La chiusura del gasdotto tra Russia ed Europa attraverso l’Ucraina ha acceso un faro utile a cogliere come sta cambiando il mercato del gas: nel 2024, gli Usa hanno esportato ben 88,3 milioni di tonnellate metriche di gas naturale liquefatto (Gnl), in aumento del 4,5% rispetto al 2023. È un mercato in cui il Paese è leader e, con tutta probabilità, lo resterà dopo l’insediamento alla presidenza di Donald Trump, in programma il 20 gennaio: un governo negazionista, che sarebbe pronto a uscire nuovamente dall’Accordo di Parigi sul clima, non potrà che continuare a spingere sulle fonti fossili.
A dicembre 2024, tra l’altro, l’export Usa di Gnl ha raggiunto livelli quasi record, salendo a 8,5 milioni di tonnellate metriche, anche grazie all’avvio di due nuovi impianti. E poco importa se la letteratura scientifica certifichi che «l’impronta di gas serra» del Gnl come fonte di combustibile è del 33% superiore a quella del carbone, da sempre considerato come il più «sporco» tra i combustibili fossili. L’espansione del gas naturale liquefatto dipende anche dal sostegno delle banche, che continuano a pompare finanziamenti illimitati nel settore: fra il 2021 e il 2023, secondo il report «Frozen gas, boiling planet», a livello globale sono stati concessi al settore finanziamenti per 213 miliardi di dollari. Le banche italiane hanno fornito 6 miliardi di dollari, senza preoccuparsi che il trasporto di gas liquefatto (che arriva anche in Italia, a Piombino, a La Spezia, presto anche a Ravenna) aumenta il rischio di fuoriuscita di metano, cioè di un gas serra che è in media 80 volte più potente dell’anidride carbonica in un periodo di 20 anni.
L’espansione del Gnl avviene nonostante le proiezioni dell’Agenzia internazionale per l’Energia mostrino una sovracapacità del settore: a volerlo sono società petrolifere e del gas, come Eni, TotalEnergies e QatarEnergy, specialisti del Gnl come Venture Global e anche società di servizi, come Enel, che hanno in programma un’espansione massiccia delle loro attività, con 156 nuovi terminali entro il 2030. Secondo Justine Duclos-Gonda, attivista di Reclaim finance, «le compagnie petrolifere e del gas stanno scommettendo sui progetti di Gnl, ma ognuno dei loro progetti mette in pericolo il futuro dell’Accordo di Parigi. Le banche affermano di sostenere le compagnie petrolifere e del gas nella transizione, invece stanno investendo miliardi di dollari in future bombe climatiche. Il Gnl è un combustibile fossile e non ha alcun ruolo da svolgere in una transizione sostenibile. Le banche devono assumersi le loro responsabilità e smettere immediatamente di sostenere gli sviluppatori di Gnl e i loro terminali di esportazione».
Il rapporto accende un faro sugli Usa: nel maggio 2024, gli investitori statunitensi rappresentavano il 71% degli investimenti totali nell’espansione del gas liquefatto, con i fondi BlackRock, Vanguard e State Street in testa. Insieme questi tre soggetti (che raccolgono anche in Italia i risparmi di milioni di persone) sono responsabili del 24% di tutti gli investimenti nell’espansione del Gnl. Anche per questo, dei 156 nuovi terminali in corso di realizzazione o progettati da qui al 2030, destinati a collegare i mercati di produzione ed esportazione con quelli d’importazione (come il nostro), oltre il 50% della nuova capacità di export si concentra negli Usa, in Canada e in Messico.
Alcune ricerche universitarie, però, dimostrano che dal 2005 a oggi se gli Stati Uniti hanno a disposizione gas da esportare, ciò è dovuto principalmente all’aumento della produzione usando la tecnica del fracking, per ottenere quello che viene chiamato shale gas, gas di scisto: gli Usa, importatori netti di gas naturale dal 1985 al 2015, dal 2016 sono esportatori netti. Una leadership di mercato che ha un forte impatto ambientale, dato che il fracking (fratturazione idraulica) è molto oneroso in termini di emissioni. Eppure, ieri c’è stato chi ha voluto ricordare che anche l’Italia avrebbe dovuto sfruttare fino in fondo tutti i giacimenti di gas, anche quelli più delicati, anche usando tecniche come il fracking: «La nostra follia è stata scegliere di non usare il gas che potremmo estrarre nel nostro paese, e che col referendum del 2016 abbiamo deciso di non usare. Questo è il vero fallimento del sistema paese» ha affermato in un’intervista Davide Tabarelli, presidente Nomisma Energia.
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