EDITORIALE – Il 18 gennaio è una data fondamentale per la Democrazia italiana. Nel 1919, con l’appello ai “Liberi e Forti“ Don Luigi Sturzo inaugurò la straordinaria esperienza dei Cattolici in politica e nelle Istituzioni, con la Fondazione del Partito Popolare, poi Democrazia Cristiana: un Partito che divenne sempre più articolato al suo interno, dando il giusto spazio di azione e confronto ai suoi “Movimenti”.
Il Movimento che raggruppava i giovani democristiani fu, per tanti, una vera palestra politica, di formazione, di studio, di crescita, in cui ci si relazionava al Partito, ma anche alla realtà esterna, creando continuità. Una sorta di “ponte” tra generazioni. I giovani Dc, pur riconoscendosi in un Partito di governo, mantennero sempre piena autonomia di giudizio e confronto, soprattutto negli anni della contestazione giovanile, stagione vissuta a pieno da quelle generazioni. Una scelta che ha consentito una dialettica sempre costruttiva con la dirigenza del Partito, a cui non venivano certo risparmiate le “critiche”.
Il Movimento Giovanile era una finestra aperta sulla società che viveva dure vertenze. Lavoro, Giustizia, Sviluppo era ciò che si chiedeva. I Giovani Dc le vivevano e recepivano nelle famiglie di provenienza, di ogni ceto sociale; a Scuola, dove si stavano affermando le rappresentanze studentesche con i Decreti Delegati; nel lavoro per chi già lavorava, e anche nel confronto con i gruppi giovanili degli altri partiti, alla ricerca del dialogo e mai dello scontro tra fazioni, che pure hanno a lungo caratterizzato la politica dei giovani, soprattutto tra le fine degli anni ’60 e gli anni ‘80.
Un’esperienza che mi piace far raccontare a tre protagonisti.
Enrico Marchese, prima dirigente e poi Delegato regionale del Movimento Giovanile della Dc lucana; Renzo Lusetti, Delegato nazionale, molto legato alla Basilicata e Giorgio Merlo, leader dei giovani di “Forze Nuove” della corrente di Carlo Donat Cattin.
Ne danno non solo una foto della loro epoca, ma anche una traccia di prospettiva per il futuro.
Peppino Molinari
Ogniqualvolta sulla rete Peppino Molinari pubblica un ricordo, un frammento, una foto di un racconto che ci ha accompagnato durante la nostra attività politica degli anni a cavallo fra il 1970 ed il 1980, la nostra attenzione viene catturata immediatamente da numerose e molteplici sensazioni che suscitano in noi tutti emozione, orgoglio e, perché no, qualche piccolo rimpianto.
Emozione, perché tramite le foto e gli scritti di allora riviviamo l’impegno e lo spirito che caratterizzò la nostra azione all’interno della DC lucana, come Movimento Giovanile.
Orgoglio, perché, appare chiaro dalla narrazione di Peppino Molinari, anche a distanza di anni, che l’esperienza del Movimento Giovanile aveva le sue solide radici nell’associazionismo cattolico più aperto ed illuminato con un’istintiva avversione alle lotte di potere, che pur erano presenti nella Dc lucana di allora.
Rimpianto, per quello che poi è stato l’epilogo della nostra esperienza, che se da una parte vede anche noi non esenti da colpe, dall’altra non può che esplicitare chiaramente che la classe dirigente della DC, in modo oltremodo miope, non valorizzò a pieno quel Movimento Giovanile vivo e ben radicato nella società di Basilicata (forse un po’ scomodo e meno “organico” al sistema), preferendo imboccare per la successione altre strade con meno radicamento nell’associazionismo cattolico ed impegno militante alle spalle, con le conseguenze che poi purtroppo tutti noi abbiamo sperimentato negli anni a venire.
Enrico Marchese
Sono passati 40 anni dal Congresso di Maiori del Movimento Giovanile Dc, una vita intera per più generazioni. Purtroppo la democrazia dei partiti è stata sostituita dalle oligarchie e dalle cooptazioni inoltre i congressi, vero esempio di democrazia, hanno lasciato il posto a Convention senza costrutto e a fantomatiche consultazioni on-Line. Il risultato è che la classe dirigente del paese non viene più selezionata dal voto democratico, né da virtuosi percorsi di formazione politica, oggi inesistenti. Francamente non ho rimpianti, ma una certa nostalgia di quella stagione politica si manifesta in ogni momento. Soprattutto quando vedo la politica urlata, l’impegno ridotto a brevi e fugaci presenze mediatiche, inutili proclami intrisi di radicalismo, botta e risposta su temi più disparati, senza un filo conduttore. ElL’Italia è diventata una nazione stretta tra una destra massimalista e autoritaria ed una sinistra radicale, elitaria lontana anche dal “movimento” che l’ha caratterizzata. C’è tanta voglia di DC, tanta voglia di recupero delle nostre radici storiche e dei valori del Cattolicesimo Democratico. Ma va coniugato con le innovazioni tecnologiche, con l’intelligenza artificiale, con il cambiamento del modello socio-culturale in cui viviamo. In 40 anni è cambiato il “il mondo”. Non c’è più nemmeno il Comunismo. La dimensione internazionale poi vede un’ Europa piccola piccola , schiacciata dal gigantismo degli altri Continenti. Quando Marx scrisse “Il Capitale” nel mondo c’erano 800 milioni di persone e l’Europa era il continente centrale del mondo dove avvenivano anche le lotte politiche. Oggi siamo 8 miliardi, l’Europa è un vecchio continente, senza una vera coesione politica e geografica. In tutto ciò, anche l’Italia diventa piccola, ma è il nostro Paese, dove siamo cresciuti. E’ il Paese formato da tanti territori, dove crescevano e si formavano i futuri dirigenti (non dei partiti) ma del Paese. In Basilicata ricordo la vivacità della dialettica politica e la visione di un futuro alimentato dalla passione. C’erano tanti giovani di allora oggi professionisti o politici affermati. Rosalba Marchese, Roberto Falotico, Enrico Marchese, Vito D’Adamo, Egidio Giordano, Rino Ponzio, Salvatore Margiotta, Carlo Chiurazzi, Piero Quinto, Vito Santarsiero, Vito de Filippo, Gianluigi La Guardia, Peppino Molinari e Gianpaolo D’Andrea, questi ultimi un po’ più grandi di me, ma sempre attivi e formatori di giovani cattolici democratici. Con alcuni ci siamo ritrovati in Parlamento e con altri nella vita quotidiana. Sono orgoglioso di questa esperienza e di questa crescita pluridecennale insieme. Non siamo stati e non siamo dei turisti di passaggio in questa nostra storia ma dei protagonisti che credono ancora nei valori e negli ideali.
Renzo Lusetti
Cattolici e politica, riscoprire la storia per le sfide del presente.
Il lavoro politico, storico e culturale che sta conducendo l’on. Giuseppe Molinari nei territori della Basilicata è degno di nota per almeno 3 ragioni.
Innanzitutto, coltivare la memoria. Una memoria che non significa affatto subire la tentazione della nostalgia ma, al contrario, lavorare per riscoprire e valorizzare una cultura politica, quella del cattolicesimo politico, che nel nostro Paese ha sempre avuto un ruolo decisivo e fondamentale nelle diverse fasi storiche. Una cultura plurale al suo interno – non a caso si parla di cattolicesimo democratico, popolare e sociale – che si è sempre contraddistinta per la sua profondità di analisi, per la sua aderenza ai valori dell’ispirazione cristiana e per la sua cultura di governo. Distinta, distante se non addirittura alternativa rispetto ad ogni sorta di massimalismo, estremismo, populismo e radicalismo.
In secondo luogo, non si può non sottolineare il valore e la centralità delle culture politiche. Certo, in una stagione politica e ancora, e purtroppo, dominata dal populismo, dal trasformismo e dall’opportunismo è difficile ed arduo ridare cittadinanza al “pensiero” politico. Che nella concreta dialettica politica si traduce con una cultura di riferimento. Eppure se non si riscoprono proprio le culture è la stessa politica che rischia di non uscire da una crisi endemica e strutturale. E la personalizzazione politica da un lato e un sostanziale azzeramento dei tradizionali partiti democratici e popolari dall’altro creano le condizioni anche per una crisi verticale della politica stessa accompagnato, purtroppo, da un progressivo astensionismo elettorale e da un crescente disamoratamente dall’impegno pubblico e nei partiti.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, l’iniziativa dell’on. Molinari è importante perché richiama l’attenzione sulla necessità di rilanciare la presenza politica dei cattolici italiani. Perché pur nel rispetto di un pluralismo elettorale ormai acquisito e consolidato, non è possibile che proprio nel nostro paese si sia progressivamente dispersa, sino a scomparire del tutto, la presenza politica e pubblica organizzata dei cattolici. Ora, il problema di fondo non è quello di ricostruire esperienze politiche del passato che ormai sono consegnate alla storia. Penso, in primis, alla Democrazia Cristiana o allo stesso Partito Popolare Italiano che, purtroppo, è stato forse frettolosamente sciolto a vantaggio di altre formazioni politiche. Il nodo di fondo, semmai, è quello di prendere coscienza che una rinnovata presenza, laica, dei cattolici nella cittadella politica italiana è semplicemente necessaria ed indispensabile per la qualità della nostra democrazia, per la credibilità delle nostre istituzioni democratiche e, forse, per la stessa efficacia dell’azione di governo. Una presenza che non può più essere sacrificata sull’altare di nessun maldestro nuovismo e né, tantomeno, si può rinunciare per motivazioni riconducibili ad una singolare modernità che, paradossalmente, non prevederebbe più una presenza organizzata dei cattolici nella vita pubblica del nostro paese. Per queste ragioni, semplici ma essenziali, l’iniziativa dell’on. Giuseppe Molinari – costante, tenace e coraggiosa – va incoraggiata e sostenuta. Solo attraverso una riscoperta, seppur critica, del passato è possibile affrontare le sfide del futuro. E queste sfide non possono non contemplare anche una presenza, attiva e responsabile, del patrimonio e del pensiero culturale, sociale, etico e civico del cattolicesimo politico italiano.
Giorgio Merlo
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