Costruire un mondo nuovo – L’Osservatore Romano

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Mentre ci avviciniamo al venticinquesimo anno del ventunesimo secolo, è evidente che gli eventi del secolo passato continuano a plasmare il nostro mondo. I conflitti, come quelli tra Oriente e Occidente, in Medio Oriente, tra diversi gruppi etnici in Africa e molti altri, restano irrisolti. Sebbene possano assumere forme diverse, i sottostanti problemi comuni continuano a generare veleni, distruzione e gravi minacce al nostro futuro.

Molti leader che nello scorso secolo hanno promosso guerre hanno giustificato le loro azioni usando argomentazioni spesso descritte come “messianiche”. Hanno invocato il desiderio di costruire un mondo migliore per giustificare le loro campagne militari. Per esempio, Hitler sosteneva che il popolo tedesco, insieme ai suoi sostenitori, dovesse imporre la sua visione di una razza superiore per creare un ordine nuovo e più coeso per l’umanità: un’ideologia radicata in convinzioni naziste ripugnanti. In modo analogo, Stalin mirava a propagare la giustizia sociale attraverso la sua interpretazione del comunismo, promettendo di eliminare la sofferenza delle classi sfruttate. Tuttavia, i suoi metodi e il fallimento dei suoi diversi progetti di sviluppo alla fine hanno portato al crollo dell’Unione Sovietica nel 1990.

L’idea messianica condivisa da ebraismo e cristianesimo trascende le mere iniziative sociali volte a risolvere le ingiustizie; piuttosto, è focalizzata sul creare società dove gli individui sostengano standard morali elevati. La storia dimostra che, senza il forte impegno etico e morale dei cittadini, ogni forma di istituzionalizzazione sociale può portare a conseguenze catastrofiche, come le dittature oppressive. Un esempio importante di ciò è lo stesso Hitler, che è assurto al potere attraverso un processo democratico.

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Secondo la Bibbia ebraica, per superare la sofferenza umana occorrono contrizione e ritorno a Dio, detti Teshuvah. Ciò comporta un impegno a incarnare valori come la giustizia, la misericordia, la compassione e l’amore, a livello sia individuale sia collettivo. In Isaia, 65, 17 e 66, 22 il profeta parla dei nuovi cieli e della nuova terra che Dio creerà. Nella tradizione rabbinica ciò viene interpretato come una promessa di rinnovamento che riguarda più gli esseri umani che il mondo della natura. Il Talmud babilonese, in Sanhedrin, 97b-98a, riporta le opinioni dei saggi riguardo alla venuta del Messia. Un tema centrale del loro dibattito è proprio questo concetto di Teshuvah, che potenzialmente può portare il Messia nella nostra realtà. Un passo particolarmente significativo descrive il rabbino Yehoshua ben Levi che, guidato dal profeta Elia, cerca il Messia. Lo trova seduto tra i poveri e i malati sotto i portici di Roma mentre si dedica con cura alle sue bende. Quando il rabbino Yehoshua domanda quando verrà, la risposta che riceve è: «Oggi, se ascolteranno la sua voce» (cfr. Salmi, 95, 7).

Il mondo nel quale viviamo oggi è fortemente influenzato da interessi egoistici e da dinamiche di potere; la giustizia di solito appare in ritardo e, molto spesso, totalmente distorta. In questo contesto, l’individuo postmoderno cerca la salvezza attraverso i progressi tecnologici. Sebbene queste innovazioni possano certamente recare importanti benefici, la loro efficacia spesso dipende dal loro essere controllati da individui dotati di integrità. Come ha osservato Zygmunt Bauman, l’esistenza postmoderna si svolge in una realtà “liquida”. Proprio come la tecnologia, che esige che le persone si adeguino continuamente scartando strumenti e metodi superati, anche le relazioni umane diventano meno solide e più fugaci. Il nostro mondo è pieno di conflitti violenti, mentre gran parte dell’umanità rivolge la propria attenzione altrove, mancando della determinazione a ricollegarsi con i principi divini o a immaginare la creazione di “nuovi cieli e una nuova terra”, spazi che potrebbero accogliere l’Unto di Dio.

Ritengo che la trasformazione di cielo e terra sia il risultato di un impegno di collaborazione tra l’umanità — che impara a reinventarsi — e Dio, che sostiene questo sforzo. Anche alcuni rotoli del Mar Morto suggeriscono tale pensiero; un passo, identificato come visione sul Messia (4 q 521), afferma: «Poiché il cielo e la terra ascolteranno il loro Messia, e tutto ciò che è in essi non si scosterà dai precetti della santità». In modo analogo, nella tradizione cristiana il concetto di ricreare il cielo e la terra è ripreso in 2 Pietro, 3, 13: «Noi infatti, secondo la sua promessa, aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la giustizia».

La sfida, sia per i cristiani sia per gli ebrei, è di continuare a lavorare insieme per rendere questa visione una realtà. Come ha detto Giovanni Paolo ii nel suo Messaggio nel 50° anniversario dell’insurrezione del ghetto di Varsavia, «come cristiani ed ebrei, seguendo l’esempio della fede di Abramo, siamo chiamati a essere una benedizione per il mondo (cfr. Genesi, 12, 2 ss.). È questo il compito comune che ci attende. Perciò è necessario che noi, cristiani ed ebrei, siamo prima una benedizione gli uni per gli altri. Di fatto ciò avverrà solo se saremo uniti dinanzi ai mali che continuano a incombere: indifferenza e pregiudizio, come anche manifestazioni di antisemitismo».

Possano queste riflessioni essere un’espressione dei miei migliori auguri ai miei fratelli e alle mie sorelle cattolici per questo Natale 2024.

di Abraham Skorka



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