Dati sempre più convincenti associano un riposo notturno regolare ed efficiente alla salute cardiovascolare, ma pure alla longevità e al «sentirsi più giovani». I consigli su come è possibile assicurarsi un sonno realmente sano
Il sonno occupa circa un terzo della nostra vita se consideriamo una media di 7-8 ore di sonno al giorno. È essenziale per il benessere fisico e per la salute mentale, per il consolidamento della memoria e per ripulire il cervello dalle scorie, per la regolazione del sistema immunitario e di quello endocrino. Ma c’è di più. Un bel sonno aiuta il sistema cardiovascolare e, si legge in uno studio pubblicato su Nature, sembra favorire la guarigione dopo un infarto. I ricercatori hanno studiato l’interazione tra sonno e recupero cardiaco dopo infarto ricorrendo a modelli murini e a pazienti umani con sindrome coronarica acuta (Sca).
Lo studio sui topi e sugli uomini
Nei topi si è osservato che dopo un infarto i monociti, cellule immunitarie, raggiungono il cervello e producono una molecola che attiva neuroni specifici, stimolando il sonno profondo (onde lente). Questo tipo di sonno sembra ridurre l’infiammazione cardiaca e migliora la funzione del cuore. Al contrario, nei topi privati del sonno dopo l’infarto, il recupero era peggiore, con un aumento di aritmie e tachicardie ventricolari. Per verificare questi effetti anche sugli uomini, i ricercatori hanno seguito 78 pazienti con Sca: chi dormiva bene nelle settimane successive a un infarto mostrava un migliore recupero della funzione cardiaca e un rischio minore di nuovi episodi cardiovascolari nei due anni successivi, rispetto a chi dormiva male.
Qual sono gli effetti (nocivi) sulla salute
«Il sonno è davvero importante per la salute cardiovascolare» dice Roberto Pedretti, professore associato di Malattie dell’apparato cardiovascolare all’Università di Milano Bicocca, direttore del Dipartimento Cardiovascolare all’Irccs MultiMedica di Sesto San Giovanni (Mi). Una sua insufficienza o un disturbo cronico possono aumentare il rischio di eventi cardiovascolari e malattie, indipendentemente dalla genetica o da altri fattori di rischio tradizionali, quali l’infarto miocardico, l’ipertensione arteriosa, le aritmie cardiache e la sindrome metabolica — precisa il cardiologo —. Questo effetto negativo si verifica perché un sonno insufficiente è associato a un’alterazione del sistema immunitario, a un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico (la parte del sistema nervoso che prepara il corpo a reagire allo stress o ai pericoli), a una risposta endocrina cronica allo stress e a un’infiammazione sistemica che danneggia l’endotelio vascolare ossia il rivestimento interno dei vasi sanguigni.
«L’infiammazione, in particolare, riveste un ruolo centrale nello sviluppo e nella progressione della malattia cardiovascolare aterosclerotica. Per questo, un’educazione sanitaria efficace deve promuovere uno stile di vita sano, includendo indicazioni sui comportamenti che favoriscono un sonno adeguato per durata e qualità». Non a caso nel 2022 l’American Heart Association lo ha aggiunto ai Life’s Essential 8, riconoscendolo come uno degli otto fattori fondamentali per mantenere una buona salute cardiovascolare e favorire il benessere generale.
I 5 fattori decisivi per definire un sonno sano
Le ricerche degli ultimi anni hanno anche dimostrato una crescente comprensione dei legami tra sonno e longevità. Uno studio pubblicato su QJM: An International Journal of Medicine, ha analizzato le abitudini di sonno di oltre 172 mila adulti negli Stati Uniti, evidenziando che le persone con consuetudini di sonno più salutari hanno un’aspettativa di vita maggiore: 4,7 anni in più per gli uomini e 2,4 anni in più per le donne rispetto a chi aveva abitudini di sonno meno salutari. La ricerca ha individuato cinque fattori chiave per definire un sonno sano:
1) dormire tra 7 e 8 ore a notte
2) minime difficoltà nell’addormentamento
3) e nel mantenimento del sonno (non più di 2 volte a settimana)
4) sensazione di sonno riposante al risveglio (almeno cinque giorni a settimana)
5) assenza di farmaci specifici per dormire.
Il modo in cui dormiamo ci dà indicazioni sulla salute del cervello
«Questi risultati dimostrano che un sonno adeguato, sia in termini di quantità (durata) sia di qualità, è essenziale per la salute. Entrambi gli aspetti sono importanti: dormire molte ore, infatti, potrebbe indicare problemi sottostanti, come la sindrome delle apnee ostruttive del sonno», dice Luigi Ferini Strambi, professore ordinario di Neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele e direttore del Centro di Medicina del Sonno all’Ospedale San Raffaele-Turro di Milano.
«Il modo in cui dormiamo può fornire indicazioni anche sullo stato della nostra salute cerebrale e sul rischio di sviluppare malattie cognitive. Una breve durata del sonno potrebbe per esempio essere un segnale precoce di demenza, ossia un sintomo iniziale che compare prima che la malattia si manifesti in modo chiaro, senza essere una causa diretta. Al contrario, dormire più di nove ore a notte è associato a un incremento del rischio di sviluppare la demenza e potrebbe quindi rappresentare un vero fattore di rischio. Tuttavia, è importante non allarmarsi inutilmente, poiché il sonno è un processo dinamico. Molte persone infatti possono avere variazioni nella sua durata o nella sua qualità per motivi legati a stress, abitudini quotidiane, naturali alterazioni graduali legate all’età oppure altre condizioni non correlate alla demenza».
Età soggettiva
Ricerche pubblicate su Proceedings of the Royal Society B e basate su due indagini, suggeriscono poi come il sonno giochi un ruolo significativo anche nel determinare l’età soggettiva, ovvero come ci sentiamo rispetto alla nostra età cronologica. Nel primo studio, su 429 persone , è emerso che ogni giorno in più di sonno insufficiente nell’ultimo mese corrispondeva a un aumento di 0,23 anni nell’età percepita. Nel secondo, su 186 soggetti, è emerso che 2 notti di sonno ridotto (4 ore di riposo a notte) facevano sentire i partecipanti in media 4,44 anni più vecchi rispetto a quando dormivano 9 ore. In entrambe le indagini, livelli elevati di sonnolenza erano associati a una sensazione di essere fino a 10 anni più vecchi.
Proteggere il sonno sembra quindi un elemento chiave per mantenere una percezione anche di giovinezza, un concetto che va oltre la semplice sensazione. La letteratura scientifica evidenzia che sentirsi più giovani dell’età reale è associato a una vita più lunga, a migliore salute fisica e a tratti psicologici positivi come ottimismo, speranza e resilienza, tanto da portare a considerare l’età soggettiva come un possibile marcatore biofisico dell’invecchiamento.
«La metà degli italiani si sente più giovane della propria età», ha detto Nic Palmarini, direttore del National Innovation Centre for Aging del Regno Unito, a uno degli incontri dell’ultimo Il Tempo della Salute. «Ognuno invecchia in modo diverso, ma si inizia davvero a invecchiare quando si smette di fare progetti. Non basta promuovere le nascite: è essenziale dare un senso e uno scopo a tutte le fasi della vita».
Ad alcune persone possono bastare poche ore per notte
La durata del sonno non è l’unica cosa che conta. «Quello su cui oggi il mondo scientifico si sta focalizzando è soprattutto la regolarità del ritmo sonno-veglia», dice il neurologo Ferini Strambi. Una conferma arriva da una ricerca sulla relazione tra sonno e longevità, condotto su oltre 60 mila partecipanti della UK Biobank e pubblicato sulla rivista Sleep. La regolarità, misurata tramite l’Indice di Regolarità del Sonno (Sri), si è rivelata un predittore più forte del rischio di mortalità rispetto alla durata. Lo studio, basato su oltre 10 milioni di ore di registrazioni da accelerometri, definisce la regolarità come costanza negli orari di addormentamento e di risveglio e minore frammentazione del sonno. I risultati indicano che una maggiore regolarità riduce il rischio di mortalità fino al 48%, a prescindere dalla durata del sonno. Dormire 6 ore a notte con un orario costante si è rivelato più protettivo, rispetto a 8 con ritmi irregolari.
«Un ritmo sonno-veglia regolare è fondamentale per il funzionamento dell’organismo, poiché contribuisce a processi essenziali come la regolazione del cortisolo, l’ormone dello stress, o il potenziamento del sistema immunitario», continua Ferini Strambi. «Ci sono (e spesso sono invidiati) i cosiddetti “brevi dormitori”, che dormono solo 3-4 ore per notte senza subire conseguenze negative durante il giorno. Però questo non vuol dire che tutti possono dormire poco. Questi soggetti possiedono una predisposizione genetica che consente loro di adottare un modello di sonno breve senza accrescere il rischio di problemi cardiovascolari. Uno studio che ha analizzato gli effetti del sonno sulle aree cerebrali ha persino rilevato che i brevi dormitori presentano alcune aree più sviluppate rispetto a insonni e dormitori regolari. Questa “maggiorazione”sembra agire come meccanismo di compensazione, proteggendoli dagli effetti negativi della ridotta durata del sonno, quindi scarsa energia o concentrazione».
Cuore e sonno si influenzano a vicenda
Molti conoscono la melatonina come l’ormone che regola il ciclo sonno-veglia, con livelli bassi durante il giorno e alti durante la notte. Tuttavia, la melatonina è anche un antiossidante, protegge i vasi e il cuore, abbassa la pressione arteriosa, diminuisce gli ormoni dello stress nel sangue e aumenta l’attività del nervo vago, rilassando il cuore stesso. Diverse ricerche stanno dimostrando che le persone che sono affette da malattie cardiovascolari tendono ad avere meno melatonina. «È stato, infatti, osservato che gli individui con elevati livelli di colesterolo Ldl (“cattivo”) così come i pazienti con malattia coronarica, cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco presentano livelli circolanti di melatonina ridotti», dice il cardiologo Roberto Pedretti. «Inoltre, negli ipertesi non dipper, che non presentano cioè la fisiologica riduzione della pressione arteriosa durante la notte, si osserva una mancata produzione di melatonina notturna, a differenza degli ipertesi dipper, che conservano questo calo naturale».
Tra le ipotesi più recenti emerge anche una possibile relazione bidirezionale tra sonno insufficiente e malattie cardiovascolari: non solo dormire poco o male può aumentare il rischio di problemi cardiaci, ma le stesse patologie del cuore possono provocare disturbi del sonno. «La melatonina è prodotta nella ghiandola pineale, situata nel cervello. La sua produzione è controllata da neuroni situati nei gangli cervicali superiori che si trovano nel collo. Questi gangli contengono anche neuroni che influenzano il funzionamento del cuore», conclude l’esperto. «Uno studio sperimentale pubblicato sulla rivista scientifica Science ha mostrato che le malattie cardiache possono danneggiare i gangli cervicali superiori riducendo la produzione di melatonina e alterando i ritmi circadiani. Questo spiega come i problemi cardiaci possano peggiorare il sonno o causare insonnia, innescando un circolo vizioso: il cattivo sonno aggrava i disturbi del cuore e viceversa».
La percezione è diversa per donne e uomini
La fisiologia del sonno è diversa tra uomini e donne. «Con l’avanzare dell’età, entrambi tendono a dormire e svegliarsi prima, ma il fenomeno è più evidente nelle donne. Queste ultime percepiscono inoltre più spesso una scarsa qualità del sonno, anche se la poligrafia notturna, che misura il sonno in modo oggettivo, mostra una maggiore efficienza», spiega Ferini Strambi. «Negli uomini accade l’opposto: percepiscono un sonno migliore anche quando è meno efficiente. Infine, nelle donne, anche durante l’adolescenza, si riscontra una maggiore densità di fusi del sonno, strutture cerebrali che caratterizzano lo stadio 2 del sonno non-Rem. I fusi sono associati a funzioni cognitive, come apprendimento e memoria, e alla plasticità sinaptica, la capacità del cervello di adattarsi e creare nuove connessioni tra i neuroni. Questo spiega perché le donne hanno una plasticità sinaptica maggiore rispetto agli uomini».
Quanto il riposo alterato impatta sul cervello
Ricercatori hanno analizzato il sonno di 589 partecipanti (età media di 40 anni) con questionari su durata del sonno, qualità, difficoltà di addormentamento, mantenimento e risvegli mattutini. Hanno poi esaminato, 15 anni dopo, la relazione tra le caratteristiche del sonno riportate e un indice di invecchiamento cerebrale. I risultati, pubblicati su Neurology, hanno mostrato che le persone con 2-3 caratteristiche di sonno alterato mostravano un’età cerebrale maggiore di circa 1,6-2 anni rispetto a chi ne aveva 0-1. Chi riportava più di 3 caratteristiche di sonno alterato mostrava un’età cerebrale superiore di circa 2,6 anni. «Non possiamo stabilire se ciò sia causato dal sonno o da fattori che lo compromettono, come lo stress ambientale che contribuisce allo sviluppo di ipertensione. L’indagine è però uno spunto per ulteriori ricerche mirate», dice Matteo Cerri, neurofisiologo dell’Università di Bologna.
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