Tutte le mosse di De Luca e Zaia sul terzo mandato

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Terzo mandato, analogie e differenze fra De Luca e Zaia. La nota di Sacchi.

Difficile prevedere quale sarà l’esito del complicato puzzle delle candidature alle Regionali determinato dalla sorte del terzo mandato. Innanzitutto perché la palla è passata alla Corte costituzionale dopo la decisione del Consiglio dei ministri (con differenze di opinioni all’interno perché la Lega è a favore del terzo mandato) di impugnare la legge campana che permetterebbe al governatore del Pd Vincenzo De Luca di ricandidarsi. Un po’ più facile forse però prevedere fin da ora che nel centrodestra, sulla candidatura del governatore leghista veneto Luca Zaia anche questa legata al terzo mandato, non finirà in rissa come è già finita a sinistra dove De Luca ha appena incominciato a dare fuoco alle polveri, avvertendo il Pd: “Io vado avanti, lo stesso”.

Questo non significa affatto che la Lega stia tranquilla e accetti senza colpo ferire che Zaia non si possa più ricandidare. Dalla Lega, a cominciare dal Veneto, è muro a difesa di Zaia e comunque di una candidatura “in continuità”, dice il sottosegretario al ministero delle Imprese, Massimo Bitonci.

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Come si evince anche da altre significative reazioni, come quella del giovane vicesegretario federale Alberto Stefani – fresco di nomina da parte di Matteo Salvini ai vertici di Via Bellerio e segretario della Liga Veneta, con la benedizione dello stesso Zaia – le parole di Giorgia Meloni l’altro ieri alla conferenza stampa di inizio d’anno sul fatto che il Veneto vada a FdI (dopo gli elevati consensi ricevuti, ndr) non sono affatto suonate come musica alle orecchie leghiste. Intanto, l’assessore veneto Roberto Marcato ha già minacciato che la Lega correrà da sola. Ma, si sa, la partita deve ancora iniziare. E il giovane Stefani con toni più misurati ma non per questo meno fermi ha già detto in sintonia con Salvini che in ogni caso il candidato deve andare alla Lega.

La trattativa sarà complessa ed è anche legata alle candidature delle altre Regioni (Toscana, Marche, Puglia, Campania, Valle d’Aosta), quelle dove si voterà nel 2025 insieme con il Veneto. La partita è naturalmente intrecciata con i risultati che la Lega otterrà sull’Autonomia. Salvini finora ufficialmente si è limitato a proporre che in Veneto si spostino le elezioni nel 2026 per consentire a Zaia di inaugurare quelle Olimpiadi invernali Milano-Cortina al cui ritorno ha dato un contributo decisivo.

FI fa asse con FdI contro il terzo mandato. La partita non è semplice e il centrodestra è obbligato a trovare la “quadra”, detto alla maniera di Bossi, in quel Veneto, dove Zaia ha oltre il 70 per cento dei consensi. Ma una cosa è certa: il “doge” non è il pirotecnico De Luca. E il centrodestra pur nelle sue differenze interne non è il cosiddetto campo largo senza bussola che però guai a sottovalutare nelle elezioni amministrative e regionali dove il voto non è sempre meccanicamente sovrapponibile a quello nazionale o delle Europee. La sinistra ha già approfittato come è accaduto in Sardegna e Umbria degli errori nelle divisioni della coalizione di governo.

Tornando a Zaia e De Luca, oggettivamente legati dal terzo mandato, per quanto abbiano un rapporto di simpatia e cordialità, come hanno testimoniato alcuni siparietti nel Transatlantico di Montecitorio durante la ri-elezione di Sergio Mattarella, i due sono personaggi quasi agli antipodi. Riservato e diplomatico nei rapporti interni di partito Zaia, fino ad essere definito da Umberto Bossi “il democristianone” (del resto, la Liga Veneta viene proprio dalla Dc); irriverente, colorito, masaniellesco, fino ad elevare i toni all’ennesima potenza contro leader e compagni di partito, De Luca.

Zaia comunica un progetto per il Veneto e per l’Italia, quell’Autonomia differenziata già inserita nella Costituzione, per la quale al referendum regionale ci fu un plebiscito bulgaro. E Zaia, uomo del territorio, “Luca uno di noi”, come dicono nel Veneto che lo ama molto, è granitico nella sua volontà di realizzare la promessa fatta alla sua gente. De Luca nella sua battaglia invece, con tutto il rispetto per la sua linea riformista in una sinistra che lui ha già definito estremista e gruppettara, oggettivamente riporta alla ribalta le eterne lotte interne dell’opposizione. Quando era sindaco di Salerno De Luca adottò ricette sulla sicurezza che gli fecero guadagnare il soprannome di “sceriffo del Sud”. L’altro, quello originale è al Nord: l’ex sindaco leghista di Treviso, Giancarlo Gentilini, tra i “maestri” di Zaia.

Ma al “doge”, un vero self made man, da ragazzo inventore dei volantini da discoteca, quando era pr al “Manhattan” di Godega S.Urbano, non è molto esatto attribuire mentori. A fare pressione per il terzo mandato è anche il governatore leghista del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga. Graffiante è il commento del senatore e economista leghista, Claudio Borghi, su X: “Se c’è una cosa che capisco poco è il limite dei due mandati. È nient’altro che grillanza. Se i cittadini si trovano bene con un rappresentante perché mai impedirgli di votarlo?”. Per Borghi, “bisognerebbe se mai abolire la legge Severino e gli altri limiti alla libera scelta del popolo”.

E, comunque, qualsiasi cosa si decida, Zaia, già ministro dell’Agricoltura di Silvio Berlusconi, cui era molto legato, è una importante risorsa per tutto il centrodestra che sbaglierebbe ad affrontare il terzo mandato come fosse questione di potere personale del governatore più votato d’Italia. Sarebbe miope non tenerne conto. Ma c’è già chi non esclude che il premier Giorgia Meloni, ovviamente con il decisivo Salvini e in buoni rapporti con “Il doge”, alla fine possa trovare la “quadra” anche su questo.



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