Mafia Saggio1.0 – La Mafia La Mafia ha purtroppo una storia molto antica nel nostro paese. Nasce in

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La Mafia

La Mafia ha purtroppo una storia molto antica nel nostro paese. Nasce in Sicilia nei primi decenni

dell’Ottocento, favorita dalla povertà che nasceva nelle campagne e dalla lontananza delle istituzioni. Con

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questo termine è stata indicata una fenomenologia criminale tipica della parte centro-occidentale della

Sicilia, caratterizzata da un profondo radicamento nella cultura locale e da connessioni con il potere

politico ed economico. La mafia ha una vera e propria struttura piramidale, al cui vertice è posto il

capofamiglia, che ha il compito di rappresentare l’insieme delle famiglie mafiose. Le mafie in Italia sono

molte: le più note sono la Mafia calabrese (‘Ndrangheta), la Mafia campana (Camorra), la Mafia pugliese

(Sacra Corona Unita) e la Mafia siciliana (Cosa Nostra). Inizialmente, per combattere questo fenomeno, si è

provato a isolare i vari boss mafiosi portandoli in altre zone d’Italia; purtroppo però questo metodo si è

rilevato fallimentare poiché ha portato ad una propagazione della mafia nel resto del paese. L’emigrazione

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invece ha giocato un ruolo fondamentale per la propagazione della mafia nei paesi europei e soprattutto in

America. Nelle zone dove il governo non riusciva ad intervenire attivamente in aiuto della popolazione, la

Mafia trovava le proprie fondamenta. Offriva il proprio aiuto alle persone che, ignare di ciò a cui sarebbero

andate incontro, accettavano di indebitarsi viste le loro condizioni di vita a dir poco pessime. Indebitarsi con

essa significava scavarsi la propria fossa poiché il debito non si estingueva con la sola resa del pagamento,

bensì con la completa subordinazione a essa, il che significava dover essere a completa disposizione ed

esser pronti a compiere gli atti più ignobili che venivano affidati, altrimenti non si avrebbe avuto alcun

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futuro. Con il tempo la Mafia è riuscita a consolidarsi nella politica e negli affari economici nazionali,

andando a creare un vero e proprio bilancio, parallelo a quello dello stato: questo bilancio, dato che esente

da ogni forma di tassazione, con buona probabilità supera il bilancio dello stesso stato (nel nostro caso

dell’Italia). Nel corso della nostra storia si è provato a combattere questo fenomeno, riuscendo quasi a

debellarlo; purtroppo però questi sforzi sono stati vani, visto che da un po’ di anni si è praticamente smesso

di combatterlo e non fa altro che peggiorare. Un primo tentativo di combattere la mafia si è avuto quando

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Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale che ha contribuito alla sconfitta delle Brigate Rosse, venne inviato in

Sicilia con l’incarico di contrastare Cosa Nostra. Dalla Chiesa avrebbe dovuto prendere servizio come

prefetto di Palermo il 6 maggio, tuttavia i drammatici sviluppi degli eventi affrettarono i tempi. Il 30 aprile

era stato assassinato Pio La Torre, segretario regionale del Partito comunista italiano e ai primi di maggio

Della Chiesa era già in città per partecipare al funerale.

Come nella lotta al terrorismo, anche in questo caso la sua azione procedette su due piani. Sotto l’aspetto

investigativo, Dalla Chiesa si interessò all’ascesa dei corleonesi, all’estensione del fenomeno anche alla

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Sicilia orientale (con la formazione di un asse Palermo-Catania) e alla sua marcata internazionalizzazione.

Da un punto di vista psicologico, il prefetto si rendeva conto che, in un contesto caratterizzato da sfiducia e

rassegnazione, era fondamentale far sentire la presenza delle istituzioni e sensibilizzare l’opinione pubblica.

Nel complesso, però, attorno alla venuta di Dalla Chiesa, in alcuni ambienti sembrava esserci diffidenza,

quasi fastidio.

Rispetto a questo clima, in una città in cui gli omicidi si susseguivano senza sosta, una parentesi felice fu il

matrimonio con la giovane Emanuela Setti Carraro, un’infermiera volontaria di buona famiglia, che dopo le

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nozze decise di trasferirsi con lui a Palermo. Al ritorno in città, però, Dalla Chiesa, come emerge dal suo

diario, percepiva sempre più l’isolamento nel quale si trovava, anche in virtù del fatto che una più precisa

definizione delle sue attribuzioni nella lotta alla mafia tardava ad arrivare. Fu in quel contesto che i capi di

Cosa Nostra decisero di assassinarlo. La sera del 3 settembre 1982, mentre transitava in via Isidoro Carini a

Palermo, l’auto su cui era a bordo con la moglie fu affiancata da un commando che uccise i passeggeri e

l’agente di scorta Domenico Russo, che li seguiva a breve distanza. Di certo, l’assassinio del prefetto



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