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Ecco l’ultima intervista dai nostri archivi per iniziare al meglio il nuovo anno, datata gennaio 2024: quella al CT della Nazionale italiana femminile: Andrea Soncin.
I presupposti operativi, la decisione e lo stato del movimento. Tutto all’insegna dell’entusiasmo e di un nuovo corso.
È una decisione che passa prima dalle mani che tremano, poi dagli occhi che si illuminano e quasi non ci credono. Passa dalla testa ed è lì che in un attimo si accumulano pensieri come granelli di zucchero nel barattolo sulla credenza (in fondo sono pensieri dolci). Passa dalle labbra che, inevitabilmente, sorridono, ma più di tutto, soprattutto, passa dal cuore: “Vuoi essere il prossimo CT della Nazionale Femminile Italiana?”. Deve essere andata più o meno così tra la FIGC e Andrea Soncin, neocommissario tecnico dell’Italia femminile che in soli cinque mesi ha già cambiato la storia, anzi ne ha scritto un pezzettino. Battere la Spagna Campione del Mondo in carica in casa loro è un successo grande più o meno come la scalata del Monte Bianco e il valore di quei tre punti ne è direttamente proporzionale. «Non ho pensato, ho accettato. Se la Nazionale chiama, la risposta è una sola, un sì pieno, felice, consapevole, orgoglioso.»
Nessuna fase di studio preliminare?
«È un momento che è venuto dopo, lo ripeto, quando l’Italia chiama non si pensa, si accetta, è un ruolo così importante che ricopri con estremo orgoglio, solo il pensiero di portare in giro per il mondo questi colori mette i brividi e si va oltre qualsiasi ragionamento; tutti pensano sia stata una scelta difficile ed invece è stata facilissima, solo dopo nasce un certo tipo di approccio, un certo tipo di organizzazione, si procede con lo studio, ma avviene tutto in un secondo momento.»
Qual è stato il primo passo dopo quel sì?
«Per prima cosa c’è stato un dialogo con tutti i club da cui ho avuto massimo appoggio; poi il lavoro per costruire uno staff di valore, competente certo, ma soprattutto con delle qualità umane indiscutibili. Per me il sapersi relazionare è un punto fondamentale per lavorare al meglio, sulla base di queste prerogative siamo riusciti a organizzare un gruppo di lavoro di alto livello e che mi garantisce un supporto quotidiano, ho a che fare con delle grandi persone ancor prima che grandi professionisti. È vero che risalta sempre la figura dell’allenatore ma è anche vero che dietro c’è un grande lavoro da parte di tutti.»
Il confronto con il calcio maschile, mondo dal quale arrivi, è spesso un passaggio obbligato, nel senso che da un lato viene naturale, dall’altro aiuta anche a capire la dimensione e la qualità del calcio femminile. Dal tuo punto di vista quali sono le differenze più evidenti?
«È chiaro che ci sono differenze tecniche tra uomini e donne seppur non così elevate, ma resto dell’idea che le diversità maggiori siano al di fuori del campo, nel mondo femminile c’è una sensibilità estrema, la comunicazione deve essere più profonda e la competitività interna aiuta a migliorare il lavoro quotidiano, le donne sono maniacali rispetto agli uomini e riportare nel lavoro questo aspetto è solo un pregio che mi porta a essere ancora più efficace ed esaustivo possibile nelle spiegazioni. Senza contare la maggior propensione al lavoro, all’ascolto, alla voglia di migliorare costantemente da parte delle donne.»
Quali sono i tuoi princìpi cardine e che tipo di calcio prediligi?
«Forse sarò ripetitivo ma per me l’aspetto principale va oltre il calcio vero e proprio, io credo che nasca tutto dal senso di appartenenza e i primi messaggi che ho mandato sono stati tutti in questa direzione.
Ho detto alle ragazze e al gruppo in genere che la prima convocazione non implica che quelle successive siano automatiche, tutt’altro, ho detto loro che bisogna lottare per avere questa casacca ma ancor di più lottare per tenersela stretta, ho chiesto coraggio e hanno già dimostrato di averne. Tutto questo porta a un altro principio, ovvero quello di alzare il livello della competitività interna che per me è fondamentale; dal canto mio garantisco loro la sicurezza nell’osservazione durante tutto l’anno e la massima attenzione. Quanto al tipo di calcio, sono convinto che il gioco sia soprattutto fatto di verticalizzazioni, l’intento è di
riempire il più possibile l’area con le nostre giocatrici e di saperci adattare in funzione dell’avversario e del momento, abbiamo già variato molto tatticamente negli ultimi mesi e per questo devo dire grazie ancora una volta alle ragazze e alla loro immensa disponibilità. Ripeto: il calcio attuale è saper occupare gli spazi in maniera funzionale anche e soprattutto tenendo conto dei movimenti avversari.»
La gestione di una squadra di club rispetto a una Nazionale è piuttosto diversa, come cambia soprattutto a livello di tempistiche?
«Lontano dai raduni si pensa di avere sempre tanto tempo a disposizione e che la programmazione sia dilatata, io e il mio staff in quei frangenti cerchiamo di mantenere il contatto con i club e con le giocatrici, lavoriamo per conoscere a fondo ogni situazione; durante i raduni, invece, tutto si evolve in maniera più veloce ma sono convinto che anche in tempi così ristretti si possa dare molto e fare molto. È importante
la qualità degli interventi, l’efficacia, bisogna essere chiari il più possibile, stilare una lista di priorità, trovare la strategia ottimale, si può trasmettere una certa idea di gioco, che nel lavoro quotidiano di un club hai anche il tempo di stravolgere e riprendere da capo, mentre in questo caso no, qui c’è tempo solo per le certezze seguendo un determinato filo logico.»
Arrivi a fare il CT in un momento delicato: l’Italia ha appena sprecato l’occasione Mondiale in Australia e Nuova Zelanda, la credibilità è venuta un po’ meno, le dicerie sono tante, troppe, ma più di tutto questo team sembrava aver perso la sua identità. Come si ricompone l’anima di una squadra in queste circostanze?
«Quando ho accettato quest’incarico sapevo che il mio compito principale dovesse essere quello di ricostruire un clima ottimale in cui ogni ragazza potesse esprimere le proprie qualità in libertà assoluta, dando il massimo chiaramente. È vero che il Mondiale è stata una fase delicata, idem il post Mondiale perché inevitabilmente qualche strascico lo lascia, ma ricreare il clima giusto significava anche aiutare questo gruppo a riconquistare la fiducia in se stesso, ritrovare serenità, anche e soprattutto accettando l’errore. Dico sempre che una lettura di gioco errata può succedere, ma se sbagli, di sicuro, hai la possibilità immediata di porre rimedio: ecco ci vuole serenità anche in questo proprio per rimediare in fretta e nel miglior modo possibile.»
A settembre ti tuffi nel percorso di Nations League, un percorso tosto perché l’Italia è in un girone di ferro con Svezia, prima nel ranking mondiale fino a quel momento, Spagna, neocampione del Mondo, e Svizzera, paese ospitante degli Europei 2025, eppure succede qualcosa di “magico”, l’Italia si piazza seconda nel girone e resta ancorata alla Lega A. Ti aspettavi una partenza così?
«Sinceramente in una partenza così ci ho creduto fin da subito, questo percorso iniziale era proprio quello che volevo e quando ho toccato con mano la disponibilità encomiabile delle ragazze, ho capito che non fosse utopistico, tutt’altro; dal primo giorno ho sempre detto loro “Non possiamo controllare tutto, ma dobbiamo essere perfette in tutto ciò che si può controllare, in tutto ciò che dipende da noi”. Ecco, non solo è successo questo ma siamo andati anche oltre, è successo di più, ora il prossimo passo sarà far diventare lo straordinario ordinario, sappiamo che i vertici del calcio femminile europeo e mondiale sono a un livello altissimo e sappiamo che dovremo lavorare ancor di più per arrivarci. Ma non abbiamo alcuna intenzione di tirarci indietro, anzi quello è il nostro obiettivo.»
Proprio in questo percorso l’Italia batte la Spagna, in casa sua, per 3-2: qual è stato il primo pensiero al triplice fischio?
«Tanto orgoglio ma anche tanto rammarico perché il primo posto non era affatto così lontano, anzi, la gioia è stata immensa e il mio primo grazie è stato tutto per lo staff, per le analisi fatte insieme, per la preparazione, che passa dallo studio dell’avversario alla mera parte strategica, per aver curato ogni dettaglio, anche se le protagoniste sono state loro, le ragazze, hanno messo in campo tutto quello che avevano e sono state ripagate.»
Affacciandoci, invece, sulla Serie A, cosa pensi di questo campionato e dell’arrivo di tante giocatrici straniere? E cosa pensi della Supercoppa Italiana andata in scena nel mese di gennaio a Cremona davanti a quasi settemila persone?
«La Serie A è un campionato in crescita, tante giocatrici stanno arrivando in Italia aumentando così il livello del nostro calcio, questo è anche uno stimolo per le società che sono propense a investire di più nei settori giovanili e a strutturarli in maniera più ricca per un futuro che è prossimo. All’estero il percorso parte da lontano e ti porta a raccogliere i frutti ma non possiamo dimenticarci che ogni percorso richiede tempo, il tutto e subito non funziona mai e questo è un errore che non possiamo permetterci
di commettere…»
Quanto alla Supercoppa Italiana, Roma-Juventus, 1-2…
«È stata una partita bellissima, di ottimo tasso tecnico, ma la cosa più interessante è stato il clima fuori dal campo, la passione che si poteva toccare con mano, ho visto tante bambine a bordocampo attendere un autografo dalle loro beniamine e questo è un messaggio molto positivo che fa ben sperare, che accresce il nostro entusiasmo ma anche le nostre responsabilità. Rappresentando l’Italia, indossando la casacca azzurra, sappiamo di avere un obbligo importante. Nel corso della manifestazione c’è stato un altro momento molto toccante, ovvero la targa dedicata a Gianluca Vialli a cui è stato intitolato il settore distinti dello stadio di Cremona, Vialli era un uomo meraviglioso e quella frase impressa sulla targa (Grazie per averci insegnato che la vita è una sfida che va affrontata con coraggio, un sorriso e tanta determinazione, ndr) fa capire il senso della vita stessa, è stato un momento che ha aggiunto valore a tutta la kermesse e di cui farò tesoro.»
Se un anno fa ti avessero detto “allenerai la Nazionale femminile”, ci avresti creduto?
«Oddio, creduto forse no ma sperato sì, non mi stancherò mai di dire che nel momento stesso in cui è stato fatto il mio nome non ho mai avuto dubbi sulla risposta.»
Qual è lo scenario del 2024? Quali sono gli appuntamenti?
«A fine febbraio scenderemo in campo per un paio di amichevoli che saranno una tappa di avvicinamento molto importante per i mesi di aprile, giugno e luglio dove in tre round ci giocheremo l’accesso agli Europei 2025.»
Hai un sogno per te e per questa squadra?
«Il mio sogno è arrivare all’Europeo e giocarmelo da protagonista con queste ragazze, di fronte a noi c’è un percorso intenso da fare ma le basi ci sono, mi piacerebbe fare qualcosa che non è mai stato fatto prima, ben conscio del fatto che ad oggi ci sono Nazionali che hanno un valore più alto del nostro. Già aver recuperato tre posizioni nel ranking passando da 17° a 14° è qualcosa che dà fiducia e consapevolezza del lavoro fatto, ma allo stesso tempo dice quanto ancora c’è da fare per arrivare là dove vogliamo arrivare.»
Dal sì pieno, consapevole, felice e orgoglioso, ad oggi: la strada è tracciata, l’orizzonte inesplorato sembra non fare più paura con Andrea Soncin, c’è solo voglia d’immergersi, un passo per volta, proprio in quello spettacolo della natura, regalando al cielo un tono di azzurro, azzurro Italia, per renderlo pressoché perfetto e per volare là in alto con ali fatte di lavoro e coraggio, nell’eco di un’unica voce: fare qualcosa che non è mai stato fatto… per arrivare lontano, bisogna sognare in grande.
Autore: Mariella Lamonica.
Foto: Imago.
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