il bambino appare debole e sonnolente, se è inconsolabile, se non urina da più di otto ore».

Se il bambino non è ancora stato vaccinato, ha senso farlo ora?

«Siamo un po’ in ritardo ma può avere senso vaccinare due categorie di bambini: quelli con patologie croniche a rischio di complicanze che hanno più di 9 anni o che hanno un’età compresa tra i 6 mesi e i 9 anni già vaccinati in passato. Se il bambino appartiene a queste due categorie, vaccinarsi entro la prossima settimana può avere ancora senso perché basta una dose e dopo 10-14 giorni si è protetti. Se invece il bambino ha meno di nove anni e non è mai stato vaccinato ha bisogno di due dosi a distanza di un mese l’una dall’altra e, a questo punto, è tardi».

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Che differenza c’è tra vaccino iniettivo e spray nasale?

«Dal punto di vista dell’efficacia i due vaccini possono essere considerati equivalenti. Quello intramuscolo può essere somministrato a qualsiasi età dai 6 mesi. Lo spray nasale può essere somministrato nella fascia di età tra 2 e 18 anni, è molto semplice da somministrare ma va evitato nei soggetti con alcune patologie croniche».

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