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Henry Ford, il tycoon fondatore dell’omonima casa automobilistica, e Charles Lindbergh, il trasvolatore dell’Atlantico eroe nazionale americano, pedine chiave nella nuova amministrazione Trump: uno segretario al tesoro, l’altro a capo del Pentagono.
È fantasia, tutti e due sono morti da oltre cinquant’anni. Ma è il canovaccio plausibile di una sceneggiatura ispirata allo stesso plot di Ritorno al futuro, la celebre trilogia cinematografica firmata degli anni Ottanta che racconta i viaggi nel tempo di un adolescente americano tra presente, passato e futuro.
Quali analogie legano Ford e Lindbergh a Trump? Molte, a cominciare dagli slogan più amati: Make America great again per Trump (peraltro copiato da Let’s make America great again che accompagnò nel 1980 la corsa vittoriosa di Ronald Reagan) e America first per Ford e Lindbergh.
Una mattina di settembre del 1940 Ford e Lindbergh – riuniti con un generale in pensione e uno studente dell’Università di Yale – decisero di dare vita all’America first Committee. L’associazione nacque per dare visibilità pubblica al «No» a ogni coinvolgimento degli Stati uniti nella guerra antifascista, che era allora (e rimarrà fino all’attacco giapponese a Pearl Harbour) maggioritario tra gli americani, «No» anche alle politiche del presidente Roosevelt di sostegno militare a Francia e Inghilterra.
America first non era un gruppo pacifista, anzi sosteneva l’urgenza per gli Stati uniti di rafforzare la propria capacità militare: vagheggiava un’America sempre più potente e imperiale, raccoglieva un sentimento isolazionista largamente diffuso tra gli americani declinandolo come rivendicata estraneità agli affari europei, compresa la lotta tra fascismo e antifascismo (seconda analogia).
Negli Stati uniti di fine anni Trenta queste stesse idee erano cavalcate da grandi giornali nati e affermatisi nei primi decenni del secolo che avevano battezzato una forma rivoluzionaria di giornalismo basata su articoli brevi e scritti in un linguaggio elementare e su uno stile urlato – oggi si direbbe populista – il più possibile scandalistico (seconda analogia).
Letti da decine di milioni di americani, questi new media erano tutti anti-interventisti e tutti sia posseduti che diretti dai primi magnati dei media, da William Randolph Hearst a Robert McCormick. Erano anche tendenzialmente filofascisti, filonazisti, antisemiti: Hearst lodava «l’entusiasmo, l’energia, la capacità organizzativa» di Hitler che lo ricevette con tutti gli onori nel 1934 a Berlino, McCormick considerava il New deal un complotto per distruggere la libertà degli americani ordito da Roosevelt insieme ai suoi «consiglieri ebrei».
Filonazisti e antisemiti erano anche Ford e Lindbergh.
Ford nel 1922 aveva raccolto in un libro – The International Jew – decine di articoli pubblicati dal 1918 sul Dearborn Independent, giornale di sua proprietà, nei quali teorizzava l’esistenza di un complotto degli ebrei del mondo per conquistare il potere.
Lindbergh, che era di casa nella Germania nazista, intervenendo nel settembre 1941 in un meeting affollatissimo dell’America first Committee affermò che il pericolo di un coinvolgimento degli Stati uniti nella guerra europea dipendeva dalla grande influenza degli ebrei americani nel cinema, nella stampa, nella radio e nel governo.
Terza analogia? In parte. Oggi il trumpismo si presenta come alleato incrollabile di Netanyahu e sostenitore della mattanza in corso a Gaza, ma al tempo stesso guarda con favore ai partiti di estrema destra in ascesa in Europa, mentre il suo portavoce più famoso, Elon Musk anche lui come Hearst e McCormik padrone di un media popolarissimo, fa campagna elettorale a favore dei neonazisti tedeschi dell’Afd (quarta analogia).
La favola dell’incontro impossibile di Trump con Ford e Lindbergh si può anche rovesciare. Portando indietro nel tempo Donald Trump fino agli anni Trenta del secolo scorso, facendone il capo politico di successo che mancò all’America first Committee. Trump che sconfigge Roosevelt nelle elezioni presidenziali del 1940 e cambia la storia dell’America e del mondo decidendo che no, Hitler non è da considerare il male assoluto cui preferire persino un’alleanza con Stalin.
Dopo di che resta da aggiungere: caratteristica obbligata di tutti e tre i film Ritorno al futuro era il lieto fine. Sul quarto gli sceneggiatori stanno ancora lavorando.
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