Cultura ed economia un binomio imprescindibile in Italia

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La cultura rappresenta un elemento essenziale per il nostro Paese. Nello stesso tempo, l’inestimabile patrimonio storico-artistico che ci caratterizza richiede una grande attenzione agli aspetti di tutela che, in termini finanziari, si traduce in una minore disponibilità di risorse pubbliche da destinare alla produzione e alla distribuzione culturale. Per decenni, il nostro Patrimonio non ha rivestito la valenza che ha assunto oggi. E, per quanto la cultura abbia sempre giocato un ruolo centrale all’interno del dibattito e della retorica politica, è innegabile che il livello di qualità dei servizi museali non sia mai stato così alto.

La cultura un settore in crescita

A seguito di cambiamenti strutturali e sociali, la cultura ha iniziato ad acquisire una rilevanza crescente anche dal punto di vista economico. Le trasformazioni hanno incrementato il livello dei servizi, garantiti oltre che dal settore pubblico, da un sempre maggior coinvolgimento dei privati. Oggi le fonti di finanziamento si presentano diversificate rispetto al passato. I finanziamenti pubblici tradizionali sono stati affiancati da quelli privati (come erogazioni liberali, sponsorizzazioni, ecc.). E la collaborazione tra soggetti pubblici (proprietari) e privati (concessionari), ha portato a una crescita delle entrate derivanti dalle attività culturali. La tripartizione delle entrate, che possiamo raggruppare in “pubbliche”, “private” e di “consumo”, è strategica per aumentare la qualità del sistema culturale e le risorse da destinare alla produzione culturale.
Il lavoro che si sta compiendo, soprattutto negli ultimi anni, è volto principalmente ad incrementare la dimensione “privata”. Sono state incentivate le erogazioni liberali (anche sotto il profilo fiscale); le opportunità di partecipazione diretta alla gestione e alla valorizzazione del patrimonio culturale (con vere e proprie forme di PPP specifiche). Mentre, sul fronte del “consumo”, le politiche di maggior successo sono state caratterizzate da incentivi, in termini di sconti, alle attività culturali, finalizzate all’attrazione di un pubblico nazionale e internazionale, considerando che i turisti rappresentano una quota importante delle entrate dirette dei nostri musei più famosi.

Cultura: le difficoltà finanziare in Italia

A fronte di complesse condizioni economiche e di difficoltà strutturali, è lecito immaginare, come confermato anche dalle direttrici assunte dall’attuale esecutivo, che per incrementare le entrate si debba puntare su quelle derivanti dal consumo. Strada che, tuttavia, incontra numerose resistenze; alcune di carattere ideologico (durante questo stesso esecutivo emerse una corrente di pensiero che ribadiva l’importanza di rendere tutti i musei gratuiti); altre di natura economica: la disponibilità di reddito non è tale da garantire una spesa costante in cultura. Ampliando la riflessione all’economia, ricordiamo che, tempo fa, l’ex-premier Draghi, ha sottolineato quanto sia importante per l’Europa incrementare i livelli di consumo interno e, pertanto, i redditi disponibili. In altre parole: è necessario che le persone guadagnino di più affinché spendano di più.

Spunti di riflessione su cultura ed economia

Chiaramente, la questione non è così semplice, ma alcuni spunti di riflessione sono possibili. Restando concentrati sulla dimensione dei consumi culturali, ad esempio, l’analisi degli andamenti della spesa durante la pandemia (che generando uno shock esogeno permette di analizzare come varino alcune dimensioni del consumo al variare di altre condizioni di natura strutturale), ha dimostrato che la spesa culturale delle famiglie si è contratta più di quella in altre attività. Dato che, pur derivando dall’impossibilità fisica di uscire durante il lockdown, è anche interpretabile come una riduzione dei consumi di fronte a condizioni di incertezza. Semplificando: senza certezza sui redditi futuri, alcuni consumi, tra cui quello culturale, hanno mostrato una riduzione più consistente di altri. Queste due condizioni: scarso reddito disponibile ed incertezza sui flussi di reddito futuri, sono elementi particolarmente importanti nelle decisioni di consumo e di investimento da parte delle persone.

Cultura e giovani: una relazione instabile

Tali circostanze caratterizzano, in particolare, la vita degli studenti. Come dimostra l’interesse suscitato dalla notizia che in Australia la paga di uno studente per sistemare prodotti sugli scaffali di un market in orario serale è di circa 40 dollari l’ora (24 euro). Un lavoro semplice, privo di responsabilità, che rappresenta una duplice fonte di reddito: da un lato, la contrazione delle spese per la riduzione delle uscite serali; dall’altro, l’aumento delle entrate. In Italia, invece, le precarie condizioni reddituali dei giovani – gli stipendi sono tra i più bassi in Europa – fanno si che accanto ai neet (giovani che non studiano e non lavoro) che sono il 12,7% della popolazione di riferimento, stia crescendo la quota di ragazzi che non si iscrivono all’università (intorno al 48,3%) per ragioni di natura economica. Dati che confermano la tendenza a considerare il periodo universitario come una fase “in perdita” sotto il profilo reddituale.
Fenomeno che si traduce in una netta contrazione dei potenziali consumi culturali, perché è proprio in queste fasce d’età che si dovrebbe registrare una maggiore tendenza alla partecipazione culturale. Mentre, la carente disponibilità economica incide sulla formulazione delle preferenze di consumo, anche se il Governo ne incentiva alcune in ambito culturale, come l’acquisto di biglietti per musei o libri, con bonus; gift-card; riduzioni per età o per iscrizione all’università. Semplificando: se si hanno a disposizione 100 euro per cultura e tempo libero è naturale che i consumi culturali tendano ad essere inferiori rispetto a quelli che si potrebbero adottare con 300 euro al mese di budget. Anche perché, soprattutto per quanto riguarda i concerti, incrementare la disponibilità economica dei giovani, attraverso contratti di lavoro specifici che consentano loro gravare meno sui risparmi familiari, oltre a attivare processi di maggiore autonomia economica e finanziaria, stimolerebbe un’offerta culturale più varia e sfaccettata.

Nel mercato dello spettacolo dal vivo la riduzione delle entrate derivanti dai proventi delle vendite di dischi (o altro supporto), ha determinato un aumento del costo dei biglietti. Ciò significa che per andare a “quel” concerto, ragazze e ragazzi non dovrebbero spendere un solo euro per cultura e tempo libero almeno per un mese; con una conseguente caduta dei consumi culturali “intermedi”.

L’importanza di avvicinare i giovani alla cultura

Polarizzando i consumi, si riducono le forme di produzione culturale che non trovano un bacino di utenti sufficientemente ampio da stimolare i distributori a investire su artisti emergenti. Viceversa, incrementando la disponibilità di reddito e la fiducia in un impiego futuro, il livello di consumi culturali potrebbe trovare in questa fascia di popolazione un’importante fetta di mercato.

Parallelamente, e qui il discorso si sposta nuovamente sull’economia, la riduzione dell’erosione dei risparmi familiari, grazie ad un equo stipendio dei figli, aumenterebbe la propensione all’investimento delle famiglie. Attività oggi poco diffusa per la costante necessità di liquidità monetaria.

Quindi, l’incremento delle disponibilità finanziarie dei giovani, che insieme agli “over” vantano la maggior disponibilità di tempo libero, potrebbe avere effetti non solo economici ma anche culturali in senso ampio. Una maggiore domanda culturale, stimolando l’offerta, potrebbe tradursi in una crescita del consumo culturale attivo, essenziale per lo sviluppo di tutti quei processi emotivi, cognitivi e sociali che dovrebbero derivare dalla fruizione culturale.

Ignorare questa fascia di popolazione oltre a ridurre i consumi culturali, con effetti diretti anche sulla spesa pubblica, equivale ad abbassare il livello di “adesione” all’identità culturale che, invece, rappresenta forse uno dei principali motivi che spingono i giovani a rimanere in Italia al termine del ciclo di studi.

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Forse, varrebbe la pena iniziare ad immaginare contratti specifici per giovani e studenti universitari, un costo decisamente inferiore rispetto a quello rappresentato da uno scarso consumo culturale e da un tasso di giovani sempre più basso.

Se volete, però, possiamo continuare a parlare di bonus cultura e tagli alla spesa…

Stefano Monti

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