«Pd, no a dibattiti avvitati. Parliamo di cose concrete, questo fa male a Meloni»

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Non è che non legga quello che scrivono i giornali sul suo conto, è che Elly Schlein non vuole rispondere. E non risponde, almeno non direttamente. Anche se giovedì sera, arrivata a sorpresa in un luogo affollatissimo ma comunque protetto come il circolo “ribelle” di Donna Olimpia di Roma, dopo aver ascoltato una lectio magistralis del maestro Nicola Piovani su come cambiare musica in questa epoca di Meloni e fattacci, si è sfogata. Alla maniera sua, a freno a mano tirato.

Ma spiegando che il suo Pd parla di «cose reali, concrete», che l’elenco delle battaglie – che alcuni definiscono elenco della spesa, Romano Prodi con pazienza spiega «è giusto dire “mettere più soldi sulla sanità”, ma devi dire per fare che cosa» – è proprio quello che fa male alla destra, che «se c’è una cosa che soffre una premier» che pure ha il vento in poppa è proprio «che noi parliamo di sanità e salari», «di bollette», insomma delle cose che vivono «le famiglie».

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Quindi il Pd si guardi dai «dibattiti che si avvitano su sé stessi», parli «di cosa possiamo fare per migliorare la vita delle persone che ci stanno intorno», e pensare al futuro della coalizione significa rivolgersi a «quel 50 per cento che non vota più, per rabbia per rassegnazione».

E a chi invece l’accusa di certe sparizioni, silenzi, di avere insomma tempi di latenza insostenibili per la leader del principale partito d’opposizione, lei oppone che si dà il tempo «di ascoltare le opinioni diverse» di una comunità impegnativa come la sua, per «capire dove si possono tenere insieme e metterci un filo intorno per uscire uniti», e questo «non è tempo morto», «è tempo democratico».

Il dibattito soffocato

Ricapitoliamo la questione: tre giorni fa sul nostro giornale un grande saggio democratico come Luigi Zanda le ha (affettuosamente) spiegato che in questo Pd, pure premiato dai sondaggi, «praticamente non si può discutere» perché ha ceduto come gli altri alla forma del «partito del capo». È la ragione per cui oggi, sabato, a Milano, Orvieto e Brescia sono convocati tre confronti – sul ruolo dei cattolici, dei riformisti e della sinistra – che dovrebbe promuovere il Pd. Per Zanda il dibattito interno è «molto soffocato», dunque «si sfoga in discussioni fuori dal partito».

Alcuni commentatori hanno ripreso il ragionamento. Ma quello che ha impressionato sono state le condivisioni riservate. A riprova che il dibattito interno è «molto soffocato». Intanto Prodi, su La7, faceva la sua parte: «Sono due anni che il centrosinistra è sostanzialmente muto, è ora di ricominciare a discutere sul futuro». Il professore è preoccupato perché Pd e M5s non riescono neanche a sedersi insieme a un tavolo.

Quanto al Pd che non discute, Zanda non mette tutta la croce sulle spalle della segretaria, anzi accusa le primarie, la forma partito e la legge elettorale che cesellano gruppi dirigenti dipendenti dal «capo», quindi inclini alla pratica del libero pensiero ma non della sua libera espressione, per non dire all’unanimismo di facciata.

C’è un’altra obiezione all’indirizzo di Schlein, meno affettuosa: quella di chi si interroga su certi suoi lunghi silenzi, interrotti appena dai post sui social sulle questioni di giornata, ma per quelli, si sa, ci sono gli staff. C’è chi le conta i giorni di ferie – computo sempre confutato dal Nazareno, a dicembre: «Ma come?!, Ha seguito la finanziaria fino all’ultimo giorno»; a gennaio: «Ma come?! I primissimi del mese ha riunito i gruppi parlamentari» – circolano teorie su dove ha trascorso le vacanze, implodono sbuffi sulla lentezza di riflessi del Pd che non riesce a stare dietro a una destra che marcia e non marcisce e ne fa cento al dì: l’allungamento dei tempi per la pensione, il giro di vite sulla sicurezza, tutti temi su cui per sapere cosa pensa lei, o loro, si aspettano ore, a volte giorni.

I tempi democratici

Qui la segretaria coglie uno spunto che le dà Piovani. Il grande compositore spiega che «il ruolo degli intellettuali è pensare prima di parlare», e che i suoi personali tempi «morti», quelli liberi da fabbisogni musicali, in cui magari cazzeggia con le sue amate crittografie, «sono invece tempi molto creativi», quelli in cui arrivano le musiche migliori.

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Anche quelli della segretaria, pare. Ecco dunque la risposta a quello che fa Schlein quando semina tutti e si smaterializza, mentre i cronisti – a volte anche i dirigenti – aspettano una sua reazione, una sua risposta: «Pensare prima di parlare: ecco, penso che questa sia la prima buona regola anche di chi fa politica. Ed è una cosa che io provo a fare tutti i giorni, ogni tanto magari facendomi anche accusare di aspettare troppo.

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Ma se sono minuti spesi per ascoltare opinioni competenti o, come deve fare chi guida una comunità plurale come il Pd, per ascoltare opinioni diverse e capire dove si possono tenere insieme e metterci un filo intorno per uscire compatti e uniti e battere queste destre, allora sono minuti ben spesi. Quello non è tempo morto, è tempo vivo, è tempo democratico».

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