La difesa, piena, di Elon Musk, uno dei temi più gettonati nelle due ore e mezzo di conferenza stampa. Perché a fare “ingerenze” è stato semmai, negli anni George Soros.
E l’auspicio di arrivare a fine legislatura non solo con lo stesso governo, perché un rimpasto “non è all’ordine del giorno” (con buona pace di Matteo Salvini), ma pure con la riforma del premierato al traguardo. Giorgia Meloni si presenta davanti ai 40 giornalisti estratti per il tradizionale appuntamento con la stampa, che lei oramai ha posizionato all’inizio anziché alla fine dell’anno, e premette non solo di non sentirsi “un limite per la libertà di stampa” ma anche di essersi sottoposta a quasi “una domanda al giorno”.
Mette le mani avanti, rispetto a richieste che comunque arrivano dall’Aula dei gruppi di Montecitorio di avere più spesso appuntamenti in una formula più classica del punto stampa volante. E precisa pure come sia una scelta quella di non fare conferenze dopo i provvedimenti più importanti (non l’ha fatta nel 2024 nemmeno per la manovra) per lasciare spazio ai ministri.
A parte nella difesa della sorella Arianna, i toni sono decisamente più contenuti del solito nelle risposte a 40 domande più una, fuori sacco, che arriva dal fondo della sala, sulla Palestina.
Si dilunga all’inizio, dalla liberazione di Cecilia Sala (“l’emozione più grande”) alle sorti dell‘Ucraina ora che alla Casa Bianca siederà Donald Trump che, secondo la premier, non abbandonerà Kiev. Un ragionamento che fa direttamente, in serata, con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in visita a Roma. Del tycoon Meloni minimizza le prime uscite, che stanno preoccupando e non poco i paesi europei. Su Groenlandia e Panama “mi sento di escludere che gli Stati Uniti nei prossimi anni tenteranno l’annessione”, dice la premier, spiegando che secondo il suo punto di vista si tratta di “messaggi ad alcuni grandi player globali”, leggi la Cina, e nulla più.
Così come non raccoglie l’invito a spiegare il ruolo del suo blitz a Mar-a-Lago nel riportare a casa la giornalista italiana per 21 giorni in carcere in Iran, anche se spiega che, nonostante il viaggio appena fatto, le farebbe “piacere” essere il 20 a Washington per l’insediamento di Trump, anche se dipenderà “dall’agenda”. Glissa pure sul 5% chiesto dal presidente eletto agli alleati europei per la difesa, puntualizzando solamente che è arrivato il momento che l’Europa si muova per dotarsi di “strumenti adeguati”.
E l’Europa, argomenta la premier anche a proposito dei satelliti di SpaceX, è rimasta indietro nel dotarsi di un sistema pubblico di comunicazioni sicure. Motivo per cui a oggi non ci sono altre tecnologie avanzate come quelle messe a punto dalle aziende di Musk di cui dotarsi. Ma non ci sono accordi firmati, “è un fake”. E in ogni caso il patron di X non è “un pericolo per la democrazia, io non prendo soldi da Musk” e “non ho mai parlato con lui” di Starlink, ha puntualizzato Meloni, ricevendo il plauso via social dello stesso Musk per le sue parole su Soros, citato tra i casi di “persone facoltose” che “usano le risorse per finanziare in mezzo mondo partiti e associazioni per condizionare le politiche”.
Non si possono avere, concetto che ripete spesso, “due pesi e due misure”: per gli investimenti stranieri “guardo sempre l’interesse nazionale, non faccio favori agli amici” ma “non posso accettare che venga appiccicata una lettera scarlatta a chi ha buoni rapporti con me”. A ora, comunque, Starlink ha presentato il suo progetto e c’è una “fase istruttoria” che se avesse esito positivo, comporterebbe poi il coinvolgimento di molti ambiti”, dal “Parlamento” al “Consiglio supremo di Difesa” presieduto da Sergio Mattarella. Che è intervenuto contro il magnate sudafricano in qualità di “capo del Csm”, quando Musk aveva attaccato i giudici italiani. Il presidente della Repubblica “non fa opposizione” ha colto l’occasione di sottolineare la premier, precisando di non avere condiviso le parole di una sua parlamentare (Ylenja Lucaselli) sul capo dello Stato, “gliel’ho anche detto”.
Un colosso con cui invece ha siglato la tregua è Stellantis: “Sono soddisfatta” dell’accordo, dice, in uno dei pochi passaggi sull’economia, oltre alla rivendicazione dei risultati sul lavoro, la promessa di intensificare le politiche a favore di imprese e assunzioni, e pure che il 2025 (doveva essere già il 2024) sarà l’anno di un “segnale al ceto medio” sul fronte del taglio delle tasse. Spazio invece alla politica interna: per l’ennesima volta esclude rimpasti e un ritorno di Salvini al Viminale. E’ cauta sul destino di Daniela Santanchè (“aspettiamo i giudici”) mentre assicura che si andrà avanti “spediti” sulle riforme. Separazione delle carriere ma anche autonomia (la sentenza della Consulta è “in gran parte autoapplicativa” ma si lavora a una legge sui Lep) e premierato, al momento arenato alla Camera.
E se anche l’elezione diretta del premier non dovesse arrivare in tempo per la fine della legislatura, bisognerà comunque “interrogarsi sulla legge elettorale”. Avvisa infine gli alleati sulle regionali – ce ne saranno di “ampie e delicate quest’anno”, precisa spegnendo anche le speranze di uno slittamento degli appuntamenti elettorali tutti al 2026: bisognerà “tenere conto di Fdi”, in Veneto e non solo, spiega annunciando che il governo impugna la legge della Campania sul terzo mandato.
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