Calabria, fertilità e denatalità. Cremonese: «È glaciazione demografica»

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GIOIA TAURO Inverno demografico: la definizione è tranciante ma d’altro canto l’unica possibile per descrivere la situazione attuale in Italia ed ancor di più in quei contesti regionali dove alla diminuzione del numero complessivo delle nascite si associa il drammatico fenomeno dello spopolamento, con la migrazione di decine di migliaia di persone nella cosiddetta “età fertile”. Il tema è complesso e le cause molteplici, si va da quelle propriamente medico-sanitarie agli stili di vita, alle mutate e ben più difficili condizioni economiche e lavorative delle donne e delle potenziali famiglie.
«Il nostro indice di fecondità – spiega al Corriere della Calabria Leona Cremonese, CEO del GATJC Fertility Center – che significa numero di figli per donna in età fertile è di 1,34, ma i dati ancora non ufficiali segnalano un ulteriore diminuzione a 1,26. Spagna e Italia sono fanalino di coda in Europa. È una condizione problematica che appare, peraltro, inarrestabile e bisognerebbe invertire al più presto la rotta avvalendosi anche degli strumenti di welfare. Il problema non è solo medico ma anche sociale ed economico, tra l’altro si è spostata in avanti l’età della donna che partorisce, si è sempre di più in ritardo nella costruzione della famiglia perché prima di affrontare l’impegno della genitorialità si attende giustamente una sicurezza economica e lavorativa. In alcuni contesti come la Calabria possiamo anche parlare di glaciazione demografica perché qui al problema della denatalità, che è nazionale, va sommata l’emigrazione di decine di migliaia di giovani, in questo momento solo 340mila persone si trovano nella cosiddetta età fertile».

Uno scenario poco incoraggiante

Quanto alle cause della drastica diminuzione delle nascite Cremonese specifica «dal punto di vista biologico si dovrebbe procreare in un’età compresa tra i 15 ed i 25 anni, questo ovviamente non succede più ma quando si supera l’età più adeguata alla procreazione sorgono inevitabilmente dei problemi medici amplificati anche dallo stile di vita. Noi siamo ciò che mangiamo, beviamo, respiriamo e la situazione complessiva ci porta a dire che, purtroppo, i gameti sia maschili che femminili non hanno la qualità che avevano qualche decennio fa. Attenzione, quando parliamo di gameti con una qualità non ottimale parliamo anche di donne giovani, i fattori sono molteplici, pensiamo ad esempio alle microplastiche che incidono tantissimo». Uno scenario, dunque, affatto incoraggiante e che impone riflessioni sugli strumenti di intervento «le tecniche di procreazione medicalmente assistite sono entrate a far parte dei Lea, i livelli essenziali di assistenza, nel 2017 ma purtroppo è tutto bloccato, il 28 gennaio prossimo il Consiglio di Stato dovrà esprimersi».

La procreazione medicalmente assistita

La vicenda è quella relativa al decreto del Ministero della Salute che ha fissato le tariffe aggiornate per le nuove cure e prestazioni garantite ai cittadini dal Servizio sanitario nazionale (Ssn), gratuitamente o con il pagamento di un ticket, decreto che sarebbe dovuto entrare in vigore ma sospeso dal Tar del Lazio che ha accolto il ricorso proposto da centinaia di strutture e laboratori accreditati, insieme alle maggiori associazioni di categoria, che lamentavano la mancata considerazione dell’andamento dei costi produttivi aggiornati. Ancor più complesso il ragionamento sulla procreazione medicalmente assistita, «servirebbe una tariffa unica – evidenzia Cremonese – invece oggi dipende da dove si nasce, ci sono regioni virtuose come Lombardia ed Emilia-Romagna che dovrebbero dare una sorta di maxiticket, per i residenti la regione pagherebbe un costo di 2.700 euro a trattamento. Tenga conto che con questa cifra – ed è il tema dei tariffari aggiornati – è difficile fare un ciclo di procreazione medicalmente assistita perché non si coprono i costi, le faccio giusto un esempio, da tariffario il costo di un esame di liquido seminale è di 7 euro, ma solo un gradiente per realizzarlo costa 9 euro a cui aggiungere il costo del biologo, della provetta, ecc. ecc. Le aggiungo anche un altro aspetto, anche se il percorso di procreazione medicalmente assistita entra a far parte dei Lea il problema è che hanno fissato come criterio 6 cicli di omologa fino a 46 anni, peccato che a quell’età è quasi impossibile ottenere dei risultati con propri ovociti. Dopo i 38 anni è tutto molto più difficile, non basta fare procreazione medicalmente assistita e, quasi fosse una conseguenza immediata, rimanere incinta ed avere un bambino. Sui Lea poi mi consenta anche di evidenziare un altro aspetto, sono infatti rimasti fuori la genetica preimpianto e la preservazione della fertilità nei pazienti oncologici».

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In Calabria costi per 4/4.500 euro

Al fondo delle considerazioni, ed in attesa della decisione del Consiglio di Stato, ci sono poi gli aspetti legati alle diversità regionali. «In Calabria il costo per ricorrere alla procreazione medicalmente assistita si aggira sui 4/4.500 euro ma poi ci sono vari esami e questi andrebbero richiesti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Oggi non è così, la Calabria ad esempio chiede alcuni esami virologici, la Toscana no. Andare in ordine sparso e con una differenziazione di costi non è una giusta prospettiva». I conti d’altro canto sono presto fatti: «Ogni 2 milioni di abitanti sono necessari percentualmente più di 2mila cicli di procreazione medicalmente assistita, oggi in Calabria se ne fanno circa 600, altri 1800 circa vengono fatti fuori regione perché purtroppo anche questi trattamenti entrano a far parte della cosiddetta migrazione sanitaria. Di fatto per essere sostenibili e rispondere alla richiesta dei pazienti per la nostra regione i trattamenti garantiti dovrebbero essere almeno 2.000, senza considerare che un unico soggetto in un anno può fare due o tre cicli».
Una situazione, dunque, che appare abbastanza critica, intanto per la questione economica con i tariffari aggiornati che non coprirebbero i costi vivi della procreazione medicalmente assistita, poi per la differenze tra regione e regione in ordine ai trattamenti, ed infine per la Calabria anche il tema del numero complessivo dei trattamenti con un peso economico che aumenta a causa della migrazione sanitaria. E sotto quest’ultimo aspetto con regioni che accolgono pazienti extraregionali applicando costi notevolmente superiori. (redazione@corrierecal.it)

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