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Nel 2024 la Cina ha eliminato i visti d’ingresso nel paese per i turisti provenienti da 38 paesi, fra cui quasi tutti quelli europei, compresa l’Italia. La decisione piuttosto inedita mirava a recuperare i livelli di visitatori precedenti alla pandemia, soprattutto dai paesi più ricchi. Non ha funzionato, secondo i dati dell’agenzia di stampa Bloomberg. I turisti stranieri in Cina sono stati quasi il doppio del 2023, ma poco più del 60 per cento di quelli del 2019, prima delle restrizioni per il COVID. Erano stati 98 milioni nel 2019, 35 nel 2023 e circa 60 nel 2024.
La Cina ha chiuso i suoi confini per tre anni durante la pandemia: da allora sono cambiate molte cose, anche nel modo in cui il paese è visto all’estero. La Cina è diventata una meta meno attraente, soprattutto per i turisti americani, ma anche per quelli europei e australiani.
L’eliminazione dei visti ha migliorato la situazione ma non abbastanza, almeno per ora. Nel 2024 la Cina ha accantonato la sua consueta politica che prevedeva ingressi senza visti nel paese solo sulla base della reciprocità: per fare un esempio, se i suoi cittadini potevano entrare in Thailandia senza visto, lo stesso avrebbero potuto fare i thailandesi in Cina. Per aumentare gli ingressi turistici, superare l’isolamento causato dalla pandemia, attirare visitatori con alte capacità di spesa e migliorare la propria immagine internazionale ha eliminato unilateralmente i visti per 38 paesi, i cui cittadini potevano entrare in Cina come turisti per 15 giorni senza bisogno di visto.
Oltre a quelli europei, la misura interessa anche Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, Malesia e Brunei. La Cina ha anche previsto dei visti automatici di dieci giorni per turisti in transito (cioè che fanno scalo in Cina per poi andare in un altro paese) dai maggiori paesi del Nord e del Sud America, dalla Russia e dal Regno Unito. Tutte insieme, queste nazioni hanno 1,9 miliardi di abitanti: tutti potenziali turisti senza necessità di visto. A fine 2024 per molti paesi la misura è stata rinnovata e ampliata: fino al 31 dicembre 2025 i turisti dei paesi selezionati potranno entrare in Cina per 30 giorni senza bisogno di visto.
I dati dell’inchiesta di Bloomberg, basata sui primi nove mesi del 2024 (quelli in cui sono disponibili dati ufficiali), dicono che la distanza dai risultati del 2019 resta consistente. In particolare la decisione sembra aver favorito gli ingressi dai paesi vicini (Malesia, Indonesia, Thailandia), ma non quelli dall’Europa e dai paesi più ricchi. Secondo una ricerca di World Travel & Tourism Council e Oxford Economics i turisti stranieri spesero in Cina 132 miliardi di dollari nel 2019: nel 2024 non arriveranno a 100 miliardi, con un calo del 25 per cento circa. Gli ingressi da Germania e Francia sono diminuiti del 38 per cento, quelli dall’Italia del 29 per cento.
Le cause di questo calo sono molteplici: le più strutturali sono legate al deterioramento dell’immagine internazionale della Cina dovuta alla pandemia, alle scelte di politica estera del suo governo e alle tensioni internazionali. I governi statunitense e australiano per esempio sconsigliano ufficialmente ai propri cittadini di viaggiare in Cina, per motivi legati «all’arbitraria applicazione di leggi locali» e al «rischio di detenzioni ingiustificate».
L’imposizione di dazi commerciali e le tensioni politiche con gli Stati Uniti hanno sensibilmente ridotto i rapporti economici fra i due paesi, e quindi gli operatori turistici americani che lavorano in Cina, ma anche i viaggi di lavoro: secondo i dati di Bloomberg e dell’agenzia ForwardKeys nel 2024 sono stati la metà di quelli del 2019.
Esiste poi un persistente problema di riduzione dei voli internazionali da e per la Cina: sono meno dell’80 per cento di quelli del 2019. Questo è causato in parte da decisioni politiche: il governo degli Stati Uniti nel 2024 ha aumentato da 35 a 50 alla settimana i voli di compagnie cinesi autorizzati ad atterrare nei suoi aeroporti, un dato lontano dai 150 del 2019.
La riduzione è ancora più sensibile per gli operatori non cinesi (siamo al 53 per cento rispetto al pre-pandemia). Il problema maggiore per le compagnie aeree europee è l’impossibilità di sorvolare lo spazio aereo russo, in seguito all’invasione dell’Ucraina, alla guerra in corso e alle sanzioni. I voli per la Cina sono quindi più lunghi e più costosi, perché consumano più carburante, tanto da essere considerati non sostenibili a livello economico: Virgin Atlantic non vola più verso la Cina, Lufthansa, Scandinavian Airlines, Qantas e British Airways hanno ridotto le tratte.
Ci sono poi una serie di problemi che i turisti stranieri hanno da tempo in Cina: per lo più non sono stati risolti, in certi casi si sono acuiti. Le difficoltà linguistiche persistono e spesso non è possibile comunicare in inglese nemmeno nei grandi centri; la rete internet resta soggetta a censura, per cui è impossibile raggiungere siti e social molto utilizzati in Occidente, come Google o Instagram; i pagamenti in contanti o con carta di credito sono spesso non accettati. Sono invece universalmente diffuse app per i pagamenti come WeChat o Alipay, ma registrazione e utilizzo non sono sempre semplici e immediati per i turisti stranieri.
Queste difficoltà del settore del turismo si inseriscono in un più ampio contesto di sofferenza dell’intera economia cinese: mercoledì sono stati pubblicati i dati sull’inflazione di dicembre, che è calata allo 0,1 per cento su base annua. Non è una buona notizia, perché segnala la persistente crisi della domanda interna, che limita la crescita del PIL.
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