Un ritorno al passato: la chiusura dei negozi nei giorni festivi

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La proposta per la chiusura obbligatoria dei negozi nei festivi è un ritorno a vecchi modelli centralizzati, contrari alla modernità e al dinamismo economico.

Gli organi di informazione hanno dato notizia di una recente proposta di legge (primi firmatari Silvio Giovine, membro della commissione attività produttive di Montecitorio, e il nuovo capogruppo di FdI alla Camera, Galeazzo Bignami) che mira a introdurre l’obbligo di chiusura, salvo alcune limitate eccezioni, per gli esercizi commerciali in sei giorni festivi: 1° gennaio, Pasqua, 1° maggio, 15 agosto, 25 e 26 dicembre. Le disposizioni, che dovrebbero entrare in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo all’adozione della legge, prevedono sanzioni amministrative per le violazioni, che possono arrivare fino a 12mila euro. In caso di violazioni ripetute nel corso dell’anno, è addirittura prevista la chiusura del negozio per un periodo che può variare da uno a dieci giorni.

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A sostegno dell’iniziativa, i promotori hanno addotto motivazioni quali la tutela dei lavoratori, cui si vorrebbe garantire il riposo nei giorni festivi, la salvaguardia del valore simbolico delle festività, la riduzione dell’impatto ambientale e il sostegno alle piccole imprese, penalizzando i grandi centri commerciali. Tuttavia, al di là delle espressioni utilizzate e delle intenzioni dichiarate, tale visione sembra ignorare il contesto economico e sociale attuale. Né considera che in un mondo globalizzato, sempre più caratterizzato da ritmi di vita frenetici e da un mercato che evolve rapidamente in risposta alle esigenze di consumatori e lavoratori, una simile proposta rischia di irrigidire il sistema produttivo e di ostacolare la crescita economica.

Una simile misura esprime in sostanza un’intrusione indebita dello Stato nella sfera privata delle attività produttive, minando principi cardine della libertà economica. La chiusura obbligatoria del resto non è altro che un vestigio di epoche in cui la centralizzazione e la pianificazione prevalevano sulla creatività e sull’iniziativa individuale. Si dimenticano, peraltro, le conseguenze di tali politiche: la restrizione dei diritti degli imprenditori, la limitazione delle scelte dei consumatori e, non ultimo, il danno arrecato all’economia.

La storia offre esempi eloquenti di come le regolamentazioni che restringono la libertà economica abbiano spesso prodotto risultati negativi. Nel Medioevo, le corporazioni imponevano regole rigide sul commercio e sull’artigianato, ostacolando innovazione e crescita. Le chiusure domenicali obbligatorie del secolo scorso, invece, furono oggetto di critiche e spesso abbandonate proprio per il loro impatto negativo sui piccoli imprenditori, incapaci di competere con la grande distribuzione che aggirava dette restrizioni tramite orari flessibili o vendite online.

Negli anni Ottanta, il Regno Unito di Margaret Thatcher ha percorso un’altra via, adottando una politica di deregolamentazione dei mercati e favorevole all’apertura dei negozi nei festivi, che ha poi portato a una significativa crescita economica, alla creazione di nuovi posti di lavoro e a un aumento della competitività. In tal modo ha confermato che la libertà di scelta è un motore insostituibile per l’economia e segnato una svolta, dimostrando che meno vincoli normativi portano a un maggiore benessere collettivo.

Oltre a ciò, vanno anche considerati i danni che la chiusura obbligatoria arreca al mercato del lavoro. Le festività rappresentano spesso un’importante occasione di guadagno per i lavoratori, in particolare per i giovani e per chi cerca impieghi part-time. Privare queste persone della possibilità di lavorare nei giorni festivi significa ridurre le loro opportunità economiche e comprimere ulteriormente un mercato del lavoro già stagnante. Inoltre, l’indotto generato dagli acquisti festivi, dalle vendite straordinarie e dall’afflusso di consumatori nei centri urbani costituisce un elemento fondamentale per il sostegno di molte economie locali.

Dal lato dei consumatori, invece, è innegabile come si limiti la libertà di scelta. In una società sempre più interconnessa, dove il tempo è una risorsa sempre più scarsa, la possibilità di fare acquisti nei festivi è diventata una necessità per molte famiglie. La chiusura obbligatoria le costringerebbe a fare acquisti in momenti meno convenienti, generando disagi e ostacolando la loro autonomia. La crescita del commercio online, che ovviamente non risentirebbe di siffatte restrizioni, aggraverebbe ulteriormente le difficoltà dei negozi fisici, incapaci di competere su questo piano.

Alla base di ogni società prospera – non bisogna mai dimenticare – vi è la fiducia nell’autonomia degli individui e nella capacità delle forze di mercato di autoregolarsi. Gli imprenditori, non lo Stato, sono i migliori giudici delle esigenze dei propri clienti. La libertà di decidere se aprire o chiudere un negozio nei giorni festivi dovrebbe essere una scelta individuale, guidata dalle dinamiche del mercato e dalle preferenze della clientela. L’imposizione di regole uniformi e rigide si traduce in una perdita di competitività per l’intero settore commerciale.

Come ha osservato Friedrich A. von Hayek: “Ogni tentativo di controllare l’economia dall’alto porta inevitabilmente a risultati imprevisti e indesiderati”. La libertà economica rappresenta una condizione imprescindibile per la crescita e l’innovazione, mentre ogni intervento statale volto a limitarla comporta costi che superano di gran lunga i benefici. Analogamente, Ludwig von Mises ha sottolineato che: “L’intervento statale non può mai sostituirsi all’azione imprenditoriale senza produrre inefficienze e ostacoli alla prosperità”. Le sue parole ci ricordano che la pianificazione centralizzata soffoca l’iniziativa individuale e genera inefficienze sistemiche, un insegnamento che rimane valido oggi come allora.

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La proposta di imporre la chiusura obbligatoria dei negozi nei giorni festivi è, in definitiva, un attacco alla libertà economica, alla dignità dell’imprenditore e alla libera scelta del consumatore. L’esperienza storica e l’osservazione dei mercati moderni dimostrano che le regolamentazioni eccessive danneggiano tutti, ma soprattutto i più deboli, privandoli di opportunità di lavoro e crescita.

In una società libera, la decisione di lavorare, acquistare o riposare nei giorni festivi non può essere imposta dallo Stato, ma lasciata alla responsabilità degli individui. Solo rispettando queste libertà fondamentali si può garantire un futuro prospero e autenticamente libero per tutti.

Aggiornato il 10 gennaio 2025 alle ore 10:15



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