Daniel Bar Tal, conflitti intrattabili

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 


Nel 2016, alle soglie del cinquantenario della «Guerra dei 6 giorni» (5-10 giugno 1967), quando Daniel Bar-Tal lancia la piattaforma SISO (ovvero Save Israel Stop Occupation; “Salviamo Israele, Fermiamo l’occupazione”), ha alle spalle una lunga carriera di impegno scientifico e culturale verso la pace. Non meno di tre anni prima (nel 2013) per Oxford University Press ha curato con Izhak Schnell un libro fondamentale sul tema dal titolo The Impacts of Lasting Occupation.

La convinzione che accomuna i due curatori e tutti gli studiosi che partecipano a quella iniziativa editoriale è che un’occupazione prolungata nel tempo generi un sistema politico, sociale, militare, economico che colpisce sia chi viene occupato sia chi esercita l’occupazione. Le conseguenze per i palestinesi sono: privazione di molti diritti civili, umiliazione economica, perdita di beni e proprietà. Per gli israeliani, la scomparsa del carattere democratico dello Stato.

SISO nasce da quelle premesse e in meno di poche settimane raccoglie molte adesioni Tra loro gli scrittori Amos Oz (Cari fanatici è il risultato di quella scelta pubblica) e David Grossman, ex ambasciatori e dirigenti del ministero degli Esteri come Elie Barnavi, Colette Avital e Ilan Baruch, storici come Zeev Sternhell, un illustre accademico come Avishai Margalit e tante altre personalità.

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

Le trappole dei conflitti intrattabili che arriva in traduzione italiana in queste settimane non è dunque un pamphlet che nasce dentro la crisi aperta dai fatti del 7 ottobre. Ha dietro le spalle una lunga e convinta riflessione pubblica su cosa sia la crisi idi Israele, ma anche come si possa scavare nei sentimenti e nelle convinzioni profonde conseguenti alla condizione di occupazione prolungata.

Tutto il libro si tiene su tre premesse fondamentali.

La prima premessa consiste nell’aggettivo «intrattabile» con cui indica la natura del conflitto israelo-palestinese (un conflitto che non è unico nella storia. Significativamente Bar-Tal ricorda quello tra musulmani e hindu in Kashmir; quella tra cingalesi e Tamil in Sri Lanka; quello tra greci e turchi a Cipro; quello tra turchi e curdi; quello tra russi e ceceni).

Quattro le proprietà con cui Bar-Tal connota un conflitto come “intrattabile”. È un conflitto estremamente violento. Poi si fissa su obiettivi considerati irrinunciabili da ciascuna delle parti in conflitto. Poi dura almeno per una generazione. Infine quel conflitto diviene parte dell’identità per ciascuna delle parti. Il venir meno del conflitto dunque è percepito come un «abbandono della causa». Ovvero come un «tradimento».

La seconda premessa è che se noi limitiamo lo sguardo alla storia del conflitto israelo-palestinese non è vero che sia stato un tempo fermo dall’inizio. Quel conflitto ha avuto momenti di assoluto scontro e momenti di abbassamento del conflitto fino a raggiungere nel corso degli anni ’90 del XX secolo un punto di soluzione possibile. Poi di nuovo le possibilità si sono dissolte. Per questo è importante individuare quando avviene questo processo nonché quale eredità lascia sul campo quella eclissi di possibilità.

Dentro a quel percorso che avviene per circa cinquant’anni – ovvero tra 1948 e inizio XXI secolo – non c’è un tempo fermo. Ci sono molti elementi che cambiano e che segnano alti e bassi, ma soprattutto non definiscono ancora una condizione irreversibile. Per esempio le conseguenze della «Guerra dei 6 giorni» indicano una possibilità di trasformazione della società israeliana che alcune voci morali inquiete di Israele – una fra tutte Yeshayahu Leibowitz (1903-1994) – non mancano di mettere in guardia già dal 1968. Bar-Tal riporta ampi stralci di un saggio di Leibowitz pubblicato nell’aprile 1968 [pp. 14-5] ma si veda anche questa lunga intervista che Leibowitz rilascia nel 1986 al “Journal of Palestine Studies”. Il tema è molto semplice: l’occupazione corromperà la natura morale del Paese, creando di fatto una cultura di cittadini di serie A e cittadini di serie B. Ma quel processo ha ancora possibilità di imboccare strade diverse.

E qui Bar-Tal indica la terza premessa: la convinzione che le narrative favorevoli al conflitto costituiscono il principale ostacolo alla sua soluzione pacifica. Quella convinzione si costruisce in relazione a vari fattori e coinvolge attori politici, sociali e culturali. Soprattutto genera e a sua volta definisce azioni, convinzioni, immaginari, politiche che definiscono piattaforme di azione di governo che a loro volta, proprio in relazione a quelle narrative, generano nuove configurazioni sociali, nuove agenzie politiche e culturali.

Diventa allora essenziale comprendere quando queste narrative generano una nuova opinione pubblica e perché.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Daniel Bar Tal precisa come fin dal costituirsi dello Stato di Israele si sia definita una diffidenza fondata dalla convinzione che l’unica possibilità di sopravvivere fosse non abbassare la guardia. Una condizione che caratterizza i primi venti anni dell’esistenza dello Stato e che s’innesta all’indomani della «Guerra dei 6 giorni» con quella che nutre il sogno del “grande Israele” che accomuna la destra sionista e le componenti religiose messianiche che danno vita ai movimenti che sostengono le politiche di colonizzazione di insediamento nella Valle del Giordano [per una ricostruzione di quel fenomeno è ancora utile Terra e redenzione di Renzo Guolo].

Quel processo subisce un contraccolpo nel novembre 1977 quando Sadat va a Gerusalemme. Quella scena non prevista interrompe la «confort zone» di una convinzione: l’assoluta certezza che niente possa cambiare. Quel gesto non è la soluzione, ma genera una possibilità di attesa che rompe la trama consolidata e certa su cui si è costruita la quotidianità. Tutto è da costruire, ma l’effetto è appunto la rottura di una consuetudine.

Quel processo con molte oscillazioni, osserva Bar-Tal si interrompe all’inizio degli anni 2000. In quel momento una società politica e culturale, che sostanzialmente era polarizzata in maniera equilibrata, di fronte al fallimento dei negoziati di Camp David nel 2000 tracolla. Da quel momento credere alla possibilità di un processo di normalizzazione è considerato illusorio.

A partire dal fallimento di quella ipotesi partono in sequenza nuove dinamiche di conflitto: la camminata di Ariel Sharon sulla spianata delle moschee (28 settembre 2000) a indicare che quell’accordo se anche partisse troverà la metà del paese non disponibile. Un gesto che forse serve a Sharon, leader della destra, a non lasciare il passo a Netanyahu assolto in quei giorni dall’accusa di frode e dunque di nuovo in campo a contrastarne la leadership a destra.

Poi, nell’ordine: l’inizio della seconda intifada, l’innalzamento degli attentati suicidi, la ritirata da Gaza decisa da Sharon nell’estate 2005, che non è un investimento su un futuro negoziale, ma la determinazione a scegliere senza concordare un processo di pace con chicchessia. Ovvero un non riconoscimento, una delegittimazione dell’avversario/interlocutore con cui si dovrebbe costruire il percorso di chiusura del conflitto.

In breve quello che Bar-Tal chiama un «ritorno al conflitto, fondato nell’opinione pubblica israeliana su una convinzione pessimista: la non possibilità di una qualsiasi soluzione di pace e la diffidenza sulle “reali” intenzioni dei palestinesi. Processo reciproco, peraltro che vale anche per i palestinesi verso gli israeliani.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Quello che fino agli anni ’90 sembrava, per quanto difficile, ancora un percorso possibile tra una destra che non credeva a una possibilità di accordo e una sinistra che scommetteva su quella possibilità come il gancio di riscatto verso il futuro, si interrompe e si insabbia. Ma soprattutto una parte dell’opinione che si era collocata a sinistra lentamente si sposta a destra, non solo perché i palestinesi non sono ritenuti affidabili, ma soprattutto perché la percezione è che le loro leadership non vogliano la pace e dunque in realtà l’intifada non sia una rivolta «dal basso» contro una guida politica che ha intrapreso una strada di chiusura del conflitto non accettata, ma sia la dimostrazione di un sostanziale doppio gioco.

Da quel momento, osserva Bar-Tal, lo spirito della destra è diventato dominante. Il processo di pace non garantisce il futuro, intensifica la privazione. Le parti tornano a uno scontro violento.

A differenza di molto conflitti «intrattabili» risolti pacificamente (Irlanda del Nord, Paesi Baschi, El Salvador, per esempio) le opinioni pubbliche israeliana e palestinese ritengono che i bisogni più importanti non siano stati soddisfatti dal processo di avvio delle risoluzioni del conflitto.

Così quelle che erano state le componenti emozionali e di convinzione che avevano fondato il vissuto collettivo nazionale nei primi venti anni di esistenza dello Stato – tra queste: giustezza del conflitto, sicurezza, delegittimazione dell’avversario, immagine positiva di sé, vittimizzazione – tornano ad essere gli elementi di costruzione dell’identità emozionale su cui si costruisce la politica successiva al ritorno al governo di Ariel Sharon nel marzo 2001 e che inaugura il nuovo ciclo politico nei venti anni successivi (ovvero fino ad ora). Nel frattempo qualsiasi percorso di pace fallisce, compreso il progetto di pace presentato da Donald Trump nel gennaio 2020.

Insieme a questo, altri processi caratterizzano il periodo politico inaugurato prima con Sharon e poi avviato dalla ascesa politica di Netanyahu e soprattutto nel tempo lungo del suo secondo ciclo politico (tra 2009 e 2021) che può essere riassunto i due dati fondamentali: da una parte le politiche insediative nei territori di Cisgiordania, dall’altra la presenza numericamente consistente all’interno dell’esercito della componente religiosa.

“Il sionismo religioso – scrive Bar-Tal – è diventato una forza trainante nella diffusione dell’ideologia e delle idee che guidano oggi lo Stato nell’emanazione delle leggi, nella nomina dei giudici, nella determinazione delle regole comportamentali sociali, nella preparazione di piani di studio e nel decidere la distribuzione del budget delle scuole, nelle supervisione delle attività extracurriculari, nelle relazioni fra gruppi nella società israeliana, nell’istituire le colonie e nel determinare le relazioni con gli ebrei della diaspora”.

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

In breve la costruzione di una nuova identità collettiva.

Il che ci fa capire come, nonostante la mobilitazione per fare in modo che la corte suprema non sia espressione della maggioranza del suo sesto governo inaugurato il 29 dicembre 2022, quel processo di trasformazione abbia alle spalle un tempo molto più lungo e che la posta politica in gioco, anche se fortemente segnata dagli avvenimenti aperti con l’attacco e le stragi perpetuati da Hamas il 7 ottobre mattina e poi segnata dalla risposta militare di Israele a quell’attacco, sta dentro un profilo di trasformazione molto più profondo e radicale.

Daniel Bar-Tal insiste su questo fatto e precisa fin dalle prime pagine come quella crisi riguardi tutte le parti coinvolte nel conflitto: gli israeliani e il profilo della formazione delle loro convinzioni profonde non disponibili al compromesso, e contemporaneamente i palestinesi che non hanno meno responsabilità dall’altra parte. “La visione del mondo dei palestinesi – scrive Bar-Tal nelle prime pagine – è abbastanza simile a quella della società ebraica e attualmente presenta un’immagine invertita allo specchio simmetrica all’altra “.

E tuttavia, proprio perché convinto che l’attuale condizione sia il risultato di scelte politiche e culturali, Bar-Tal conclude che solo affrontando il nucleo centrale della questione sia possibile individuare un’ipotesi di uscita.

Ipotesi che non consiste in un’improvvisa inversione di tendenza, ma che necessita di un lungo percorso. Percorso, precisa, che sarà solo conseguente a una profonda revisione di scelte, culture, vocabolario politico che tutti insieme hanno costruito lo scheletro emozionale, culturale e politico che ha dato forma all’immaginario sociale e dunque alla macchina argomentativa che ha costruito negli ultimi cinquant’anni le azioni di tutti gli attori attivi sul campo.

La chiusura di un conflitto intrattabile, implica smontare le narrazioni a supporto del conflitto. Materiali di riflessione modalità di azione e procedure esistono e costituiscono un corpo di pratiche, di testi, enorme. Ma quel materiale resta carta o supporto digitale a fronte di una retorica pubblica che lo confina negli scaffali delle biblioteche o nei repositories. Non trova la strada per diventare linguaggio pubblico.

La conclusione di Daniel Bar-Tal è che non sarà tirando fuori una qualche «soluzione geniale» o una «pensata stravagante» che sarà possibile inaugurare un nuovo tempo o che potrà segnare la differenza. Di nuovo occorre investire in un percorso generazionale. Occorrerà tempo, molto tempo e, soprattutto, non mollare.

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link