Veneto, Zaia prova a resistere. Salvini e la carta Fontana

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I Mentre Luca Zaia concentra tutte le sue speranze per restare governatore sulla pronuncia della Corte costituzionale sul terzo mandato per il presidente della Campania (attesa a tarda primavera dopo che il governo ha impugnato la norma), De Luca ironizza sul collega, ricordando che l’altro governa dal 2010: «Zaia? Non l’ho sentito. Ma lui sta così bene, non ha problemi, l’ha già finito il terzo mandato».

IN EFFETTI IL VENETO ha recepito nel 2012 la legge nazionale che fissa i mandati per i governatori a due: da allora Zaia ha rivinto nel 2015 e nel 2020, e dunque ha finito tutti i bonus disponibili. Per lui solo una riforma della legge nazionale (del 2004) potrebbe aprire le porte a un quarto mandato. Ipotesi che Meloni non prende neppure in considerazione. Perché vuole, partendo dal Veneto, ridisegnare gli equilibri a destra nelle regioni del Nord, passando poi a Lombardia e Friuli, dove i due presidenti leghisti, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga, finiranno il secondo mandato nel 2028.

Ed è per questo che la guerra di potere che è scoppiata in Veneto sul dopo-Zaia ha un perso politico così alto: per la Lega perdere la guida delle regioni del Nord assomiglierebbe a un’estinzione. E dunque i leghisti, in particolare i veneti, hanno deciso di vendere cara la pelle, sbarrando la strada a un candidato di Fdi per le regionali d’autunno. Fino al punto di minacciare di correre da soli contro Fdi, ipotesi che per ora è solo a parole. E in molti scommettono che Zaia difficilmente si metterebbe alla guida (con una sua lista civica) di una spaccatura che avrebbe conseguenze inevitabili sulla tenuta del governo nazionale. Ecco perchè siamo solo alle grida, ai posizionamenti tattici.

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Roberto Marcato, assessore allo sviluppo economico, è convinto che «Zaia ci crede ancora, per lui la partita non è chiusa». Oggi il governatore parlerà alla stampa, le indiscrezioni suggeriscono che prenderà tempo, rinvierà ogni decisione alla decisione della Consulta su De Luca. In ogni caso, dice Marcato, «non c’è alternativa a un candidato o candidata della Lega, perchè abbiamo un esercito di amministratori locali che nessun altro ha, e perchè in Veneto abbiamo creato un modello di gestione della cosa pubblica che non può essere messo a repentaglio da candidature più ideologiche». Tradotto: no a un uomo di Fdi, e in particolare al senatore Luca De Carlo, coordinatore regionale dei meloniani e da tempo in pole position per la candidatura.

ANCHE IL LEADER LOCALE della Lega, Alberto Stefani, è sul piede di guerra. E ribadisce che quel «possiamo correre da soli» non è solo una minaccia. Lui è l’uomo che Salvini vorrebbe mettere in pista, più del sindaco di Treviso Mario Conte o della vice di Zaia Elisa De Berti. E Marcato avverte: «No a decisioni imposte da Roma, in Sardegna l’hanno fatto e i cittadini non l’hanno votato (il meloniano Truzz, ndr)». «E non vedo perchè ci dovrebbero essere conseguenze sul governo nazionale».

LA TRATTATIVA, O MEGLIO il braccio di ferro tra Salvini e Meloni, sarà lungo e sanguinoso. Tra le carte (finora coperte) del leader leghista c’è anche un nome pesante, quello del presidente della Camera Lorenzo Fontana, veronese doc. Non è mai accaduto che la terza carica dello Stato si sia dimesso per correre in una regione. Eppure il suo nome circola tra i leghisti e per Meloni dire no a Fontana sarebbe un po’ più difficile rispetto a un parlamentare semplice o un assessore uscente. Oppure si ragiona su una mediazione: un candidato civico gradito a Fdi (magari pescato tra gli imprenditori) accompagnato da una lista Zaia.

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Ma il problema è che quasi tutti gli assessori uscenti non potranno tornare al loro posto: la legge regionale prevede il tetto dei due mandati anche per i componenti della giunta. I rumors veneti dicono che Zaia stia trattando il suo futuro direttamente con la premier: se dovesse trovare una casella a lui congeniale tutta la barricata della corsa in solitaria cadrebbe come un castello dic arte. Senza il timbro «Zaia» una corsa solitaria dei leghisti sarebbe un suicidio politico.

NEL CENTROSINISTRA NON si fanno troppe illusioni sulla reale spaccatura a destra. «Zaia non si è mai intestato battaglie politiche neppure dentro la Lega, figuriamoci se andrà allo scontro con Meloni», ragionano. Consapevoli che la scelta del candidato di sinistra dovrà arrivare dopo quello delle destre. Se infatti Lega e Fdi corressero divisi, «in molti nella nostra area potrebbero essere tentativi dalla sfida». Altrimenti Pd e alleati rischiano di dover schierare l’ennesimo candidato di bandiera.



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