Controlli tecnologici sui lavoratori solo dopo il fondato sospetto

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Nel caso in esame, la Corte d’appello territorialmente competente, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, respingeva il reclamo presentato da una società, confermando la decisione di primo grado. Decisione con cui era stato dichiarato illegittimo, per difetto di giustificatezza, il licenziamento intimato dalla stessa nel febbraio 2017 al vicedirettore generale, avente qualifica dirigenziale. La società era stata condannata, tra l’altro, al pagamento dell’indennità supplementare, dell’indennità sostitutiva del preavviso e della relativa incidenza sul trattamento di fine rapporto.

La Corte distrettuale, nel formulare la propria decisione, richiamava il principio di diritto enunciato in tema di controlli difensivi dalla Corte di Cassazione secondo il quale “sono consentiti, anche dopo la modifica dell’art. 4 dello St. Lav. ad opera dell’art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto”. Ed è proprio alla luce di detto principio che la Corte riteneva i controlli effettuati dalla società e posti a fondamento del licenziamento intimato in contrasto con l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori nella sua versione ratio temporis applicabile.

Il controllo, sottolineava la Corte d’appello, aveva avuto ad oggetto i file di log contenenti informazioni risalenti ad epoca antecedente (informazioni su e-mail inviate dal dirigente nel gennaio 2017) rispetto all’alert (risalente al giorno 8 febbraio 2017) generato dal sistema informatico e, quindi, inutilizzabili ai fini disciplinari.

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La violazione del predetto articolo inficiava, per la Corte, la validità dell’intero procedimento disciplinare, impedendo di trarre elementi di prova dalle giustificazioni rese dal dirigente a fronte di una contestazione illegittima e neppure l’informativa privacy rilasciatagli poteva portare a giudicare leciti i controlli così eseguiti.

La società impugnava, quindi, in cassazione la sentenza della Corte d’Appello, affidandosi a quattro motivi, a cui resisteva con controricorso il dirigente.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, investita della causa, ritiene che i giudici di merito abbiano specificatamente analizzato l’alert inviato dal sistema informatico, giudicandolo idoneo a far sorgere il sospetto di commissione di illeciti da parte del dirigente.

Tuttavia, essi hanno accertato che, a seguito e sulla base dell’alert, la società aveva avviato, per il tramite di tecnici informatici, un “controllo retrospettivo”, ossia incentrato su dati archiviati e memorizzati dal sistema in epoca anteriore all’alert stesso.

La società, così agendo, ha violato l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori che legittima solo i controlli tecnologici ex post, ossia su comportamenti posti in essere successivamente all’insorgenza del fondato sospetto.

La Corte di Cassazione osserva che, in coerenza con il principio di diritto formulato dalla sentenza rescindente, la Corte distrettuale ha individuato il punto di equilibrio tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libera iniziativa economica, e la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore. Equilibrio questo che verrebbe meno qualora si permettesse al datore di lavoro di estendere, alla luce di un fondato sospetto, il controllo difensivo a tutti i dati che, fino a quel momento, sono stati raccolti e conservati nel sistema informatico.

In sostanza, come giustamente rilevato dai giudici di merito, può parlarsi di controllo ex post solo se, a seguito del fondato sospetto circa la commissione di illeciti da parte del lavoratore, il datore provvede, da quel momento, a raccogliere informazioni e solo se dette informazioni “successive” potranno fondare l’eventuale esercizio del potere disciplinare. È, invece, precluso al datore di lavoro ricercare nel passato lavorativo elementi di conferma del fondato sospetto ed utilizzarli per fini disciplinari. Ciò consentirebbe di considerare legittimo l’uso di dati probatori raccolti prima (ed archiviati nel sistema informatico), a prescindere dal sospetto di condotte illecite da parte del dipendente.

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Inoltre, la Corte di Cassazione ritiene corretto la posizione dei giudici di merito che hanno escluso il contenuto confessorio della lettera di giustificazioni del dirigente, avendo questi contestato gli addebiti, rilevato che la contestazione si basava sull’illegittimo accesso al suo indirizzo di posta elettronica in violazione della normativa vigente, reso le proprie difese “senza accettazione del contraddittorio su una contestazione basata su elementi illecitamente acquisiti”.

In considerazione di quanto sopra esposto, la Corte di Cassazione conclude per il rigetto del ricorso presentato dalla società, condannandola alle spese del giudizio di legittimità.

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