L’utilizzo del contante è ancora necessario? Attento quando prelevi o versi. Le conseguenze potrebbero essere salate
Il dibattito pubblico relativo alla possibilità di abolire progressivamente il denaro contante sta riscontrando sempre maggiori consensi, anche tra le forze politiche diametralmente opposte tra loro. Alla base di questa necessità, secondo chi si fa promotore di questo processo, ci sarebbe la volontà di creare un sistema bancario stabile, in grado di vigilare comodamente sul comportamento fiscale dei contribuenti e di gestire in modo pratico il denaro a costi di mercato.
Il problema fondamentale è che nel nostro paese una buona fetta della popolazione resta ancora profondamente ancorata all’utilizzo del contante. Considerate anche l’età media particolarmente elevata e riuscirete a comprendere come, specie nei centri più piccoli, la sostituzione progressiva del contante con i metodi digitali appaia più complessa che mai.
Ma l’abolizione del denaro fisico, a favore dell’introduzione unica e stabile di pagamenti elettronici e tracciabili, rappresenterebbe l’unico modo efficace al 100% per contrastare il malaffare. L’utilizzo del contante è ristretto prevalentemente ai campi criminali, a partire dallo spaccio e dalle tangenti fino ad arrivare all’evasione fiscale.
Questa pratica è ormai da svariati anni nel mirino dell’Agenzia delle Entrate, che ne ha fatto una priorità da combattere. E c’è proprio l’AdE tra i principali enti promotori dell’eliminazione progressiva del contante fisico, in quanto il denaro elettronico, essendo tracciabile, impedisce il riciclaggio e l’evasione, producendo benefici indubbi contro la piaga criminale.
L’ulteriore stretta dell’AdE
Sul tema è arrivato il chiarimento della Corte di Cassazione, che attraverso delle ordinanze ha confermato che la presunzione bancaria resta valida. La regola può essere impugnata dall’amministrazione fiscale per controllare i versamenti, nonché la trasparenza nelle dichiarazioni del contribuente. Secondo quanto affermato, dunque, ogni versamento che avviene su conti correnti aziendali o professionali viene inteso in automatico come reddito; la situazione può mutare soltanto nel caso in cui sia il contribuente stesso a fornire prove contrarie che identifichino il versamento, ad esempio, come un rimborso o un trasferimento familiare.
Ma nel caso in cui queste prove non vengano menzionate, sarà prerogativa dell’Agenzia delle Entrate procedere con un’opera di accertamento fiscale, applicando, se necessario, anche delle salate sanzioni a svantaggio del contribuente. La volontà dell’AdE, come sottolineato dalle ordinanze della Corte di Cassazione, è di garantire una contabilità maggiormente limpida e trasparente, tentando di sventare quei movimenti non tracciati che potrebbero apparire loschi, destando sospetti, e che nel caso in cui l’Agenzia dovesse ritenerlo opportuno saranno oggetto di controlli spietatamente meticolosi.
Come cambia l’utilizzo del contante?
A seguito dell’ulteriore stretta, la gestione del denaro contante ha richiesto un’attenzione sempre crescente. Questo argomento interessa soprattutto professionisti e aziende, che necessitano di documentare con precisione il prelievo e l’utilizzo per effettuare versamenti. In caso contrario, come già accennato, le conseguenze non sono di certo leggere. Se dovessero saltare all’occhio dell’AdE movimenti bancari non giustificati le problematiche correlate alla presunzione fiscale, controlli e sanzioni dunque, potrebbero scattare nell’immediato.
Una soluzione migliore sotto tanti punti di vista è rappresentata da strumenti di pagamento registrati e tracciabili. In questo senso possono esserci d’aiuto bonifici bancari e carte di credito, che permettono una maggior limpidezza e facilità nell’esaminare il rendiconto finanziario. Soprattutto garantiscono al contribuente una serenità diversa, che non sarebbe altrimenti possibile, perché ogni minima operazione che preveda l’uso di denaro in quantità più o meno elevate porrà il contribuente stesso sotto la lente d’ingrandimento dell’amministrazione finanziaria.
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