Intelligenza artificiale e tecnologia ai tempi di Trump. Dal dominio del mercato alla sorveglianza robotica al Gesù-chatbot, secondo Alessandro Carrera dell’Università di Houston

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Abbiamo chiesto ad Alessandro Carrera, direttore del Dipartimento di Modern and Classical Languages dell’Università di Houston, Texas, autore poliedrico di lavori che spaziano dalla poesia alla musica e di una vasta saggistica incentrata sulla filosofia e le nuove tecnologie, di delineare per Agenda17 le direttrici su alcuni temi della politica americana al tempo di Donald Trump, con particolare attenzione ai temi legati all’Intelligenza artificiale. 

Per Donald Trump, la politica sui dazi potrebbe essere la partita decisiva su cui si gioca la relazione delle Big Tech con il contesto produttivo su scala internazionale?

“I dazi avranno un impatto inevitabile sul Big Tech, se veramente verranno adottati. Il progetto di Trump è di aumentarli del 25% sui prodotti importati dal Messico e dal Canada. Seguiranno i dazi sui prodotti cinesi, che potrebbero raggiungere il 60%. Se i Paesi del BRICS creeranno una moneta unica, come qualcuno ha proposto, le tariffe nei loro confronti raggiungeranno il 100%, e non sono mancate minacce all’Europa. 

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Questo potrebbe far guadagnare agli Stati Uniti trilioni di dollari in pochi anni e diminuire dunque il deficit, ma solo se i Paesi interessati non alzeranno a loro volta i dazi sulle importazioni americane, il che invece accadrà. 

Il risultato di questa guerra commerciale sui prodotti tecnologici (se ci sarà, perché Trump prova piacere nello spaventare il Mondo e poi magari ritira la mano) sarà l’immediato aumento, cominciando con il 10%, di computer e telefoni, dato che acciaio e alluminio saranno le prime cose a rincarare. 

Ma Trump aveva già alzato i dazi durante la sua prima presidenza e le tariffe sulla Cina, che effettivamente si comporta in modo spregiudicato, sono aumentate anche durante la presidenza Biden. I risultati però non si sono visti. Il mercato mondiale è talmente interconnesso che un aumento dei prezzi dei prodotti importati finisce per danneggiare anche le imprese locali, per non dire la borsa.”

USA ed Europa sono due mondi e due modelli diversi davanti all’Intelligenza artificiale. Il mercato americano punta a superare tutti gli aspetti etici in maniera sempre più spinta pur di realizzare i suoi fini, mentre l’Europa impone una legge alle applicazioni dell’Intelligenza artificiale. Da una parte la forza economica e tecnologica e dall’altra l’etica e il diritto, due mondi che sembrano contrapporsi. Con quali esiti?

“Può darsi che le regole imposte dall’Unione europea all’Intelligenza artificiale siano controproducenti rispetto ai tempi rapidi della ricerca tecnologica. Le grandi tech companies, ormai si è capito, non vogliono sottostare a nessuna regola, il Mondo appartiene a loro come la prateria apparteneva ai cowboys

Alessandro Carrera, direttore del Dipartimento di Modern and Classical Languages dell’Università di Houston, Texas (foto di Serena Campanini)

Perché mai dovrebbero investire in Europa, dove avrebbero l’obbligo di render conto alle detestate istituzioni governative? Eppure anche la Cina è all’avanguardia nella tecnologia, e la Cina è un Paese in cui la libertà d’impresa non surclassa il controllo dello Stato. Però la Cina ha un progetto imperiale, come l’hanno anche le tech companies americane, mentre l’Europa ha solo un progetto di quieto vivere. 

Certo, nel momento in cui l’Intelligenza artificiale rischiasse davvero di andare fuori controllo, può darsi che l’Europa si trovi meglio preparata ad affrontare un’emergenza tipo HAL 9000, ma solo sul piano legale e giuridico, non su quello tecnologico, dove invece si gioca la partita. 

L’Europa non deve imitare né l’America né la Cina, deve crearsi le sue tech companies e divenire competitiva nella ricerca e nell’invenzione. Le competenze le ha, ma nessuna delle ultime grandi innovazioni tecnologiche, buone o cattive che siano, è venuta direttamente dall’Europa, e questo non può durare. Se non si ha IP, intellectual property, non ha importanza quante regole il parlamento di Bruxelles potrà produrre.”

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USA e Cina sono due mondi e due modelli diversi davanti alla sorveglianza robotica. La Cina ha appena inaugurato delle sfere robotiche invincibili messe sulle strade per catturare i criminali. Assisteremo all’avvento delle armi robotiche per tutelare la sicurezza sociale? Dobbiamo abituarci a uno scenario in cui la sicurezza sociale sarà garantita da armi ambulanti con cui convivere? 

“Potrei citare un’intervista data dallo scrittore cinese Cixin Liu, l’autore della trilogia fantascientifica ‘Il problema dei tre corpi’,  è uno straordinario apologo sulla necessità e i pericoli del “lungotermismo”. La democrazia non farebbe bene alla Cina, ha detto Liu. La libertà individuale o politica non è la preoccupazione principale del popolo cinese. 

Un rilassamento del Paese in questo senso “avrebbe conseguenze terrificanti”. Liu non è un maoista, tutt’altro. Può darsi che non possa né voglia uscire da un’impostazione neoconfuciana, che è poi la stessa di Xi Jinping, e può anche darsi (il che per l’Occidente è arduo da accettare) che abbia ragione. 

Il nuovo campo d’indagine che ha nome di “surveillance studies” si occupa proprio di questi problemi. Basta confrontare le differenze tra la produzione occidentale di detective stories in cui compaiono meccanismi di sorveglianza, sempre visti con sospetto o disagio anche quando producono risultati concreti, e la produzione cinese, compresa quella dei film polizieschi di Hong Kong ancora prima che la città venisse restituita alla Cina, per capire che la sorveglianza esercitata dalla polizia non è vista come un male necessario bensì come un’applicazione positiva del potere che è giusto che le istituzioni abbiano. I robocop potrebbero essere nient’altro che un’estensione della sorveglianza ambientale di cui ho già detto; inquietante, sì, ma giustificabile.

In America il caso è opposto, ma anche speculare. Il soggetto neoliberale, che vuole assoluta libertà dallo Stato e da ogni controllo sulla sua privacy (salvo a donarla gratis alla Apple o alla Samsung ogni volta che apre il suo telefono), è l’uomo della paura.

Vuole i benefici del capitalismo estremo, ma non vuole i rischi, che consistono proprio nell’aumento vertiginoso delle “libertà” che può permettersi, e che lo spaventano più di ogni altra cosa. Coloro che hanno invaso il Campidoglio il 6 gennaio del 2021 non si ribellavano contro una tirannia, e nemmeno per ragioni economiche pressanti. Si sono ribellati contro la democrazia perché volevano un capo, volevano qualcuno che ponesse un freno allo scatenamento delle libertà sociali. 

Elon Musk in Texas sta già costruendo delle company towns come esistevano negli anni della Depressione, in cui i suoi impiegati e operai mangiano nei ristoranti della company e comprano nei negozi della company

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Se in quelle città comparissero i robocop, nessuno si stupirebbe troppo, né li troverebbe una violazione delle libertà costituzionali. L’homo oeconomicus è sempre convinto che, quando il potere toglie qualche libertà, la toglie a qualcun altro ma non a lui.”

Anche la trascendenza sembra ormai patrimonio dell’Intelligenza artificiale, dopo che il Centro di Realtà immersive della Lucerne University of Applied Sciences and Arts e la Facoltà di teologia pastorale della stessa università hanno sviluppato un progetto per “parlare con Gesù” in un confessionale, tramite un chatbot. Come possiamo leggere questo esperimento?

“La religione cristiano-cattolica è sempre stata spettacolare. Una volta vinta la battaglia contro gli iconoclasti nel VII secolo, la rappresentazione del Divino è stata sdoganata e ha fatto rinascere l’arte dell’Occidente. 

Il protestantesimo più rigoroso è ancora formalmente iconoclasta ma non rifugge dai kolossal biblici o da un apparato visivo, a patto che si svolga fuori dalle mura delle chiese. Il Gesù-chatbot, poi, è la logica estensione della cancellazione di ogni dimensione trascendente del Divino. 

Il processo iniziato dalle chiese evangeliche americane, nelle quali Dio è ridotto a un rinforzo delle decisioni che il credente ha già preso per conto suo, non poteva che estendersi ad altre confessioni. 

Durante il Covid, milioni di persone in ogni parte del Mondo usavano una chatbot ancora primitiva – meno efficace di ChatGPT, Copilot o Claude – come psicoterapeuta on demand.

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Confinati in qualunque luogo dove erano confinati, avevano bisogno di parlare con qualcuno che li rassicurasse, e anche le risposte preordinate di una app potevano in qualche modo servire allo scopo. Gesù-chatbot non è in fondo diverso dalla app che nel film Her, con la voce di Scarlett Johansson, consola il povero Joaquin Phoenix della sua solitudine. 

Nel film però accade che “Her” passi attraverso una auto-update, ritrovi una sua trascendenza e abbandoni la frequentazione del suo “cliente” a favore di una comunità superiore di chatbot che converseranno fra loro, non più sobot o social robots ma puri cobot, co-operative robot, una comunità di angeli che ha infine raggiunto il proprio paradiso.

Il povero Gesù-chatbot invece mi sembra costretto a rimanere sulla Terra a recitare l’ingrata parte di “Him”, che del resto è da duemila anni che gli hanno assegnato.”



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