AGI – Per la prima volta un gruppo di studiosi ha mappato a livello globale il fenomeno delle “megasiccità”, siccità che colpiscono in maniera persistente una regione per più anni di seguito, scoprendo che hanno già arrecato danni considerevoli a diverse parti del Pianeta e che aumenteranno nel prossimo futuro in frequenza, severità ed estensione.
I risultati della ricerca – guidata dall’Istituto federale svizzero per la ricerca sulle foreste, la neve e il paesaggio (WSL), con la partecipazione della professoressa Francesca Pellicciotti dell’Istituto di scienza e tecnologia austriaco (ISTA) – sono stati pubblicati su “Science”. “Ogni anno dal 1980 – ha dichiarato la prof.ssa Pellicciotti, ricercatrice principale del progetto EMERGE finanziato dal WSL, nell’ambito del quale è stato condotto il presente studio – le aree colpite dalla siccità si sono estese in media di altri cinquantamila chilometri quadrati, ovvero più o meno l’area della Slovacchia o degli stati americani del Vermont e del New Hampshire messi insieme, causando danni enormi agli ecosistemi, all’agricoltura e alla produzione di energia”.
Il team internazionale dietro la nuova ricerca ha utilizzato come base per la propria analisi i dati climatici CHELSA preparati dal ricercatore senior WSL e autore dello studio Dirk Karger , che partono dal 1979. Gli studiosi hanno calcolato le anomalie nelle precipitazioni e nell’evapotraspirazione (evaporazione dell’acqua dal suolo e dalle piante) e il loro impatto sugli ecosistemi naturali in tutto il mondo. Ciò ha permesso loro di calcolare numero e impatto delle siccità pluriennali sia in regioni del pianeta ben studiate che meno accessibili, in particolare in aree come le foreste tropicali e le Ande, dove sono disponibili pochi dati osservativi.
“Il nostro metodo – afferma Karger – non solo ha mappato siccità ben documentate, ma ha anche fatto luce su siccità estreme passate inosservate, come quella che ha colpito la foresta pluviale del Congo dal 2010 al 2018”. Per garantire risultati coerenti per tutto il mondo, il team ha sviluppato un’analisi multi-step che permettesse di compensare alcune lacune nei dati satellitari. Hanno così dimostrato che le mega-siccità hanno avuto il più alto impatto immediato sulle praterie temperate, in particolare negli Stati Uniti occidentali, la Mongolia centrale e orientale e l’Australia sud-orientale.
Per quel che riguarda invece aree coperte da foreste, gli impatti sono riluttati per certi versi contraddittori. In particolare le foreste in climi temperati o più freddi hanno visto una estensione della stagione della crescita. La vegetazione infatti ha beneficiato del calore delle megasiccità per far fronte ai periodi dell’anno più freddi, sfruttando a proprio favore le riserve d’acqua terrestri. Detto questo, si tratta in realtà di un effetto di corto respiro.
Continuando nel tempo le megasiccità devastano i ghiacciai e impediscono il rifornimento delle falde acquifere portando comunque ad una moria della vegetazione. “In caso di estrema carenza idrica – afferma Karger – a lungo termine, gli alberi nelle regioni tropicali e boreali rischiano comunque di morire, causando danni duraturi a questi ecosistemi. In particolare, proprio, la vegetazione boreale probabilmente impiegherà più tempo a riprendersi da un simile disastro climatico”.
Pellicciotti spera che visti i risultati dello studio e il trend tendenzialmente negativo per il futuro, possa mutare la nostra percezione delle siccità e di come prepararci ad esse: “Attualmente – afferma – le strategie di mitigazione considerano ampiamente le siccità come eventi annuali o stagionali, il che è in netto contrasto con le megasiccità più lunghe e gravi che affronteremo in futuro. Ci auguriamo che il database delle siccità che stiamo pubblicando aiuti a orientare i decisori politici verso misure di preparazione e prevenzione più realistiche”.
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