Le prigioni dell’Iran – Corriere di Puglia e Lucania

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di Raffaele Gaggioli

L’improvviso imprigionamento e l’altrettanto rapida liberazione della giornalista Cecilia Sala da parte delle autorità iraniane è a prima vista inspiegabile. Nonostante la guerra in Gaza e le costanti tensioni tra l’Iran e l’Occidente, Roma e Teheran mantengono infatti tuttora buoni rapporti diplomatici e commerciali.

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La decisione di Teheran di arrestare una cittadina italiana il 19 dicembre 2024 senza alcuna motivazione apparente e di rinchiuderla in isolamento aveva lasciato perplessi molti diplomatici italiani e stranieri. Meno di tre settimane dopo, l’8 gennaio 2025, il governo iraniano aveva poi improvvisamente dichiarato che la giornalista era stata liberata e che poteva tornare in Italia.

Non è ancora chiaro cos’abbia spinto l’Iran a dare inizio a questa breve crisi diplomatica. L’ipotesi più accreditata è che il governo iraniano sperava di utilizzare la giornalista come merce di scambio per la liberazione di Mohammad Abedini Najafabadi, un ingegnere iraniano arrestato in Italia il 16 dicembre del 2024.

Abedini era stato arrestato con l’accusa di aver fornito all’Iran le componenti necessarie per un attacco drone in Giordania in cui erano morti tre soldati americani. Il cittadino iraniano avrebbe dovuto essere trasferito negli Stati Uniti per essere interrogato, ma l’improvviso arresto della giornalista aveva costretto Roma a cancellare il suo trasferimento.

Nel frattempo il ministro della giustizia italiano Nordio ha chiesto la revoca dell’arresto per Abedini poiché l’uomo non ha infranto alcuna legge italiana. Tutto questo non spiega comunque come mai l’Iran abbia causato una crisi diplomatica solo per ottenere la liberazione di un pesce piccolo come Abedini.

Le azioni del governo iraniano diventano molto più sensate quando vengono prese in considerazione le sue numerose difficoltà interne.  Il 2024 non è stato infatti un buon anno per la Repubblica Islamica d’Iran.

L’anno è cominciato con lo scoppio di una nuova serie di proteste popolari, dovute alla brutalità della polizia morale e alla povertà diffusa. L’impopolarità del governo teocratico era stata ulteriormente dimostrata nel marzo di quell’anno quando meno del 40% degli aventi diritto si era recato alle urne per partecipare alle elezioni farsa per nominare i nuovi membri del parlamento.

Tre settimane dopo, Ebrahim Raisi, presidente dell’Iran e successore designato della guida suprema Khamenei, morì in un incidente aereo gettando l’intero governo nel caos. Nel frattempo, l’asse della resistenza (un’alleanza mediorientale tra l’Iran e altri gruppi opposti ad Israele) veniva sempre di più indebolita dall’esercito israeliano e da altri fattori.

Israele aveva già invaso Gaza per combattere Hamas, gruppo terroristico alleato con Teheran e circa cinque mesi dopo la morte di Raisi Tel Aviv aveva poi esteso la guerra anche in Libano per eliminare Hezbollah, un altro gruppo sostenuto dall’Iran.

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L’anno si è poi concluso con il rovesciamento del dittatore siriano Bashar Al-Assad, alleato di lunga data del governo iraniano, per mano di Tahrir al-Sham, gruppo fondamentalista sunnita nemico dell’Iran. Nell’arco di un anno, l’Iran ha quindi perso molta della sua influenza in Medio Oriente e ha dovuto fare i conti con una popolazione sempre più scontenta per le decisioni del governo.

Il 2025 non promette di essere migliore per la teocrazia mediorientale. Le guerre di Israele contro Hamas ed Hezbollah sembrano destinate a proseguire, ma ora l’Iran non sembra in grado di poter assistere i due gruppi in alcun modo a causa della perdita del suo alleato siriano.

Nel frattempo, le ambizioni del presidente turco Erdogan rischiano di peggiorare la già grave economica che attaglia l’Iran. Ankara ha infatti annunciato la creazione del Route de Développement Orientale, un corridoio strategico che mira a collegare i porti del Golfo con il Mediterraneo attraverso Iraq, Siria e Turchia.

La Route mira a diventare una delle principali arterie di trasporto per merci, energia e persone nella regione, tagliando completamente fuori dai giochi la Repubblica Islamica d’Iran da sempre considerata una pericolosa avversaria dai Paesi del Golfo (Bahrein, Kuwait, Iraq, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).

Per giunta, tra poche settimane Donald Trump ritornerà alla Casa Bianca. Già durante il suo primo mandato presidenziale l’affarista newyorkese si era distinto per la sua aggressiva politica estera nei confronti dell’Iran, cancellando i precedenti accordi diplomatici relativi allo sviluppo nucleare del Paese mediorientale e ordinando l’uccisione di alcuni capi delle sue forze armate.

Di fronte a questi problemi, il governo iraniano ha quindi deciso di adottare il pugno di ferro contro qualsiasi nemico interno ed esterno. Secondo numerosi analisti, il numero di arresti sommari contro cittadini iraniani e stranieri è quindi notevolmente aumentato nel corso dell’ultimo anno.

Numerosi iraniani vengono arrestati e condannati a morte per intimidire gli abitanti del Paese a non protestare in alcun modo contro il governo, mentre i prigionieri di origine straniera costituiscono un’utile merce di scambio durante le trattative con gli Stati Uniti e i loro alleati o come scudi umani in caso di conflitto.

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La vicenda della giornalista italiana sembra essersi conclusa così in fretta principalmente perché l’Iran non ha particolari motivi di astio nei confronti del nostro Paese. Rimangono però troppi prigionieri nelle sue carceri che non sono stati altrettanto fortunati.

Raffaele Gaggioli

La foto freepik



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