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Maurizio Sarri aveva sconfessato se stesso pur di vincere i derby e questo dietrofront gli ha dato ragione in più di un’occasione: la sua Lazio si è fatta trovare in posizione di attesa e la Roma di José Mourinho, che amava arroccarsi e giocare in ripartenza, non trovava mai spazi per farsi bella. Zdenek Zeman vinse il suo primo derby scegliendo il più conservativo Carmine Gautieri e non l’offensivo Paulo Sergio per ingannare la Lazio di Sven Goran Eriksson, che invece si aspettava un’avversaria arrembante come nei derby che aveva vinto, e in scioltezza, in precedenza. Il 4-3-3 per qualche tempo aveva perso il suo fascino dogmatico. Queste partite finiscono per raccontare una storia che difficilmente avevi immaginato, sono fatte di spunti emotivi, di paure, di casualità. La Lazio ha festeggiato per gli errori di Ibañez, la Roma per una cosciata di Negro nella sua porta o per un colpo di tacco di Pellegrini che aveva appena preso il posto di Pastore. La tattica si fa, sempre, fino al giorno prima. Il pensiero accademico viene scavalcato dal guizzo di un intruso, un freddo debuttante, poco preso dai coinvolgimenti sentimentali. E magari sarà così anche stasera. Baroni ha dichiarato che la sua Lazio «non deve snaturarsi». Teoria ambiziosa. Il marpionico Claudio Ranieri ha ricordato come questa partita fuoriesca da ogni schema o classifica. La teoria suprema.

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LE VISIONI

Ma qualcosa va detto. I 15 punti di distacco tra Lazio e Roma invitano a pensare che se c’è una squadra che può “permettersi” di perdere – per la classifica – è quella di Baroni, anche se una sconfitta sarebbe una secchiata d’acqua sull’entusiasmo. Ranieri è nel limbo, una vittoria regalerebbe sorrisi e po’ d’aria, perdere sarebbe un disastro. La Roma, dunque, è maggiormente sotto pressione. Però non è più la compagnia comica di qualche mese fa, con Claudio è tornata squadra, anche se difettosa. La Lazio va come un treno, «ha il pilota automatico» (cit Ranieri), ma ultimamente ha mostrato qualche fragilità. La Roma tornata a segnare con continuità (10 reti nelle ultime 4 di campionato), ma il gol lo prende o spesso rischia di prenderlo: si sbilancia, concede ripartenze sanguinose, è meno ranieriana di quello che si potesse pensare. Con il Milan poteva finire 4-4. La Lazio è brava ad affrontare questi spazi larghi o i mezzi spazi, ha calciatori di gamba, soprattutto Dele-Bashiru e Tavares. Che però non sono ideali per difendere, vanno sotto stress se pressati. La fascia sinistra della Lazio, con Tavares e Zaccagni, può far paura, da quella parte Ranieri oppone Saelemaekers e Mancini, con uno tra Koné e Pisilli a inserirsi nella terra di mezzo. Sul lato opposto il confronto è più in equilibrato: Angeliño e Isaksen hanno caratteristiche simili, sono bravi nell’accompagnare la fase offensiva, disastrosi quando vengono attaccati; Ndicka (più Pisilli o Koné) da una parte, Gila e Marusic dall’altra hanno il compito di andare in seconda battuta. L’uomo che può essere determinante ce l’ha la Roma, ed è Hummels, che difetta in marcatura ma è un sublime regista difensivo, intercambiabile con Paredes. Rovella è un organizzatore di gioco con caratteristiche diverse dall’argentino: è uomo di lotta e di governo. Mentre Guendouzi è prevalentemente di lotta, con Koné sarà un bel duello, alla francese. Rovella dovrà andare a scalare Dybala quando si abbassa, quando cerca di scomporre le linee avversarie con le sue giocate orizzontali o con i dialoghi con Dovbyk. Diversi anche i due centravanti: l’ucraino a caccia del primo squillo con una big, è uomo d’area di rigore, ama il gioco in profondità e la porta da guardare dritta negli occhi; Castellanos è abile nelle sponde (e la Lazio è brava negli inserimenti dei centrocampisti e trequartisti), non rapidissimo nell’uno contro uno. Tutti e due i tecnici hanno armi anche in corsa: Baroni può variare il modulo, con l’innesto di Dia, alternando liberamente 4-2-3-1 al 4-3-3, e questo dipenderà molto dalla posizione di Del-Bashiru, bravo a slittare da una zolla a un’altra. Ranieri sembra voler partire con il 3-5-2, con un centrocampista in più, Pisilli, ma se inserisse El Shaarawy, ecco che Dovbyk si troverebbe con due calciatori offensivi dietro le spalle e quindi con Dybala più vicino. Stesso discorso in caso di innesto di Pellegrini, mezz’ala e trequartista, o Soulé. La Roma non avrà Celik (oltre a Cristante) a disposizione, a destra non ha grandi soluzioni, come vice Saelemaekers c’è il solo Saud. Siamo alle teorie, sempre tutte giuste. Poi? Arriva il debuttante di turno, Pisilli o Dele-Bashiru e addio ai piani preconfezionati o alle idee tattiche buone per gli appassionati-maniaci. Il derby (molto spesso) è così, per tutti gli altri.

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