Il nostro incontro con gli autori e con il cast dello show, ispirato al romanzo di Carlo Bonini e al film di Stefano Sollima. In streaming su Netflix dal 15 gennaio.
Ci pensa direttamente Riccardo Tozzi di Catleya ad introdurre cosa ci sia dietro la serie di ACAB “Romanzo, film e serie, una filiera che ci appartiene. ACAB ci sembrava un terreno fertile, perché c’è un contesto che cerchiamo: la società civile che conferisce allo Stato il monopolio della violenza. La pratica della violenza vive di rabbia e disorientamento. Per questo i personaggi comuni, con cui ci identifichiamo, sono posti su un crinale, diremmo, epico”. Epico e, in qualche modo, ineluttabile nel ritorno di una storia che, a tredici anni dal film di Stefano Sollima, torna a scontrarsi con l’attualità. La serie Netflix (sei episodi dal 15 gennaio), diretta da Michele Alhainque e ispirata al romanzo di Carlo Bonini, vede protagonisti da Marco Giallini, Valentina Bellè, Adriano Giannini, Pierluigi Gigante.
ACAB La serie, come spiegato da Alhainque durante l’incontro stampa, ha permesso di “Costruire due mondi. Quello privato e quello professionale. Ma l’alternanza non bastava. Sono così partito dalla musica, chiedendo ai Mokadelic di produrre dei suoni algoritmici che creassero un tema. Avevo in cuffia la musica durante le riprese, e questo mi ha aiutato a costruire una messa in scena che non fosse naturalistica. In questo modo volevamo andare in profondità, oltre la vita e oltre i corpi”, e prosegue, “Non c’è differenza per me tra cinema e serialità”, in quanto “è una questione di coinvolgimento”.
ACAB, la serie: il conflitto come spunto
Al centro di ACAB la storia privata e professionale di tre celerini della squadra mobile di Roma, alle prese con un cambiamento strutturale del reparto dopo che lo storico – e “tradizionalista” – capo squadra rimane coinvolto in un drammatico scontro. Dietro la sceneggiatura, per Bonini, ci sono i conflitti. “I conflitti sono rimasti gli stessi: sono temi universali che attraversano qualsiasi società democratica. Come il monopolio della forza. L’idea di poter esplorare questo attraverso un racconto seriale era quindi interessante: capovolgere il punto di vista. Volevamo consegnare al pubblico un racconto che potesse mettere in discussione le idee di tutti. Nel 2008, quando scrissi il libro, la polizia italiana era reduce dal caso Diaz di Genova. Riprendere ora la polizia, dopo un certo percorso, ma in un contesto politico diverso, è stato divertente”.
Tra realtà (ed è triste cronaca di questi giorni) e finzione, chiaro quanto ci sia un’interrogazione sulla strumentalizzazione della polizia. Per l’autore, che firmato lo script insieme a Filippo Gravino, Elisa Dondi, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini “Le forze dell’ordine sono un strumento del potere esecutivo. È sempre così, che sia destra o sinistra. Non è automatico che le forze dell’ordine sia lo specchio fedele del governo. Con una maggioranza di destra, che sul tema della sicurezza è espresso, è evidente che alcuni aspetti ne risentono. Oggi però c’è più consapevolezza a prima, anche se ci sono ancora grosse lacune. La manutenzione psicologica di chi fa questo lavoro dovrebbe essere di alta qualità. Poi non è facile, perché la polizia non vive in una bolla”.
Una serie che pone le giuste domande
Tra i produttori esecutivi c’è poi Stefano Sollima, tornato nel mondo della celere dopo la pellicola del 2012. Per Sollima, si mantiene “L’attenzione sul punto di vista del racconto. Dovevamo concentrarci sul racconto dei personaggi, senza mai giudicali. Non bisogna mai forzare il pubblico, bensì bisogna accompagnarlo, facendo delle domande giuste. E più le domande sono complicate, più una serie funziona. E poi l’aspetto migliore di ACAB è la sua attualità”.
Attualità e conflittualità, come ci spiega Adriano Giannini: “Il conflitto è incarnato nella serie, e almeno nel mio personaggio. Un pensiero che però lo esilia. Arriva già con un conflitto in scena. Si trova in una piazza romana ancora più conflittuale, mettendo poi in discussione il suo pensiero. Del resto, il conflitto è pane per gli attori”, e prosegue, “Ad un certo punto delle nostre carriere, devi pensare a come vivere le esperienze. E devo dire che ci siamo molto divertiti. In tutto questo c’è stato uno scambio umano, cosa che accade sempre meno”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link