“Fiori di filo spinato”: un graphic novel per dare voce alla speranza dei giovani tra le ciminiere di Priolo

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Sullo sfondo distopico della città in provincia di Siracusa, lacerata da un asfissiante inquinamento e preda di una misteriosa malattia chiamata “Il Fiore”, i giovani siciliani Giuseppe Montagna e Chiara Lo Sauro (in arte Maxem e Kizazu) mettono in scena la storia di alcuni ragazzi che lottano con tutte le loro forze contro questa deriva distorta del progresso. «Volevamo che l’arte servisse ad informare e smuovere gli animi. Abbiamo deciso di offrire un’immagine diversa della nostra terra, lontana dall’idillio vacanziero, raccontando le complessità e le contraddizioni di una Sicilia reale»

Se da un lato i giovani in Sicilia sono sempre meno, dall’altro, quando vanno via, non smettono mai di pensare alla loro terra. È il caso degli artisti Giuseppe Montagna (Maxem) e Chiara Lo Sauro (Kizazu), autori di Fiori di filo spinato (Edizioni BD, 2024), graphic novel che esplora le contraddizioni di una Sicilia segnata dall’inquinamento e dal peso del polo petrolchimico di Priolo.

In questo scenario dai tratti fortemente distopici si muovono i protagonisti Vasco da Gama e Marco Polo, giovani che esprimono il proprio disagio incendiando ciò che per loro rappresenta il simbolo di un progresso distorto, che lottano tra il desiderio di cambiare un mondo lacerato dall’industrializzazione e la difficoltà di spezzare le catene di un sistema radicato. E poi c’è Lenea, un giovane liceale, che affronta gli effetti devastanti di una nuova malattia legata all’inquinamento, il “Fiore”, che minaccia vite umane e ambiente. «Parliamo spesso della Sicilia – spiegano gli autori – anche con chi siciliano non è. Non vogliamo limitarci a lodarla con amore cieco, ma cerchiamo di smontare i luoghi comuni, mantenendo uno sguardo critico, soprattutto quando si è lontani e la memoria tende a idealizzare».

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Il progetto – per il quale Lo Sauro ha curato le tavole e Montagna la scrittura – nasce da un’iniziativa di autoproduzione, con l’intento di affidare all’arte il compito di informare e sensibilizzare il pubblico su un argomento complesso e decisamente attuale. Pubblico che, attraverso festival del fumetto e tam tam in rete, ha accolto il prodotto con grande favore, fino a renderlo appetibile anche per realtà editoriali strutturate.

Come è nata l’idea di realizzare questa graphic novel? Perché avete scelto proprio la raffineria di Priolo come elemento centrale della storia?
Maxem: «L’idea è nata durante il periodo del Covid, quando Chiara disegnava spesso Lenea, un personaggio che poi è diventato centrale nella storia. Intanto, io scrivevo racconti brevi, anche fantastici, che però già affrontavano temi come l’inquinamento, a me molto cari anche in virtù della mia breve esperienza come operaio. Inizialmente pensavo all’Ilva, ma una foto trovata online ha cambiato tutto: mostrava una spiaggia con le ciminiere sullo sfondo, e ci siamo resi conto che era Priolo, un luogo vicino a casa nostra. Siamo andati sul posto spinti dalla curiosità e ci ha colpiti profondamente. Di notte, le luci della raffineria si riflettono sul mare creando un contrasto affascinante e ingannevole, quasi surreale. Priolo è diventato così il simbolo perfetto delle contraddizioni che volevamo raccontare»

Come avete approcciato il tema? E in che modo vi siete documentati?
«Abbiamo utilizzato una quantità enorme di materiali: videointerviste, libri e servizi giornalistici, molti dei quali raccontavano le proteste degli operai e le difficoltà degli abitanti di Priolo, proteste non sempre contro il polo petrolchimico, ma anche contro gli altri operai provenienti da altre regioni del sud a” rubare” il lavoro. Un servizio Rai sui primi problemi ambientali della zona è stato il punto di partenza, e da lì abbiamo scoperto dei dati di una gravità disarmante in merito all’aumento di malattie come il cancro, dovute all’inquinamento. Ci siamo immersi in questa realtà, leggendo tutto ciò che trovavamo e verificando i dati per assicurarci che fossero il più accurati possibile, dato che spesso numeri e informazioni variavano da fonte a fonte. Un ruolo importante lo ha avuto anche Il libro Mare color veleno di Fabio Lo Verso, uscito mentre stavamo completando il fumetto, che ci ha aiutato a sintetizzare il materiale raccolto in anni di ricerche. Abbiamo anche creato un archivio visivo che fosse d’aiuto per i disegni»

Perché avete scelto come titolo Fiori di filo spinato? Cosa rappresenta questa immagine?
«I fiori di filo spinato sono i giovani ribelli della storia, quasi eco-terroristi mossi dalla disperazione. L’idea iniziale era quella di creare un romanzo con protagonisti proprio degli eco-terroristi, che sarebbero stati ispirati a gruppi attivi in Inghilterra e America, dove giovani pieni di rabbia compiono azioni estreme per protestare contro l’industria e l’inquinamento. In Italia, questo fenomeno era poco conosciuto, ma ci intrigava riportare quell’energia ribelle in un contesto locale. I nostri personaggi, Vasco da Gama e Marco Polo, incarnano questa rabbia, ma in modo più goffo e umano. Sono loro a lasciare un messaggio di speranza per i più giovani. Ma nel libro i punti di vista sono numerosi: alcuni personaggi restano immobili e accettano passivamente una realtà che sembra inevitabile. Il polo, dimesso in Texas e trasferito in Sicilia negli anni ‘50, ha trovato la comunità, con la sua forte identità agricola, impreparata a gestire il cambiamento. Ha portato lavoro sicuro, ma a che prezzo? Pensiamo che, nella realtà, sia fondamentale agire per cercare un cambiamento positivo, perché rimanere fermi non porta a nulla. È necessario muoversi, pacificamente, e smettere di condannare chi sceglie di agire per fare la differenza».

La Sicilia che appare nel testo riflette la vostra visione personale?
«Sì, la Sicilia che abbiamo rappresentato rispecchia il nostro modo di percepirla, ma in modo critico e vicino alla realtà. Spesso si idealizza il Sud come il luogo delle famiglie unite e felici, ma la verità è che senza stabilità economica anche le famiglie possono essere fragili e instabili, soprattutto in certi quartieri. Abbiamo voluto offrire un’immagine diversa, lontana dall’idillio vacanziero, raccontando le complessità e le contraddizioni di una Sicilia reale. Un esempio è la cultura dei quartieri catanesi, che ci interessa molto: una subcultura nata dalla mancanza di opportunità e lavoro. È una realtà complessa, un altro volto della nostra terra».

«Che emozione è stata raccontare la terra dalla quale vivete lontano?
È stato un processo intenso, soprattutto durante la fase di documentazione. Scoprire la diffusione della malattia legata all’inquinamento è stato un colpo duro, una tristezza che ha accompagnato tutto l’iter creativo. Inizialmente non avevamo pianificato di parlare della Sicilia, ma ci siamo resi conto di quanto ci fosse da raccontare. Nonostante viviamo lontano, la nostra terra continua a essere una fonte inesauribile di storie, fatta di contraddizioni estreme e dinamiche molto complesse. Raccontarla è stato naturale, perché conosciamo bene questa realtà e, allo stesso tempo, viverne lontano ci ha permesso di guardarla con una nuova prospettiva. La Sicilia è così ricca di sfaccettature che, anche quando cerchi di allontanartene, ti ritrovi inevitabilmente a parlarne.

Che consiglio dareste a chi desidera avventurarsi professionalmente nel mondo dei fumetti?
«È fondamentale essere consapevoli che non arriverà un riscontro economico nell’immediato, quindi bisogna prepararsi a lavorare con costanza e passione. L’artista non è qualcuno che crea sporadicamente, ma una persona che dedica ogni giorno al proprio lavoro. Arte e lavoro sono sinonimi, non contrari. Inoltre, è importante entrare nell’idea che ci si deve evolvere continuamente. Basta guardare il nostro fumetto per notare chiaramente questo aspetto confrontando la prima e l’ultima tavola».

Con il coraggio dei loro protagonisti e la passione che li guida, Giuseppe e Chiara dimostrano che l’arte può essere uno strumento di resistenza e cambiamento. E forse, come suggeriscono le loro parole e le loro tavole, è proprio muovendosi – raccontando, disegnando – che si può iniziare a immaginare una Sicilia diversa, più giusta e consapevole, capace di dare nuove opportunità a chi, come loro, non smette di crederci.

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