le minacce di morte da Mileto sino in Lombardia nel racconto del teste Pititto

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L’ex rivenditore di auto, rimasto coinvolto nell’operazione Quadrifoglio della Dda di Milano, ha riferito su alcuni fatti di sangue avvenuti nel Vibonese e sul crescendo di intimidazioni ai suoi danni

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Pasquale Pititto

È stata oggi la volta del teste Alberto Pititto, 50 anni, di Paravati (frazione di Mileto), ma dal 1997 residente a Mariano Comense, nel maxiprocesso nato dalle operazioni Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium. Dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro Andrea Buzzelli, Pititto ha spiegato di essere uscito da tempo dal programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia e di aver reso due interrogatori alla Procura distrettuale di Milano in data 21 e 23 luglio 2015. Temevo per la mia vita e mio cognato Domenico Bartone mi ripeteva che personaggi calabresi volevano ammazzarmi dopo avermi richiesto una mazzetta da cinquemila euro. Mi occupavo della vendita di auto a Mariano Comense – ha dichiarato Pititto – e ho subito tre intimidazioni, la prima delle quali facendomi ritrovare una bottiglia incendiaria con quattro proiettili. Poi hanno anche sparato al mio cane. Vivevo in uno stato di paura e mio cognato Domenico Bartone faceva il doppio-gioco spiegandomi tutto sui personaggi che volevano soldi da me. Ero fortemente intimidito e Bartone mi raccontò anche dell’uso di armi per ammazzarmi. Sempre Bartone mi riferì che Fortunato Galati e suo fratello Domenico avevano ricevuto dall’estero un carico di armi che sono state poi portate nel Meridione e in Lombardia. Le armi se le sono divise Fortunato Galati, i Mesiano che stavano a Monza e Pasquale Pititto di San Giovanni di Mileto che aveva un passato da killer, non è un mio parente e si trovava su una carrozzina”.
Fortunato Galati figura tra gli imputati del maxiprocesso Maestrale-Carthago con il ruolo di promotore ed organizzatore del “locale” di ‘ndrangheta di Mileto e della ‘ndrina di Paravati. In stretti rapporti con Michele Galati e con Peppone Accorinti, nonostante lo stato detentivo derivante dall’operazione antimafia denominata “Quadrifoglio”, avrebbe partecipato alla pianificazione delle strategie del clan partecipando alla spartizione dei proventi estorsivi. E proprio l’operazione Quadrifoglio della Dda di Milanoè stata oggi menzionata in udienza da Alberto Pititto per ricordare di essere stato lui stesso detenuto nel 2014 per concorso esterno in associazione mafiosa, vale a dire il gruppo Bartone-Galati.

Gli omicidi nel Vibonese

Angelo Bartone

Alberto Pititto ha quindi fatto cenno ad alcuni fatti di sangue di cui avrebbe appreso dal cognato Domenico Bartone. È stato Bartone a raccontarmi – ha riferito il teste – che Fortunato Galati aveva fatto sparire a Mileto un ragazzo che si era reso responsabile di una violenza sessuale su un’anziana di 80 anni. Sempre mio cognato, al fine di intimidirmi e costringermi a pagare la mazzetta, mi riferì che Fortunato Galati era un soggetto pericoloso che nel 1997 in una strada che porta a San Calogero aveva ucciso tale Emilio Castagna”. Quindi lo scontro tra i Galati e gli Evolo di Paravati. “Sempre Domenico Bartone mi ha spiegato che gli Evolo volevano uccidere Fortunato Galati e Angelo Bartone per il controllo di Mileto. Fortunato Galati è stato però più veloce ed ha giocato d’anticipo uccidendo Evolo. Era il 1997 e ricordo – ha riferito il teste – che all’epoca mi trovavo a Paravati e da casa mia ho visto una Fiat Uno sgommare dopo l’omicidio”. Il riferimento è all’omicidio di Domenico Evolo, compiuto a Paravati il 4 luglio 1997 (non contestato a Fortunato Galati). Gli Evolo appartenevano ad un clan attivo su Paravati negli anni ’80, rimasti coinvolti nei primi anni ’90 in una cruenta faida sia con i Galati, quanto con i Pititto-Iannello di San Giovanni di Mileto. Angelo Bartone, 50 anni, si trova invece sotto processo in Maestrale-Carthago con l’accusa di associazione mafiosa ed in particolare con l’accusa di essere un partecipe attivo alla ‘ndrina di Paravati.

Impegnati nel controesame di Alberto Pititto sono stati gli avvocati Tommaso Zavaglia, Leopoldo Marchese, Giuseppe Monteleone e Antonio Papalia. I difensori hanno in particolare portato all’attenzione del Collegio alcune discrasie tra le dichiarazioni rese dal teste alla Dda di Milano e i verbali riassuntivi delle stesse.

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