Sicilia occidentale, “povera e emarginata” secondo il National Geographic

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 La copertina ha le maioliche blu della tradizione, la tradizione di Dolce e Gabbana s’intende, quella messa in mostra nelle vetrine di corso Venezia a Milano. Del resto, la Sicilia del turismo è un marchio, un brand, e pertanto necessita di una identità visuale riconoscibile ovunque nel mondo. Così l’ultima edizione di “Sicilia”, la Guida Traveler prodotta da National Geographic (e ristampata nel 2024), nel raccontarci come ci racconta sta di fatto facendo il nostro gioco. O, meglio, il gioco della Sicilia turistica.

Ed è un gioco che riesce benissimo, persino quando Tim Jepson, l’autore della guida, sceglie di aprire il capitolo dedicato alla Sicilia occidentale con un’introduzione che suona come agghiacciante per chiunque abbia deciso di vivere – e costruire un futuro – tra Palermo, Trapani e la Valle del Belice. Ma che è esotica, affascinante, immaginifica per un turista qualsiasi, soprattutto se non italiano.

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Come ci vede il National Geographic

La guida di National Geographic apre il suo racconto della Sicilia occidentale con queste parole:

Se la Sicilia orientale è storicamente debitrice nei confronti della Grecia, quella occidentale guarda all’Africa, al di là del mare, riecheggiando le antiche culture arabe e cartaginesi. Sebbene talvolta marginalizzata e piegata dalla povertà, essa conserva splendidi borghi medievali, magnifiche rovine e una manciata di isole bellissime, con favolosi paesaggi marittimi.

La Sicilia occidentale, l’area più periferica dell’intera regione, rappresenta l’emblema delle sue difficoltà. Solo recentemente, dopo l’apertura dell’autostrada A29, questa zona ha raggiunto una maggiore integrazione con la Sicilia e con la penisola italiana. Questa zona ha sempre avuto la cattiva fama di essere il luogo in cui la mafia aveva le sue radici e, ancorché i tempi stiano cambiando, i nomi dei paesi dell’hinterland palermitano – per esempio Prizzi e Corleone – suonano in maniera piuttosto sinistra. Il visitatore occasionale, tuttavia, non noterà tracce di attività mafiosa, anzi scoprirà presto la complessa storia della zona e le sue molte attrattive.”

Nient’altro che magnifiche rovine

Secondo l’autore, dunque, la Sicilia occidentale è «marginalizzata e piegata dalla povertà» mentre «solo recentemente ha raggiunto una maggiore integrazione con la Sicilia e con la penisola italiana», e cioè – come si legge nella guida – a partire dall’apertura dell’autostrada A29, inaugurata del 1978. Sono due frasi che colpiscono e hanno l’intensità di uno schiaffo, di quelli dati per rinsavire.

Perché, in effetti, custodiscono entrambe verità innegabili ma che non funzionano dentro il nostro discorso pubblico, quello che ci raccontiamo, secondo cui siamo una terra che guarda al futuro, che già mostra i segni di una crescita in atto. Per la guida, pubblicata per la prima volta nel 2021, della Sicilia occidentale non rimane che questo, «ancorché i tempi stiano cambiando»: la povertà, la mafia, l’emarginazione. Il tutto, è chiaro, incastonato in «borghi medievali e magnifiche rovine». Un’isola ferma nel tempo, da visitare con il piglio dell’esploratore: i turisti dall’alto dei pulmini rossi panoramici; noi, per le strade, aborigeni appena sfiorati dalla modernità, dal tempo futuro.

È l’immaginario che ci fa comodo

Se la Sicilia del turismo è un marchio, i nostri territori e le nostre città, non possono che essere un prodotto. E un prodotto, come tale, deve adeguarsi alle esigenze e ai desideri di chi lo compra. Perciò ci adeguiamo. I turisti americani per esempio, ai quali l’imprenditoria e la politica siciliane puntano con sempre più insistenza, i turisti americani che tanto ci amano, con tutta probabilità ci percepiscono ancora oggi come personaggi di sfondo di “Il padrino”. E non è un azzardo sostenerlo. Basta ritornare al testo della guida, secondo cui: «i nomi dei paesi dell’hinterland palermitano – per esempio Prizzi e Corleone – suonano in maniera piuttosto sinistra». Non i paesi, non le persone che ci vivono: i nomi. Che sono, in effetti, nomi familiari per chi proviene dagli Stati Uniti, e magari è anche appassionato del genere Mafia Film di cui “Il padrino” è solo la punta dell’iceberg.

In quest’ottica, e inseguendo a tutti i costi il successo turistico che fa crescere così tanto il PIL della Regione, le parole di Tim Jepson sono allora una manna dal cielo. Ben vengano le narrazioni stereotipate. Ben venga la povertà che ci rende una meta conveniente, economica. Ben venga questa emarginazione esotica. E se i nostri nomi non suonano “sinistri”, cambiamoli. Se mancano le maioliche nelle nostre città, tingiamo i prospetti di bianco e di blu. Facciamo sentire il visitatore occasionale, che «non noterà tracce di attività mafiosa», finalmente dentro il suo sogno siciliano.

Però dimentichiamoci del resto. Dimentichiamoci di un possibile sviluppo imprenditoriale, dimentichiamoci della nostra crescita culturale. Dimentichiamoci di ogni probabile progresso. Incarniamo la rovina.

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