«Dall’ultimo colloquio di John Elkann con la nostra premier pare che Stellantis abbia dato determinate sicurezze e certezze rispetto al futuro di un asset di fondamentale importanza nel nostro Paese«; “Posso annunciare che lancerò entro i prossimi giorni un’indagine conoscitiva approfondita rispetto a tutta la filiera dell’automotive nel nostro Paese messa un po’ in difficoltà dalle cosiddette regole europee»; «la crescita dell’occupazione nel nostro Paese non è un miracolo ma è frutto di politiche serie, concrete, costanti e attinenti con quanto accade fuori dal Parlamento». Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d’Italia, presidente della Commissione Lavoro della Camera, è preparato sulla sua materia e, in quest’intervista con Economy ai microfoni di “Conti in tasca” su Giornaleradio.fm, dimostra idee chiare sul fronte sempre più caldo dell’economia nazionale, quello dell’occupazione, che finalmente produce dati confortanti, pur se in un contesto di rallentamento economico.
Presidente, cominciamo da qualche dettaglio su Stellantis. La partita non Ë dunque ancora persa, secondo lei?
L’industria dell’auto è stata messa indubbiamente nelle condizioni di poter lavorare poco e male rispetto alle regole europee che hanno preso tutti alla sprovvista, dalla Volkswagen agli stessi gruppi francesi. Il colosso tedesco dopo 89 anni di storia ha chiuso uno stabilimento produttivo. Quel che dobbiamo fare è contrastare le dismissioni di capacità produttiva in Italia, preservare quante più commesse sarà possibile per salvare l’indotto. È chiaro che i francesi, azionisti istituzionali di Stellantis, faranno di tutto per difendere gli interessi del loro Paese, aiutati anche dalle disattenzioni dei governi degli anni in cui nacque Stellantis. Oggi però è inutile recriminare. Dobbiamo incidere sull’Europa e sulle sue regole affinché in tutti i Paesi dell’Unione le aziende dell’automotive che, comunque, negli anni hanno preso ampi contributi da parte della collettività, per i tanti prepensionamenti, perseguano piani industriali che consentano di tutelare i posti di lavoro, che fortunatamente, in Italia, in diversi settori aumentano.
Presidente Rizzetto, ma con la crescita del Prodotto interno lordo ferma ad appena lo 0,5% che l’Istat ha recentemente stimato, questi posti di lavoro continueranno ad aumentare o no?
Guardi, anche soltanto il fatto di aver dato la possibilità di trovare un posto di lavoro a coloro che possono lavorare e che magari sino a due anni fa preferivano avvalersi di un sussidio di Stato, il reddito di cittadinanza, è stato un gran progresso. L’abolizione del reddito garantito è stato sicuramente un acceleratore importante per l’occupazione. Con il Governo Meloni è stato riscoperto il valore di poter programmare il proprio sviluppo, accendere un mutuo, ristrutturarsi casa. Di posti di lavoro oggi in Italia ce ne sono, certamente non dimentichiamoci che circa 1,7 milioni di posizioni lavorative non sono coperte.
Brutto problema, questo! A cosa si deve? Come risolverlo?
La causa principale è la mancanza di formazione. Sempre più spesso le aziende non riescono a trovare sul mercato del lavoro risorse sufficientemente skillate, adeguatamente formate. A questo problema una nostra risposta è stata il lancio della piattaforma Siisl (Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa), che oltre a mettere in contatto domanda ed offerta tra privato e pubblico, facilita l’accesso ai corsi di formazione. A coloro che frequentano questi corsi viene elargito un sussidio mensile fino a 350 euro per tutta la durata dei corsi, fino a un massimo di 12 mensilità.
Presidente, cambiamo argomento. Che cosa cambia per i lavoratori dipendenti italiani sul fronte del Tfr, il trattamento di fine rapporto, insomma: la liquidazione?
Si parla della riforma del silenzio assenso. Se prima le trattenute sullo stipendio dei lavoratori che non esprimono alcuna preferenza tra il confluire in un fondo pensioni o lasciare le trattenute nella tesoreria aziendale si vedevano appunto i loro soldi accantonati in azienda, domani le regole dovrebbero ribaltarsi. Solo chi esplicitamente chiederà che i soldi restino in azienda, non li vedrà confluire nei fondi.
Altrimenti, dopo sei mesi quelle trattenute andranno appunto in un fondo. Una forte innovazione non crede?
A mio avviso con queste nuove regole si favorirà la conoscenza, da parte dei lavoratori, di uno strumento che merita di essere conosciuto, appunto la previdenza complementare e quindi i fondi. Non si favorirà una scelta anziché un’altra. Oggi nel nostro Paese meno del 23-24% dei giovani lavoratori non conoscono la possibilità di poter versare volontariamente, quindi non in modo obbligatorio, all’interno di un fondo pensione. Come ha ricordato il Presidente dell’Inps, Gabriele Fava, nel corso della presentazione della Relazione annuale dell’Istituto, il nostro sistema previdenziale è un sistema che tiene, ma dobbiamo essere previdenti. Noi siamo passati da un sistema retributivo, che trasferiva nelle pensioni un’alta percentuale degli alti stipendi percepiti dai lavoratori a fine carriera, a un sistema dapprima misto tra retributivo e contributivo e poi meramente contributivo: in cui, cioè, il pensionato percepisce quel che ha versato. In questi anni ci siamo trovati anche di fronte ad esempio a carriere discontinue o a persone che non sono riuscite a versare mensilmente la loro quota di contributi. Questo fra 25-30 anni, soprattutto con i nuovi lavoratori nel nostro Paese, potrà creare qualche problema a livello di qualità economica delle pensioni.
E dunque?
L’obiettivo di un mio emendamento è di far conoscere al meglio lo strumento della previdenza complementare e l’opportunità dei fondi, a cui aderire su base volontaria. I numeri dimostrano che i fondi pensione funzionano sicuramente bene. Ma ciò non toglie che resterà assolutamente legittimo e normale lasciare il Tfr in azienda. Garantiremo ai lavoratori la conoscenza su possibilità alternative. Un’informazione trasparente da parte delle aziende nei confronti dei lavoratori consentirà di prepararli in modo corretto per effettuare la loro scelta.
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