Pensioni, Giorgetti stoppa aumento requisiti, ma spunta la proposta dell’uscita dal lavoro a 71 anni

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Il ministro dell’Economia Giorgetti ha chiarito cosa è intende fare con le pensioni di vecchiaia e anticipate, spiegando che in questo momento non è previsto un aumento dei requisiti.

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Il ministro dell’Economia Giorgetti ha chiarito che l’aumento di tre mesi dei requisiti per la pensione di vecchiaia e per la pensione anticipata. Almeno per il momento. Dopo il giallo della fuga in avanti dell’Inps, che autonomamente e senza preavviso aveva aggiornato il suo simulatore, sulla base di quando aveva annunciato l’Istat circa l’aumento dell’aspettativa di vita a 65 anni, per adesso la questione, che intanto è finita in Parlamento, sembra congelata. L’Inps ha corretto l’errore, ma non sembra un capitolo un chiuso, nonostante la Lega abbia da subito assicurato che bloccherà qualsiasi aumento dei requisiti per andare in pensione.

“Il mio orientamento onestamente è di andare verso una sterilizzazione rispetto a queste forme di aumento”, ha spiegato ieri all’ANSA il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti interpellato sull’argomento. La questione si era aperta la scorsa settimana, quando la Cgil aveva denunciato appunto che sui simulatori dell’Inps, a partire dal 2027, risultava questo aumento dei requisiti per uscire dal lavoro, un aumento che non era stato però annunciato o avallato dal governo. In pratica risultava che dal 2027 sarebbero serviti 67 anni e tre mesi di età per la pensione di vecchiaia, quindi tre mesi in più, e 43 anni e un mese di contributi per la pensione anticipata, indipendentemente dall’età (Per le donne l’accesso alla pensione anticipata sarebbe scattato a 42 anni e 1 mese, un anno in meno). Dal 2029 poi il requisito contributivo sarebbe aumentato di altri due mesi: l’età della vecchiaia dunque sarebbe salita a 67 anni e 5 mesi e i contributi per l’anticipata a 43 anni e 3 mesi (un anno in meno per le donne). Poi l’istituto di previdenza aveva corretto il tiro, e in questo momento sono in vigore i vecchi criteri: 67 anni (con 20 di contributi) e 42 anni e 10 mesi (uno in meno per le donne), anche nel 2027. Mentre nel 2029 verranno incrementanti di un mese soltanto (dall’Inps risultavano invece la scorsa settimana ben 5 mesi in più).

Giorgetti minimizza il pasticcio sulle pensioni: “Non c’è nessun decreto”

“Non è nessun pasticcio, è semplicemente che ci sono dei documenti tecnici, adesso dobbiamo aspettare i dati definitivi che darà l’Istat presumo a marzo. Io ho dato indicazione alla Ragioneria di aspettare con i decreti direttoriali perché la politica giustamente avrà tutto il tempo per fare le sue riflessioni e sterilizzare eventualmente questo aumento”, ha spiegato ancora Giorgetti, negando la situazione di caos e di allarme sollevata dai sindacati. “L’aumento è nelle prerogative della politica. Questo è l’andamento che viene certificato dall’Istat e dall’evoluzione demografica ma non c’è e non ci sarà nessun decreto direttoriale finché la politica non si esprimerà e deciderà come comportarsi”, ha assicurato.

In un documento appena pubblicato dalla Ragioneria dello Stato dal titolo “Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario” sono contenute le previsioni elaborate con i modelli della Ragioneria Generale dello Stato aggiornati a settembre 2024. Il documento tecnico – che sottolinea espressamente che le stime con gli adeguamenti effettivamente applicati risulteranno quelli accertati dall’Istituto di statistica a consuntivo – indica per il 2027 un aumento da 67 a 67 anni e tre mesi dei requisiti per l’accesso al pensionamento in base ad uno scenario mediano dell’Istat. Dal 2029 si passa poi a 67 anni e cinque mesi. C’è poi la valutazione politica che, al di là dei calcoli demografici, può consentire con un decreto di ‘sterilizzare’ l’aumento che scatterebbe e alla quale il ministro dell’Economia Giorgetti ha detto ieri di essere favorevole.

Il sottosegretario leghista Claudio Durigon ha ribadito che la Lega è pronta alle barricate. “Le parole del ministro Giorgetti confermano che è stato sollevato un polverone per niente. La questione dell’innalzamento dell’età pensionabile discende, infatti, da documenti tecnici inapplicabili in assenza dei dati definitivi che l’Istat deve ancora dare. È importante ricordare che l’ultima parola sul tema spetta alla politica: già nel 2019 abbiamo bloccato il meccanismo che collega quegli stessi dati all’innalzamento dei requisiti pensionistici. Allo stesso modo, ci impegneremo a bloccare ogni inasprimento dei requisiti se i dati Istat dovessero evidenziare un aumento dell’aspettativa di vita. Bene che l’orientamento del ministro Giorgetti sia verso una sterilizzazione rispetto a questo meccanismo. L’equilibrio del sistema previdenziale non è assolutamente a rischio e non richiede, né richiederà in futuro, interventi che vadano ad inasprire i requisiti sia dal punto di vista dell’età che dal punto di vista degli anni di contributi per quanto riguarda l’uscita anticipata”.

L’aspettativa di vita è aumentata: cosa può succedere

L’ultimo rapporto di Itinerari previdenziali, traccia il bilancio 2023 e guarda a possibili scenari. Il rapporto tra lavoratori e pensionati (i primi aumentati nell’anno a 23,754 milioni, i secondi a 16,230 milioni) sale a quota 1,4636, il miglior valore della serie storica tracciata dallo studio. Benché ancora al di sotto dell’1,5 già indicata come soglia minima per la stabilità di medio-lungo termine, nel complesso “il sistema regge e continuerà a farlo”, purché si compiano, in un Paese che invecchia, scelte più oculate su politiche attive per il lavoro, anticipi ed età di pensionamento. Tradotto: qualcosa nel sistema attuale deve cambiare.

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“La demografia è già partita e noi siamo in ritardo”, ha spiegato il presidente Alberto Brambilla durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto. “Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’aspettativa di vita in Italia era di 59 anni, mentre nelle settimane scorse l’Istat ci ha fatto sapere che ormai viaggiamo verso gli 83 anni”. Per questo, anche se il sistema pensionistico è diventato più sostenibile dall’aumento dell’occupazione, l’alto numero di pensionati può farlo sbilanciare.

Le proposte di Itinerari previdenziali: l’incentivo per chi lavora fino a 71 anni

Per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale anche nei prossimi decenni, il rapporto propone una serie di interventi strutturali. Per prima cosa, secondo il presidente Alberto Brambilla, “occorrerà un’applicazione puntuale dei due stabilizzatori automatici previsti”, tra cui l’adeguamento dei requisiti di età e dei coefficienti di trasformazione all’aspettativa di vita. Ma non dei contributi per la pensione anticipata. Esattamente l’opposto rispetto a quanto dice la Lega. Secondo Itinerari previdenziali quindi, chi ha versato contributi per 42 anni e 10 mesi (o 41 anni e 10 mesi per le donne) dovrebbe mantenere il diritto alla pensione, senza nessun adeguamento al rialzo. Lo stesso vale per chi, a 64 anni di età, ha già versato contributi per 38 anni. Mentre sarebbe corretto aumentare l’età per il pensionamento al di sopra dei 67 anni.

La seconda proposta lanciata è quella di controbilanciare i troppi pensionamenti anticipati, con un incentivo per chi volontariamente desidera lavorare fino ai 71 anni: in particolare, viene proposta l’introduzione di un “superbonus” per coloro che decidono di prolungare la loro carriera fino ai 71 anni, incentivando il lavoro più lungo e aumentando il volume delle contribuzioni previdenziali.





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