Comincia un nuovo anno e noi come tutti gli anni stiliamo una lista di 50 giovani che sarà interessante seguire: perché sembrano avere un talento speciale, perché hanno promesso qualcosa o perché devono rifarsi dopo un primo inciampo. È una tradizione che portiamo avanti ormai da sette anni e se siete curiosi di sapere come sono andati i giocatori che avevamo già segnalato eccovi la prima parte dei capitoli precedenti: 2024, 2023, 2022, 2021, 2020, 2019 e 2018.
Questa è la prima parte, che contiene i primi dieci nomi: nei prossimi giorni usciranno le successive quattro parti. Le indicazioni di rito: non troverete giocatori nati prima del 2005 e nemmeno quelli, talmente precoci, da averci costretto a scriverne già o di cui per la stessa ragione intendiamo scrivere più approfonditamente a breve. Per esempio Lamine Yamal, Francesco Camarda, Pau Cubarsí, Estevao, Ethan Nwaneri, Antonio Nusa, Andrija Maksimovic.
Detto questo: buona scoperta.
VASILIJE ADZIC, 2006, JUVENTUS (MONTENEGRO)
Vasilije Adzic è arrivato alla Juventus in estate, dopo essere stato conteso dai migliori club in Europa. Ancora prima di diventare maggiorenne aveva già all’attivo 68 presenze e 11 gol tra i professionisti, con il Buducnost Podgorica. Il campionato montenegrino non sarà uno dei più sfidanti al mondo, ma la qualità delle sue giocate e il suo talento non hanno lasciato indifferenti.
Adzic è un trequartista alto e slanciato con un bel piede sinistro e con una visione di gioco che sembra promettere grandi cose. La Juventus l’aveva aggregato inizialmente alla Next Gen, ma Motta l’ha voluto con sé dopo averlo visto in allenamento: «Lo vedo molto bene, anche per la sua postura. Mi piace perché dimostra che sta bene. L’ho visto tanto in allenamento, è un grande giocatore»: è stato il suo commento dopo l’esordio contro la Lazio. Adzic può giocare sulla trequarti, ma non è da escludere un suo sviluppo come mezzala offensiva, visto il fisico. Ovviamente sta giocando poco – appena una sessantina di minuti – e il suo minutaggio non dovrebbe aumentare molto nel 2025. Con Motta però può sicuramente crescere molto all’ombra dei riflettori, allenarsi con alcuni dei migliori giocatori della Serie A e iniziare a conoscere il calcio italiano. La Juventus ci punta davvero tanto e non sarebbe così stupefacente se tra uno o due anni dovesse essere titolare.
JORREL HATO, 2006, AJAX (OLANDA)
Jorrel Hato è esattamente quello che vi aspettate da un giovane centrale di difesa cresciuto nell’Ajax: un difensore con grandi letture con il pallone, dal sinistro di seta, con un’ottima visione di gioco e qualche ingenuità di troppo negli uno contro uno. Per la precocità con cui si sta affermando e le caratteristiche che ha, sembra destinato a una grande squadra dei cinque principali campionati europei in breve tempo. Hato non ha ancora compiuto 19 anni ma è già alla sua seconda stagione da titolare nella squadra più importante dei Paesi Bassi e ha esordito in Nazionale maggiore addirittura più di un anno fa (e adesso ha già 5 presenze, di cui due da titolare). Insomma, quanti altri centrali di difesa con questo curriculum e queste caratteristiche, mancini per di più, ci sono in giro? Per questo è difficile che Hato rimanga per troppo tempo nei Paesi Bassi e infatti già se n’è parlato per diversi top club europei, dall’Arsenal alla Juventus passando per l’Inter. Tre squadre a cui tatticamente tra l’altro potrebbe fare comodo se pensiamo che Hato può fare anche il terzino sinistro e che sembra nato per fare il cosiddetto “braccetto” in una difesa a tre.
Rimane da vedere quanto sarà traumatico, quando sarà, il confronto con un contesto competitivo più probante, in cui gli avversari vanno al doppio o anche al triplo della velocità, e magari si deve difendere uomo su uomo in un gioco di transizioni. A quel punto sarà anche giusto chiedersi se ad Hato converrà spostarsi in una squadra simile all’Ajax o uscire dalla propria comfort zone per provare a crescere negli aspetti in cui è più indietro (un esperimento che non è riuscito molto a un altro ex prodigio della difesa dell’Ajax come de Ligt). Già in Eredivisie, contro la rivelazione Utrecht, Hato ha sofferto molto contro il folletto spagnolo Miguel Rodriguez, e in Europa League è andato in apnea contro i velocisti della Lazio. Cosa succederebbe, allora, in Premier League? Sono domande legittime per i DS che proveranno a prenderlo ma che al momento si scontrano con un presente radioso che non può essere ignorato. Un centrale mancino che gioca con questa continuità e questa qualità tecnica a un livello così alto è una pepita sul letto fangoso del fiume. Poi, come si dice, quel che sarà sarà.
GILBERTO MORA, 2008, CLUB TIJUANA XOLOITZCUINTLES DE CALIENTES (MESSICO)
Gilberto Mora ha esordito in LigaMX, il massimo campionato messicano, lo scorso agosto. Nella mezz’oretta che gli ha concesso Osorio, nella sfida contro il Santos Laguna, con il suo sfavillante numero 251 sulle spalle (in Messico i calciatori delle giovanili scendono in campo con il numero relativo alla loro registrazione nelle liste), è riuscito a servire un assist per il gol del 3-1 finale. Dodici giorni più tardi, contro León, Osorio lo ha lanciato tra i titolari e lui ha segnato il suo primo gol tra i professionisti: ha controllato il pallone al centro dell’area, di fronte a lui c’erano il portiere e due avversari sulla linea. Con freddezza, e precisione, ha trovato il pertugio giusto: è stato un gol storico, a suo modo, perché Mora si è affermato come il più giovane a far gol nella storia della LigaMX, a quindici anni e trecentoventi giorni.
La storia del calcio messicano è piena di talenti precocissimi: da Giovani dos Santos al Chicharito a Jürgen Damm. Gilberto Mora si iscrive in questa tradizione, ma in qualche modo ne diverge: a osservare suoi video con le giovanili sembra un giocatore piuttosto normale, dotato di un tiro non troppo forte né troppo preciso, che detta linee di passaggio piuttosto semplici e si muove per il campo avvolto da una patina di ordinarietà. Una volta sceso in campo con i pro, invece, sembra come esser diventato un calciatore diverso, una versione shaolin di se stesso, accelerata, potenziata. Se dovessimo scegliere un fondamentale che lo caratterizza dovremmo parlare della capacità di Mora di stoppare il pallone, di intercettare le linee di passaggio dei compagni come se avesse il velcro sugli scarpini, in maniera precisissima, con una capacità di proteggere la sfera che direi zapatista. È tatticamente molto disciplinato e duttile (Osorio lo ha fatto giocare, oltre che nel suo ruolo naturale di enganche, anche come esterno sia a destra che a sinistra), difficilmente perde un pallone, si muove tra le linee sgusciando via dagli scontri fisici – nei quali, data la sua conformazione, sa di partire con un mismatch. A sedici anni è già il capitano della Under 18 messicana, anche grazie a un grande senso di responsabilità e una buona dose di carisma. In patria lo hanno paragonato a Zinha, un brasiliano naturalizzato che – tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila – brillava nel centrocampo del “Tri” per classe e cerebralità.
Nella mitologia azteca Quetzalcoatl, il Kukulkan dei Maya, arrivò dal nulla per insegnare la saggezza, e nel nulla scomparse. I messicani sono ancora in attesa del suo ritorno, almeno nella sua declinazione calcistica: chissà che Mora non sia il centrocampista fantasioso ma con la testa sulle spalle che non hanno mai avuto.
GIANLUCA PRESTIANNI, 2006, BENFICA (ARGENTINA)
Che fine ha fatto Gianluca Prestianni? L’anno scorso, quando lo dipingevamo come il giocatore entusiasmante che lasciava un Vélez in eruzione per sbarcare in Europa, era appena atterrato a Lisbona: un arrivo di gran carriera, come si dice, accompagnato da una presentazione che, effettivamente, gasava. E poi? Poi Schmidt non ci ha puntato molto, probabilmente lo ha visto fuori condizione, soprattutto mentale. Lo ha fatto esordire soltanto a maggio, in campo per tre minuti, mentre per il resto della stagione ha galleggiato nella squadra riserve.
In questa, che sembrava la stagione della sua consacrazione, ha giocato con una certa continuità, anche insieme al “Fideo” Di Maria, ma a ottobre si è infortunato alla caviglia con l’Under 20 di Mascherano ed è rimasto fuori due mesi.
È tornato ad allenarsi a fine novembre, in partitella ha segnato un gol in rovesciata e gli amici argentini Otamendi e Di Maria sono andati a dire in conferenza stampa che era un gol di triciclo, viste le dimensioni di Prestianni. Poco prima di Natale ha disegnato un assist di quaranta metri nel Benfica B, proprio il giorno in cui il suo Vélez tornava a vincere un campionato in Argentina. Dovrebbe poter significare che bisogna crederci sempre, e noi in Prestianni ci crediamo.
DEAN HUIJSEN, 2005, BOURNEMOUTH (SPAGNA)
Recentemente dopo un gol Dean Huijsen ha esultato mimando il Chill Guy, uno dei meme virali di internet. Questa immagine sembra calzargli bene: Huijsen, nonostante sia giovanissimo, è uno di quei difensori nati sereni, mai in affanno, con una tranquillità solare quando si tratta di gestire il pallone o difendere contro avversari più grossi ed esperti. In estate la Juventus l’ha ceduto al Bournemouth per fare cassa, ma già inizia a pentirsi: dopo alcuni mesi di rodaggio infatti Huijsen è diventato titolare inamovibile anche a causa dell’infortunio di Senesi e già si parla di lui come in quota Real Madrid.
Chiunque lo ha visto giocare almeno una volta può intuire il suo potenziale: un difensore di 195 centimetri, ancora un po’ magro, ma con ottime letture quando si tratta di difendere in uno contro uno. Soprattutto un difensore che con il pallone tra i piedi tira fuori il suo bagaglio tecnico di alto livello (nato in Olanda, cresciuto calcisticamente in Spagna), sorprendente per la facilità con cui sa rompere le linee di pressione e giocare in verticale, ma anche proporsi in avanti. Insomma, il 2025 potrebbe essere l’anno in cui Hujisen si impone nel campionato più difficile al mondo, oppure magari per lui inizieranno le prime normali difficoltà. In ogni caso, il suo futuro ad alti livelli sembra una garanzia.
MIKEY MOORE, 2007, TOTTENHAM (INGHILTERRA)
I record di precocità non riescono a restituire l’attesa spasmodica che in Inghilterra accompagna il talento di Mikey Moore. La scorsa estate l’edizione inglese di Goal.com l’ha definito “il giovane più talentuoso della Primavera del Tottenham dai tempi di Harry Kane” in un pezzo in cui spingeva il club londinese a fargli un contratto prima che ci arrivasse il Manchester United. Il Tottenham ha obbedito un giorno dopo il suo diciassettesimo compleanno, dopo che Moore aveva già esordito in Premier League diventando il più giovane giocatore del Tottenham di sempre a farlo. Anche l’elenco dei paragoni è lungo. Dopo la partita di Europa League contro l’AZ Alkmaar in questa stagione, in cui ha tentato tre tiri e quattro dribbling, James Maddison ha detto che «pensavamo di avere Neymar sulla fascia sinistra». Jermaine Defoe, invece, l’ha paragonato a Paul Gascoigne «per il modo in cui passa tra gli avversari».
Personalmente il modo in cui gioca mi ricorda Jack Graelish. Anche Moore, come l’ala del Manchester City, riceve a sinistra mettendo il pallone in pausa col destro, prima di decidere se andare lungo linea o rientrare verso il campo. Moore è uno di quei giocatori che più che dribblare sembra semplicemente andare più veloce dei propri avversari, forte del baricentro basso e di gambe piantate per terra come sequoie. È il minimo comun denominatore di molti dei nuovi talenti inglesi: giocatori che partono dall’esterno per tagliare il campo in diagonale, con polpacci che pompano come pistoni. Forse non è un caso che nell’unica occasione in cui è partito da titolare in Premier League, in un contesto atletico quindi molto più alto, le cose siano andate un po’ meno bene che in Europa League, dove invece Moore sembrava semplicemente poter fare quello che voleva.
Quando c’è tutto questo hype in Inghilterra può finire o molto male o molto bene. Di Moore abbiamo visto ancora troppo poco per avere certezze a riguardo (in questa stagione in tutte le competizioni ha giocato complessivamente meno di 400 minuti) ed è difficile che il 2025 ci chiarisca molto più le idee. Alla fine parliamo di un giocatore che, per diventare maggiorenne, dovrà aspettare l’inizio della prossima stagione. Nel frattempo, come si dice, sognare non costa niente.
FRANCO MASTANTUONO, 2007, RIVER PLATE (ARGENTINA)
Quando sul finire di gennaio 2024 Franco Mastantuono ha esordito in prima squadra, solo un ristrettissimo club di giocatori poteva vantare il privilegio oneroso, in termini di responsabilità e aspettative, di aver vestito la maglia del River Plate prima di aver compiuto diciassette anni. Dieci giorni più tardi, all’età di 16 anni, 5 mesi e 24 giorni, in una partita di Copa Argentina contro il Club Atlético Excursionistas è diventato il più giovane marcatore in una partita ufficiale della storia dei “millonarios“ (nella stessa partita ha colpito una traversa su punizione). A quale parabola somiglierà, quella di Mastantuono? A quella di Mateo Musacchio o a quella di Pablito Aimar, di Adolfo Pedernera, di Javier Saviola (tutti esordienti meno che diciassettenni)?
A vederlo in campo oggi, la speranza è un propellente turbomissilistico perché Masantuono è uno stranissimo (e per questo affascinante) mélange di classe ma pure solidità, di primi controlli orientati che diventano sempre promesse di meraviglia ma pure di garra, di fantasiosa imprevedibilità ma pure di un’aura diversa, compassata, fatta di sicurezza nei propri mezzi, più da capitano della squadra di football americano di un college yankee che da pibe cara sucia del potrero.
Mastantuono è un diez, ma sembra fatto di un materiale diverso da quello onirico con cui si costruisce, anno dopo anno, l’eredità del fulbo. È un dieci molto diverso, per esempio, anche dallo stesso quasi-coetaneo Echeverri, “el diablito”: non ha la stessa elettricità temibile e scombiccherata, i passaggi di prima col tacco, le intuizioni, la maniera in cui si gira, punta, strappa restituiscono un senso di controllo. Il che non significa che sia sempre pragmatico: è piuttosto quel tipo di giocatore che dopo aver messo col sedere a terra l’avversario, in area, sente di poter osare una rabona.
Sembra che questa tenuta mentale venga da un passato da tennista (si allenava al Club de Remo di Azul, lo stesso di Franco Delbonis). Nonostante fosse davvero promettente con la racchetta tra le mani, a un certo punto della sua preadolescenza Franco ha scelto di giocare a pallone: nelle giovanili del River ha fatto subito sfaceli, segnando reti a grappoli, anche gol olimpici (qua a 0.28). Il primo gol in Primera l’ha segnato nell’ultima partita, sulla panchina del River, di Demichelis: un gol non banale, su punizione.
Un mese più tardi sarebbe tornato Marcelo Gallardo, dal quale Mastantuono, finché potrà, farà meglio ad affidarsi completamente per completare il suo percorso di crescita soprattutto tattica. Enganche che all’occorrenza sa abbassarsi a costruire come alzarsi o infilarsi tra le linee per finalizzare, Mastantuono è uno di quei giocatori che nello spazio stretto, attanagliato dagli avversari, saprebbe tirar fuori un coniglio da dietro le orecchie degli avversari. Il suo gioco esprime un amore puro per la gambeta, ma anche per la verticalità: raramente non gioca a uno o due tocchi, e non si risparmia negli uno contro uno specie nell’ultimo quarto di campo. Tra i suoi idoli cita Julián Álvarez e ovviamente Lionel Messi: e il tema interessante, forse per la prima volta, è che Mastantuono è uno di quei diez che per visione di gioco e maniera di stare in campo davvero cominciano a somigliare più a Messi che all’idea archetipica di diez argentino.
AARON ANSELMINO, 2005, BOCA JUNIORS (ARGENTINA)
Una delle prime decisioni prese da Juan Román Riquelme, subito dopo la vittoria nelle elezioni per la presidenza del Boca Juniors nel dicembre 2023, è stata quella di alzare la clausola di rescissione di alcuni dei giovani del semillero, tra i quali Exequiel Zeballos e il difensore centrale Aaron Anselmino, la cui clausola è stata portata a venti milioni di dollari.
Centrale di difesa con un passato da pivot di centrocampo, Anselmino ha sempre dimostrato più anni rispetto alla sua reale età anagrafica: non solo nella conformazione fisica (è alto un metro e ottantasei, con un corpo già strutturato), ma anche nella visione di gioco, nell’intelligenza tattica, e nella malleabilità nelle mani dei suoi allenatori. Jorge Almirón lo aveva già fatto esordire nel giugno del 2023, quando in seguito a una morìa di difensori si era visto costretto a ricorrere al giovane contro il Lanús, e lui non aveva per niente sfigurato, dando anzi l’impressione di avere già un’esperienza già matura.
L’ingresso nella prima squadra in pianta definitiva, in ogni caso, è avvenuta nei primi giorni del 2024, quando sulla panchina degli xéneizes sedeva Diego Martínez, che lo aveva già allenato nella novena del Boca, quando aveva quattordici anni. Il più grande sponsor di Anselmino è stato Marcos Rojo, uno dei decani della squadra, che lo ha soprannominato “Cata” in onore del “Cata” Díaz, storico arcigno difensore bostero di inizio anni Duemila.
Ora: se c’è un calciatore dal quale – al di là della garra – Anselmino non può essere più distante, quel giocatore è proprio il “Cata” Díaz: Aaron è piuttosto un centrale elegante, pulito negli interventi, mai confusionario, che interpreta il suo ruolo in maniera quasi zen e ricorda un “Cuti” Romero con meno sangue negli occhi. Il suo ruolo preferito è quello di centrale di sinistra in una difesa a quattro, ma spesso – soprattutto prima dell’avvento sulla panchina di Gago, che Anselmino ha spesso citato come un suo punto di riferimento – ha occupato anche il ruolo di centrale in una difesa a tre, prendendosi la responsabilità di impostare il gioco con linearità. Le lunghe leve, che usa per anticipare gli avversari, gli permettono anche un notevole stacco di testa (non è un caso che la sua prima rete con il Boca sia arrivato proprio in questa maniera, in Copa Sudamericana).
La mossa di Riquelme, ovviamente, è stata lungimirante: in agosto il Chelsea ha pagato la clausola rescissoria per aggiudicarselo, scegliendo di lasciarlo in Argentina fino al 30 giugno 2025. Ad Aaron restano sei mesi per crescere ancora, acquisire ritmo e farsi trovare pronto per l’avventura in Premier, dove centrali argentini pronti a mordere ne son passati, ma eleganti come Anselmino, forse, invece, non ce ne sono stati mai.
ALEX JIMENEZ, 2005, MILAN (SPAGNA)
Succede spesso così: quando le squadre sprofondano nel caos, qualche giovane cerca quanto meno di sfruttare l’occasione per mettersi in mostra, ed essere una delle poche buone notizie. La fine del 2024 ha mostrato la promessa di Jimenez per un 2025 da protagonista nel Milan. In queste partite ha colpito soprattutto il carisma con cui si è preso responsabilità tecniche in un momento difficile.
Jimenez è un terzino, ma la completezza del suo repertorio tecnico gli permette di disimpegnarsi in qualsiasi contesto. È destro ma usa bene il sinistro, corre lungolinea ma ha una naturale predisposizione a prendersi i corridoi centrali. Contro la Roma Fonseca lo ha schierato più alto perché quando punta l’uomo lo fa con determinazione. Può calciare con entrambi i piedi. Sembra uno di quei profili versatili ultra-contemporanei creati in laboratorio. Un mash-up perfetto tra Cambiaso e Saelemaekers. Nel 2025 può prendere il posto di Theo?
JESUS MARAUDE CANO, 2008, CLUB BOLÍVAR (BOLIVIA)
Nella mitologia aymara e inca, Supay è il re del mondo di sotto: nell’operazione di sincretismo religioso scatenata dai Conquistadores è diventato il diablo, ma non un demone cattivo, piuttosto uno a cui votarsi, in cui riporre le proprie speranze, una figura più che tenebrosa vivace nella misura in cui fa la sua comparsa apparisciente nella danza folkloristica più tipica del paese andino, appunto la diablada.
In fondo Supay si presta a un sacco di interpretazioni metaforiche anche nel calcio: non è un caso che il più fulgido talento boliviano di sempre (a parte Ugarte, per il quale dobbiamo affidarci alla memoria di chi l’ha visto) sia stato Marco Etcheverry, uno che era soprannominato proprio “el diablo”.
Jesús Maraude Cano, detto “puchi”, va detto che porta un nome weird per essere una reincarnazione del diablo: ciononostante lo ha in qualche modo evocato quando con calzettoni bassi, fisico mingherlino, taglio di capelli e sguardo da chorro, si è messo in mostra nel Sudamericano Under 15 dell’ottobre scorso con certi colpi di classe ai quali sopra i quattromila metri non sono molto abituati. È un trequartista che può giocare anche da seconda punta sgusciante, fantasioso, furbo, scattoso e dribblaholico.
Il punto più alto della sua minuscola carriera, per ora, è questo gol segnato alla Colombia, festeggiato con un dito sulle labbra a zittire vai a capire chi, dove più del gol in sé colpisce la preparazione: il primo controllo spalle alla porta, il dribbling secco, l’involarsi mercuriale.
Il padre, argentino, è arrivato in Bolivia nel 1998: enganche riconvertito a punta, bassino, sgusciante fantasioso e furbo, dieci anni più tardi ha stretto tra le braccia quello che potrebbe essere il futuro del calcio boliviano. Jesús, da un annetto, è sotto contratto con il Club Bolívar, che oltre a essere la più gloriosa compagine boliviana è anche da un paio d’anni nell’orbita City Football Group (il presidente è socio di Beckham nell’Inter de Miami e socio del Girona, tra l’altro).
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