Diciassette ettari di montagna in movimento e l’unico sfogo naturale per le acque sotterranee inservibile perché completamente ostruito dal materiale che è franato: uno scenario impressionante quello sul versante settentrionale del Monte Calvarina a San Giovanni Ilarione, che se nell’immediato non rappresenta un pericolo per i quindici abitanti della contrada Zamicheli al Cengio, richiede però un intervento in tempi brevi per ripristinare le condizioni minime di drenaggio e scongiurare che la coda laterale della frana possa diventarlo.
Nuovo controlli
Ecco perché nelle ultime settimane alle Lore non sono tornati solo i funzionari dei Servizi forestali regionali ma pure quelli della Difesa del suolo regionale, quelli di Arpav con i droni, la direzione Protezione civile, sicurezza e polizia locale della Regione, Protezione civile della Provincia ma pure il Dipartimento della Protezione civile nazionale. La situazione è sempre di più sotto gli occhi di tutti: il versante si sta rimodellando a una velocità impressionante.
La situazione si aggrava
La frana, nota a partire dagli anni Cinquanta, prima dell’autunno si estendeva su 6,5 ettari: si è sostanzialmente quasi triplicata ed è impossibile, al momento, stimare i volumi della frana il cui piano di scivolamento, nel 2008, era profondo tra i 7 e gli 8 metri. La frana, già classificata come tra le più grandi in Veneto, era rimasta «confinata» in quest’area per 17 anni, da quando cioè si conclusero i lavori con cui vennero realizzate 300 trincee drenanti che oggi la frana s’è portata via. Tutta colpa delle diverse intense ondate di precipitazioni del 2024: c’è stato febbraio ma soprattutto maggio «quando a seguito dei noti eventi meteorici intensi, si è avuta una significativa ripresa del movimento franoso che negli ultimi mesi ha subito un’accelerazione», conferma Alessandro De Giuli, coordinatore per Verona dei Servizi forestali regionali. Poi ci sono state le piogge autunnali: «La frana», dichiara De Giuli, «ha ampliato la propria nicchia di distacco occludendo nuovamente la Valle del Cavalletto, travolgendo tutte le opere già realizzate ed interessando anche il versante opposto della Valle. Il movimento franoso è in rapida espansione, da qui la preoccupazione degli abitanti della vicina contrada di Zamicheli al Cengio».
Valle del Cavalletto
Impensabile, al momento, ipotizzare di liberare la Valle del Cavalletto, per questioni di sicurezza degli operatori senza contare che un eventuale intervento in questi termini potrebbe rivelarsi totalmente inutile dato il continuo movimento del versante. È scattata quindi la mobilitazione a partire da Servizi forestali e Comune: «La frana è sempre stata seguita con attenzione dai Servizi forestali e rispetto agli ultimi sviluppi monitoriamo le dinamiche di un eventuale futuro coinvolgimento di via Zamicheli al Cengio: le valutazioni in corso da parte di Servizi forestali e Regione sono sicuramente mirate ad indicare anche una linea di azione per tale abitato», dichiara il sindaco Luciano Marcazzan, «e, alla luce della perizia geologica commissionata dalla Regione, anche le eventuali azioni da mettere in campo sia in termini dii informazione e predisposizione di operazioni di Protezione civile, ad esempio un sistema di allertamento, sia, in caso di specifiche allerta meteo, in termini di eventuale evacuazione».
Strumenti e controlli
Se circa vent’anni fa per mappare la frana venne usato un aereo con laser scanner abbinato ad un rilievo a terra, «oggi, in collaborazione con Arpav e Difesa del suolo, si è proceduto con un rilievo Lidar con droni (Light detection and ranging, una tecnica di telerilevamento al alta risoluzione che garantisce una precisione di un centimetro, ndr) dal quale è stato elaborato un modello digitale del terreno (Dtm) che fornirà ulteriori informazioni geomorfologiche. Accanto a questo», spiega De Giuli, «sono stati posti una serie di riferimenti a terra così da riscontrare ogni due settimane entità e direzione del movimento franoso». Questi elementi, uniti a quelli della relazione geologica, consentiranno di definire la linea di intervento: «Si può ragionevolmente presumere che la priorità d’intervento sarà rivolta, nella prima fase, agli aspetti di protezione civile adottando, a partire dalla sicurezza degli operatori, i primi provvedimenti di drenaggio della acque d’invaso per ridurre l’imbibizione e l’ulteriore appesantimento del corpo di frana», conclude De Giuli, «mentre un secondo intervento, più strutturato, è ipotizzabile dopo ulteriori approfondimenti. Su questo si sta comunque già ragionando in termini di entità e possibili finanziamenti».
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