Oggi la viticoltura deve affrontare molte sfide legate al cambiamento climatico e alla gestione sostenibile. La degradazione dei suoli e l’erosione sono problemi in aumento, così come lo stress idrico, termico e luminoso che influisce sullo sviluppo delle piante. Le fasi fenologiche spesso sono anticipate, aumentando il rischio di gelate tardive e attacchi precoci di patogeni, mentre il germogliamento è spesso precoce e disomogeneo a causa di inverni caldi e siccitosi.
Le alte temperature estive causano ustioni, avvizzimenti e portano a gradazioni alcoliche più elevate con una riduzione dell’acidità. Si osserva inoltre il disaccoppiamento tra maturazione tecnologica e fenolica, alterazioni del quadro aromatico e vendemmie anticipate con finestre di raccolta più brevi. A ciò si aggiunge un ridotto accumulo di riserve nelle piante e un aumento della pressione di patogeni e parassiti.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Questo è il momento adatto per studiare, testare e mettere in pratica strategie agronomiche diverse, per progettare una viticoltura meno fragile, più durevole e resistente garantendo comunque qualità e sostenibilità.
Subito dopo l’incontro annuale di Eara, l’Alleanza Europea per l’Agricoltura Rigenerativa, tenutosi a fine novembre 2024 in Germania con la partecipazione di 60 agricoltori europei impegnati nell’agricoltura rigenerativa, si è svolto in Trentino Alto Adige il corso “Viticoltura rigenerativa di montagna”.
Il corso è stato organizzato da Eit Food, organizzazione europea incentrata sull’innovazione e la sostenibilità, si è tenuto ai margini della Val di Cembra, un luogo rappresentativo per la difficoltà che gli agricoltori devono affrontare nel gestire terreni ripidi e difficili da lavorare.
All’evento hanno partecipato oltre a tanti agricoltori del Trentino Alto Adige, che lavorano sia in un contesto di agricoltura biologica che convenzionale, anche tecnici provenienti dall’Emilia Romagna, Piemonte, Veneto e Lombardia. Tra i formatori del corso Elisa Decarli, agronoma e tecnica di Deafal e Sérgio Nicolau agronomo e viticoltore portoghese che pratica l’agricoltura rigenerativa nell’azienda Familia Nicolau.
I partecipanti al corso di viticoltura rigenerativa di montagna organizzato in Trentino Alto Adige
(Fonte: Eit Food)
Pratiche rigenerative per la viticoltura
L’agricoltura rigenerativa ha come obiettivo principale quello di migliorare la qualità del suolo, aumentandone la fertilità e la biodiversità microbica per ottenere una produzione di maggior qualità e un sistema agricolo più resiliente agli stress biotici e abiotici.
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Da dove si parte, quindi, per fare viticoltura rigenerativa? Le pratiche sono tante e nemmeno così nuove, e possono essere divise in strategie di breve e lungo periodo. Nel breve periodo, infatti, si può lavorare al rispetto e al miglioramento della salute del suolo riducendo le lavorazioni, apportando sostanza organica e mantenendo un inerbimento costante e su tutto il terreno dove è possibile. Ma non solo, è importante anche massimizzare la risorsa idrica attraverso le giuste sistemazioni idrauliche (terrazzamenti, i ciglioni inerbiti e tutte quelle sistemazioni che rallentano la discesa dell’acqua), migliorare la capacità fotosintetica delle piante e utilizzare biofertilizzanti, biostimolanti e inoculi di microrganismi benefici.
mantenendo un inerbimento costante e su tutto il terreno dove è possibile
Nel lungo periodo, invece, si può pensare di modificare il sistema di allevamento (i trend sono le spalliere più coperte o le mezze pergole), inserire alberi e arbusti (agroforestazione o vitiforestry) e introdurre animali al pascolo direttamente in vigna.
La salute della pianta e la salute del suolo: due fattori sempre connessi
La salute della pianta dipende principalmente dalla fotosintesi e dalla sintesi di proteine, grassi e metaboliti secondari. Stimolando questi processi le piante possono sviluppare maggior resistenza ai patogeni e ai fitofagi. Per esempio, migliorando la sintesi di proteine la pianta diventa più resistente agli insetti fitofagi o che si nutrono della linfa (come gli afidi), perché questi animali non riescono ad assimilare le proteine, preferendo forme di azoto più semplici come i nitrati, e smettono di vedere la pianta come un alimento. Nutrienti come magnesio, molibdeno, boro e zolfo sono fondamentali per trasformare i nitrati in proteine, contribuendo a migliorare la difesa naturale delle piante. Al contrario, un eccesso di nitrati nelle piante può renderle più vulnerabili agli attacchi degli insetti fitofagi, che riescono a digerire meglio questa forma di azoto.
La salute delle piante è ovviamente collegata a quella del suolo perché è da lì che la pianta acquista i nutrienti e l’acqua. La salute del suolo dipende soprattutto dal contenuto e dalla qualità di sostanza organica e dalla biodiversità microbica.
Da uno studio della Fondazione Edmund Mach del 2017 risulta che in 30 anni il contenuto medio di sostanza organica in 63 suoli vitati trentini è passato da 3,2 a 2,6%. La sostanza organica è fondamentale per migliorare la struttura del terreno e aumentare la capacità di ritenzione idrica.
Inoltre, la sostanza organica contiene vita: fino a 50mila specie di microrganismi tra alghe, batteri, funghi e attinomiceti. La presenza di questi microrganismi aiuta a rendere i nutrienti nel suolo disponibili per le piante e possono fungere da soppressori delle malattie, permettendo così di ridurre l’uso sia di fertilizzanti di sintesi sia di agrofarmaci.
Differenza tra solo malato (a sinistra) e suolo in salute (a destra)
(Fonte: Sérgio Nicolau)
Anche questi organismi, bisogna ricordare, hanno bisogno di nutrimento. I funghi per esempio si nutrono di carbonio e soprattutto di zuccheri complessi (come legno, carta e cartone) e proteine (grassi, olio di pesce, cellulosa, acidi umici e legno bianco di salice, betulle, olmo e faggio).
Molte di queste dinamiche che legano la salute della pianta a quella del suolo possono essere misurate per aiutare l’agricoltore a prendere le giuste decisioni. Si consigliano infatti le analisi fogliari, durante tutto il ciclo della pianta, analisi della linfa, misura del grado brix e analisi del suolo che comprendono sia la parte mineralogica e sia quella microbiologica. A queste poi si possono aggiungere anche le analisi con i droni, Ndvi e satellitari.
Inerbimento in vigneto e ridotte lavorazioni per ridurre erosione e compattazione
“Bisogna fare un passo indietro su quella che è la mentalità generale che vede un vigneto inerbito come disordinato. L’erba ci serve”. Ha detto Elisa Decarli, agronoma e tecnica di Deafal, durante il corso di viticoltura rigenerativa di montagna.
Le colture di copertura, infatti, servono ad arricchire con sostanza organica e nutrienti il suolo e proteggerlo dei fenomeni di ossidazione, degradazione della sostanza organica, erosione e lisciviazione di acqua ed elementi nutritivi. In più, la loro presenza è sinonimo di biodiversità perché stimolano la crescita dei microrganismi del suolo, fungono da riparo per insetti predatori e utili e da competizione per le erbe infestanti.
L’inerbimento va gestito e curato sin dall’inizio, se possibile (a seconda dalla zona e dal tipo di terreno) anche prima di impiantare la vite, così che si ha già un terreno portante e protetto. Non deve comunque competere sulla fila con le barbatelle che si pianteranno, quindi va modulato in funzione della situazione.
Gli inerbimenti più utili sono quelli composti da miscugli, con un’alta biodiversità e che comprendono più famiglie botaniche. In questo modo ci saranno tante piante che lavoreranno il terreno in maniera differente: ad esempio, negli inerbimenti temporanei le graminacee annuali preservano dall’erosione, le leguminose possono apportare più azoto, mentre le crucifere sono decompattatrici.
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Per inerbire riducendo le lavorazioni del suolo si può usare sia una seminatrice da sodo che la tecnica della semina a spaglio.
Quest’ultima tecnica, in particolare, serve principalmente per migliorare gli inerbimenti già presenti sul terreno, quindi quelli da prato stabile con specie poliennali e annuali spontanee insieme, oppure seminate negli anni precedenti. Verso marzo si può fare la semina a spaglio e dopo qualche settimana si può alettare il sovescio per far partire la crescita dei semi che nel frattempo hanno germinato e sviluppato la radichetta. Questo tipo di trasemina è molto utile per migliorare in maniera mirata gli erbai, soprattutto nei vigneti dove a lungo andare tendono a svilupparsi sempre molte graminacee.
Campo inerbito nell’azienda rigenerativa Familia Nicolau in Portogallo
(Fonte: Sérgio Nicolau)
Gli inerbimenti vanno comunque gestiti, soprattutto in determinati periodi dell’anno in cui ci potrebbe essere troppa competizione con la vite. Per questo scopo ci sono varie opzioni:
- animali al pascolo in inverno;
- trinciatura e pacciamatura. È consigliato tenere la trincia alta o utilizzare attrezzi che tagliano gli steli più lunghi come trincia a catena, trincia a coltelli o barre falcianti permettendo così alla copertura vegetale di durare di più sul terreno;
- alettatura con roller crimper che schiaccia le colture al suolo. Queste, una volta seccatesi, mantengono il suolo fresco, protetto da forti piogge e dai raggi del sole, contenendo lo sviluppo delle infestanti e migliorando la struttura del suolo grazie al lavoro meccanico delle radici.
In questo articolo scientifico dell’Università Sant’Anna di Pisa hanno studiato i risultati ottenuti in due aziende agricole biologiche nel Chianti Classico dove hanno messo in pratica le lavorazione convenzionale del suolo a confronto con l’inerbimento spontaneo e l’inerbimento con un miscuglio. Il terreno coperto dall’inerbimento, in seguito utilizzato come pacciamatura, aveva più sostanza organica rispetto al suolo lavorato già dopo due anni. È stata riscontrata, inoltre, una maggiore disponibilità di azoto, una migliore struttura del suolo e maggiore salute.
Pascolo in vigneto, si può fare
Integrare gli animali è una pratica estremamente rigenerativa che aiuta a migliorare la salute del suolo, permette di gestire l’inerbimento e riduce l’uso dei fertilizzanti; inoltre più generare un reddito in più.
La scelta dell’animale dipende dalla stagione e dalla forma di allevamento. Gli animali migliori da far pascolare in campo sarebbero le vacche ma sono un po’ difficili da gestire in vigneto. Si possono perciò prendere in considerazione le pecore, i polli e le capre (con attenzione). Durante il corso sono stati fatti esempi anche di aziende che allevano maiali in vigneto o razze ovine a taglia piccola o incapaci di stare in piedi su due zampe.
Pecore al pascolo nell’azienda rigenerativa Familia Nicolau in Portogallo
(Fonte: Sérgio Nicolau)
Un altro esempio è quello dell’azienda italiana Di Filippo che fa parte del progetto “One Goose Revolution” della facoltà di Agraria, Veterinaria e di Scienze Zootecniche dell’Università di Perugia, dove fanno pascolare nei vigneti aziendali le oche. Queste si alimentano delle erbe che crescono tra i filari e solo durante il periodo di germogliamento e maturazione dell’uva le oche vengono tenute lontane dai vigneti.
Ci possono essere dei problemi nel far pascolare animali in un ambiente a volte così ricco di rame? Sì, ed è qui che ritorna l’importanza del fare le analisi.
Il pascolo perché sia davvero rigenerativo deve essere gestito a rotazione; gli animali devono essere spostati periodicamente in modo tale da permettere all’erba di ricrescere ed evitare lo sviluppo di un ambiente favorevole ai patogeni animali.
Autoproduzione di input agricoli
Durante il corso di viticoltura rigenerativa di montagna è stata fatta una panoramica dei vari preparati che si possono autoprodurre in azienda, da usare in vigneto per aumentare la fertilità del suolo e la carica microbica benefica e per ridurre l’uso di input esterni come il rame.
Si è parlato per esempio di biostimolanti, macerati, estratti naturali e sostanze di base come il chitosano per aumentare le resistenze delle piante e l’estratto di equiseto per controllare oidio e peronospora.
Sono state fornite informazioni sulla preparazione di diversi fermentati tipici dell’agricoltura naturale coreana che promuovono l’inoculo di microrganismi benefici nel suolo. Esempi sono l’Imo, coltura di microrganismi benefici indigeni, l’idrolizzato di pesce ricco di amminoacidi e proteine, i succhi fermentati (Fpj e Ffj) che contengono nutrienti in forme direttamente utilizzabili dalle piante e la coltura di batteri lattici utile anche per contrastare i patogeni fungini.
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Si è parlato anche di compost, vermicompost e compost tea che oltre ad aumentare il contenuto di sostanza organica, contengono molecole bioattive e microrganismi che migliorano la crescita e la salute delle piante. Inoltre, sul compost tea iniziano anche ad esserci degli studi come questo sulla soppressività su vite di oidio e botrite.
“Le piante ben nutrite e con microrganismi benefici producono maggiori quantità di acidi organici come acido tartarico e acido malico e di metaboliti secondari come carotenoidi, flavonoidi, tannini, antociani, terpeni e altri. Per la vite è molto importante perché la maggior parte di questi composti sono non solo antiossidanti naturali che possono aumentare la longevità del vino, ma sono anche precursori degli aromi del vino e quindi possono dare una produzione di maggiore qualità“, ha spiegato Sérgio Nicolau, agronomo e formatore del corso di viticoltura rigenerativa di montagna.
Esempi di preparati biologici per la nutrizione delle piante
(Fonte: Sérgio Nicolau)
L’esempio dell’azienda di Sérgio Nicolau in Portogallo
Uno dei formatori del corso è stato Sérgio Nicolau, un agronomo e viticoltore portoghese che da qualche anno ha convertito l’azienda vitivinicola di famiglia da convenzionale a biologica e poi a rigenerativa. L’azienda Familia Nicolau si estende per 10 ettari e si trova vicino Lisbona.
Quando l’azienda era gestita in maniera convenzionale Sérgio e la sua famiglia vendevano l’uva alla cooperativa, facevano produzioni intensive tra le 20 e le 40 tonnellate, lavoravano molto il suolo e il controllo delle malattie era fatto con agrofarmaci di sintetici ed erbicidi. Con la diminuzione della sostanza organica nel terreno Sérgio ha osservato maggiori problemi di ristagno idrico, eccessiva compattazione del suolo, diminuzione della biodiversità animale (anfibi, mammiferi e insetti) e moltissima erosione.
Nel 2018 ha cominciato ad utilizzare varietà meno produttive e più tradizionali, la cui uva riusciva a venderla ad un prezzo più alto. Nel 2020 ha impiantato dei nuovi vigneti e ha cominciato a seminare le prime colture di copertura nei filari utilizzando fino a 18 specie vegetali diverse.
Sérgio ha deciso di mettere in pratica i principi dell’agricoltura rigenerativa quando si è reso conto che anche con il biologico l’approccio all’agroecosistema non cambiava e a riguardo dice: “Si passa da un tipo di prodotti chimici ad un altro, un po’ più naturali, ma la mentalità non cambia, si usano solo prodotti diversi. Per me rame e zolfo non sono la risposta a tutto. Quindi ho cominciato ad informarmi e a studiare tanto con webinar, corsi e leggendo libri”.
Nelle vigne dell’azienda ci sono pecore e capre al pascolo in inverno: “Essendoci una coltura vegetale così ricca e appetitosa nel vigneto, le pecore non badano alle viti e mangiano quello he trovano per terra. Con le capre ovviamente è un po’ diverso, ci vuole più controllo”, spiega Sérgio.
Il trattore che usava per i trattamenti erbicidi adesso lo usa per fare i trattamenti con il compost tea e per il controllo delle infestanti sulla fila fa il diserbo meccanico, mentre tra le file utilizza la copertura come pacciamante o anche i residui di potatura tritati. Quest’ultimo passaggio gli è particolarmente utile perché ha notato un significativo abbassamento della temperatura del suolo: se in agosto ci sono 46 gradi in campo, nel terreno pacciamato ce ne sono 26-28. Con questa temperatura si riduce l’evaporazione di acqua ma soprattutto i microrganismi continuano a lavorare.
Raccolta di uva nell’azienda rigenerativa Familia Nicolau in Portogallo
(Fonte: Sérgio Nicolau)
Per il controllo delle malattie fungine utilizza una stazione meteorologica che gli segnala la probabilità di infezione e solo quando c’è un’elevata probabilità tratta con il rame, altrimenti cerca di usare il più possibile colture microbiche e le strategie di nutrizione per favorire resistenza e salute alle piante.
Oggi che l’azienda segue le pratiche di agricoltura rigenerativa produce tra le 8 e le 12 tonnellate ad ettaro di uva. C’è stata una caduta iniziale della produzione, inevitabile; ma pian piano il vigneto si sta adattando e la produzione aumenta. Prima l’azienda di Sérgio vendeva l’uva a 25-30 centesimi al kilo, ora la vende a 95 centesimi e 1 euro e 10 al chilo. La bottiglia di vino invece riesce a venderla tra i 10 e i 20 euro, un prezzo non basso per il Portogallo. Inoltre, ha riscontrato un miglioramento significativo della struttura e della vita del suolo e un aumento costante della resistenza delle piante alle malattie e quindi minor dipendenza a fungicidi e insetticidi (anche quelli per il biologico) e soprattutto una diminuzione significativa dei costi di produzione.
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