A Venezia, per ogni residente ci sono almeno 21 turisti. Questo dato fotografa con brutalità la trasformazione delle nostre città storiche in parchi tematici, dove il turismo di massa non è solo un fenomeno economico, ma il motore di una crisi demografica e culturale che consuma lentamente il cuore stesso delle città.
Numeri altisonanti, come quelli diffusi dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO), raccontano una storia diversa: nel 2024, i turisti nel mondo hanno raggiunto la cifra record di 1,4 miliardi, superando i livelli prepandemia, con entrate stimate a 1.400 miliardi di dollari. Una ripresa apparentemente trionfale, ma che cela una domanda cruciale: a quale costo?
La presunta ricchezza generata dal turismo di massa nasconde un impoverimento più profondo: mentre le casse comunali e quelle di albergatori, multiproprietari, grandi imprenditori, banche centrali, società multinazionali e tutta una fitta serie di soggetti terzi si riempiono di introiti turistici, le città si svuotano di quel capitale umano e culturale che le ha rese attraenti. È un circolo vizioso in cui il successo turistico divora proprio ciò che lo ha generato.
Una riconversione urbana che uccide
Una riconversione urbana che uccide, dietro il cui apparente bagliore si nasconde una realtà più cupa: l’esodo dei residenti, il vertiginoso aumento degli affitti, e i centri storici ridotti a decorazioni inanimate. Al posto delle voci dei bambini che giocano nelle piazze, rimane solo il rumore incessante dei trolley che rimbalzano sui sampietrini, simbolo di un turismo che consuma senza mai fermarsi. Eike Schmidt, attuale direttore del Museo di Capodimonte a Napoli ed ex direttore degli Uffizi di Firenze, coglie l’essenza del problema: «Ogni città ha la sua anima. E ogni volta che un appartamento viene trasformato in un affitto breve per i turisti, quella città perde un pezzo di sé».
Un monito che risuona per tutte le città, non solo quelle italiane. Roma, Venezia, Firenze, Milano, ma anche gioielli più piccoli come Assisi, Matera e Siena, un tempo cuori pulsanti della cultura, dell’arte, della storia, oggi si trovano sempre più ridotte a macchine per generare reddito.
L’immagine della città che accoglie e che abita, che crea e favorisce la creazione, è stata sostituita dalla città che consuma e si fa consumare. Un organismo vivo, trasformato in un palcoscenico statico, dove l’anima si dissolve tra il bagliore dei selfie e il riflesso delle vetrine. In un mondo che sembra aver smarrito la bussola, l’overtourism è il sintomo di una crisi non solo economica, ma culturale e politica.
Le città, da luoghi di aggregazione e scambio, si sono trasformate in parodie di sé stesse. Il fenomeno dilaga a macchia d’olio, invadendo luoghi fino a poco tempo fa preservati, come le Cinque Terre in Italia, dove per cercare di contenere i flussi è stato introdotto il numero chiuso. È una vera e propria emergenza che attraversa ogni angolo del pianeta, dai centri storici europei a realtà lontane come Tokyo, Bangkok, New York.
Gli affitti brevi e la «rigenerazione urbana»
Negli ultimi dieci anni, e con un’accelerazione esponenziale dopo il Covid, il fenomeno degli affitti brevi ha rimodellato i centri urbani. A Barcellona, si stima che il 35% delle abitazioni siano riservate a brevi soggiorni turistici. Berlino ha imposto restrizioni già nel 2019, mentre a New York, oltre 60.000 appartamenti sono stati convertiti per il turismo.
La cosiddetta «rigenerazione urbana» – spesso un eufemismo per mascherare la gentrificazione – sta ridisegnando le città secondo i bisogni dell’industria turistica, con effetti devastanti sull’identità locale e la qualità della vita. Come ricordava Italo Calvino nelle sue Città invisibili «D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». Oggi, però, le nostre città sembrano aver perso la capacità di rispondere. Il loro cuore pulsa ancora, ma il respiro è diventato affannoso, come quello di un corpo che si trascina senza più direzione, assediato da turisti incapaci di vedere oltre la superficie. Il silenzio che a tratti pervade le strade non è più il silenzio della riflessione, ma di un vuoto che avvolge ogni angolo, ogni pietra, come un pesante sudario.
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