Il ministro Valditara ci ha dato un assaggio dei cambiamenti nei contenuti scolastici che la Commissione da lui istituita sta predisponendo e che presenterà entro il mese di marzo.
Prima di entrare nel merito, ritengo necessario fare una premessa: oggi, nella scuola italiana non esiste alcuna emergenza sui contenuti scolastici e sui cosiddetti programmi. Non sono loro la spia di allarme da considerare. Il vero nodo è quello del sostegno e della formazione rivolta agli insegnanti. Siamo al paradosso: in Italia, patria di Maria Montessori, la più importante pedagogista dei tempi moderni, a chi insegna manca un sostanziale background metodologico. Nel nostro Paese domina ancora la lezione frontale, una pratica puramente inerziale che, stando alle ultimissime ricerche, viene utilizzata per il 70% del tempo scolastico.
La grande risorsa su cui non si segnalano investimenti particolari resta quella del corpo docente, il fattore umano che più di altri permette di garantire un servizio adeguato ai bisogni di apprendimento delle nuove generazioni. L’urgenza sta qui: rafforzare le professionalità. Invece si punta a modificare le “Indicazioni nazionali” create nel 2012, che ebbero una preparazione di ben cinque anni e che coinvolsero tutto il mondo della scuola, esperti dell’educazione compresi.
La seconda questione preliminare è che le proposte presentate sembrano mancare di organicità. Siamo di fronte a idee che hanno un forte significato comunicativo, a volte provocatorio, ma senza una vera cornice di riferimento. Idee talvolta eccentriche, come gli haiku o le poesie a memoria per i bambini e le bambine. Non ha senso che sia una normativa ministeriale a indicarle come necessarie perché appartengono a quella micro-didattica in capo alla libertà di insegnamento. Lo stesso vale per l’idea di portare i classici della letteratura in prima elementare, dimenticando che in Italia la tradizione degli scritti dedicati all’infanzia è di altissimo livello. Pensiamo a grandi figure come Gianni Rodari, Mario Lodi e tanti altri. I bambini piccoli devono imparare a leggere su storie e racconti adeguati alla loro età. Esiste un’ottima letteratura per l’infanzia che va accolta e valorizzata. Anche la lettura della Bibbia pare un’idea stravagante dato che in qualsiasi ordine scolastico gli alunni hanno già a disposizione l’insegnamento di religione. Non è certo necessario aggiungere lo studio curricolare delle Sacre Scritture.
L’introduzione del latino nella secondaria di primo grado ci porta direttamente indietro nel tempo: invece che accompagnare i ragazzi nella contemporaneità e insegnare loro le lingue necessarie a uscire dal nostro provincialismo per affrontare le sfide sempre più complesse e globali, si preferisce puntare su lingue antiche che non appartengono più alla nostra cultura. Ritorno al passato che continua con il famoso e famigerato 5 in condotta, con annessa bocciatura. Una perversa mortificazione che impone di espiare la colpa di comportamenti sbagliati rimanendo a scuola per un ulteriore anno. Come se la scuola fosse un istituto concepito per scontare una pena piuttosto che un luogo dove imparare a migliorare sé stessi. Osservando assieme le varie proposte, diventa difficile nascondere il retrogusto di una scuola che guarda al passato in una logica di archeologia gentiliana. Un’idea cara alla Commissione ministeriale e al suo esponente di spicco, Ernesto Galli della Loggia, le cui idee sono già ben note.
Si sente l’odore di stantio, di polveroso e anacronistico, incapace di raggiungere le nuove generazioni nei loro bisogni profondi di apprendimento. Un impianto politico, prima ancora che scolastico o pedagogico. L’idea di scuola come portatrice di valori politici dei vincitori elettorali di turno, come se il successo alle urne concedesse il diritto di trasformare quello che è un bene comune preziosissimo, di tutti e di tutte, in un luogo dove continuare un’inesauribile campagna elettorale contro i valori della solidarietà, del dialogo, dell’incontro e del riconoscimento reciproco. Gli stessi che papa Francesco continua a richiamare. Rischiamo un ennesimo arroccamento della scuola in un fortino che tenta di essere impermeabile a tutto ciò che è libertà di pensiero, confronto, discussione e apertura verso punti di vista nuovi e innovativi. Auspico che genitori, insegnanti e alunni sappiano invece convergere in uno spazio educativo e formativo che consenta alla scuola di essere sempre più quel luogo magico dove si costruiscono salute e apprendimento. Un luogo generativo e maieutico, dove la scoperta, e non la ripetizione nozionistica, rappresenti sempre il baricentro del lavoro e della relazione educativa.
Pedagogista
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