Morte sulla teleferica, chiuse le indagini per tre persone: “Doveva trasportare solo legna”

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La Procura di Verbania ha chiuso le indagini sull’incidente avvenuto il 4 luglio scorso a Calasca Castiglione, nel Verbano-Cusio-Ossola, costato la vita alla 41enne Margherita Lega, precipitata nel vuoto mentre caricava i bagagli su una teleferica mentre era diretta in una baita ai 940 metri dell’Alpe Drocala, per una vacanza con il marito e i due figli minorenni. Gli indagati sono il titolare della concessione dell’impianto a fune; il presidente dell’associazione Comunità rigenerative che gestisce l’ecovillaggio in cui erano diretti la vittima e i suoi familiari; e la persona che materialmente ha azionato la teleferica da monte. Nei confronti di tutti e tre, il PM Nicola Mezzina ipotizza il reato di omicidio colposo in concorso.

Impianto autorizzato per trasporto legna

L’autorizzazione della teleferica dalla quale è precipitata Margherita Lega era scaduta da più di 6 mesi e l’impianto era stato autorizzato per il trasporto di legna. Lo si legge nell’avviso di conclusione indagini notificato a tre persone indagate. L’impianto, la cui autorizzazione originaria risale all’aprile del 2013, più volte rinnovata ma scaduta il 27
dicembre del 2023, sarebbe dovuto essere “una linea a cavo per trasporto legna” e “per l’esbosco di materiale legnoso da boschi cedui“, ma in realtà era “una teleferica differente […] con le caratteristiche tecniche di palorcio”. Secondo il PM Nicola Mezzina, il titolare della concessione aveva acconsentito che anche altre persone, abitanti o dimoranti in Alpe Drocala, dove si trovano alcune baite e l’ecovillaggio meta della vittima e della sua famiglia, utilizzassero quel sistema di trasporto, “senza che venissero osservate, fin dal primo impiego dell’impianto, le cautele e le misure volte a prevenire eventi lesivi ai danni di chiunque facesse uso del palorcio“. Tra le altre cose, sostiene il PM, erano “totalmente assenti i dispositivi di segnalazione di tipo sonoro o visivo tra le due stazioni, a monte e a valle” benché fosse “precaria e incompleta” la visibilità del punto di partenza dal luogo, a monte, da cui si manovra l’impianto.

Scarsa visibilità

Il manovratore che, dall’alto, ha azionato il palorcio-teleferica dal quale è precipitata Margherita Lega, non poteva vedere chiaramente se nella zona di partenza dell’impianto ci fosse qualcuno. Lo scrive, nell’avviso di chiusura indagini notificato ai tre indagati, il PM Nicola Mezzina, secondo cui “la visuale dalla stazione di monte, specialmente dal punto in cui si aziona il dispositivo trainante, non è nitida e, soprattutto, completa, a causa della distanza fra il sito di partenza e quello di arrivo, della prospettiva non del tutto favorevole, e della presenza di alcune piante“. Le fronde degli alberi che si trovano in corrispondenza del tornante stradale adiacente alla stazione di valle, in località Olino, non consentono “a chi si trovi nei pressi del comando a monte di poter scorgere la presenza di persone e persino di veicoli sostanti su quel percorso, e così anche pericolosamente prossimi o a contatto della barella ferma a valle”. 

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Malinteso fatale

Poco prima dell’incidente costato la vita a Margherita Lega, la vittima e il marito avevano comunicato via telefono con la persona che li ospitava nell’ecovillaggio dell’Alpe Drocala, che aveva spiegato loro di sistemare i bagagli sulla barella dell’impianto che, in seguito, lui stesso avrebbe azionato. Lo si legge nell’avviso di chiusura indagini, notificato ai tre indagati. L’impianto venne però azionato da un’altra persona, anch’essa tra gli indagati, che ignara della presenza dei turisti voleva richiamare la barella per caricarvi oggetti da trasportare a valle. Secondo il PM Nicola Mezzina, l’uomo che ospitava la vittima e la sua famiglia “non verificava che una volta caricati i bagagli da parte degli ospiti e prima del suo arrivo alla stazione posta a monte, all’incirca un quarto d’ora, altri non attivassero il sistema di risalita della barella“, benché fosse consapevole che in molti, fra i residenti all’Alpe Drocala, utilizzavano il palorcio e quindi ne potevano azionare in qualsiasi momento il comando a motore. All’uomo, la Procura contesta anche il non aver verificato che l’impianto fosse rispondente alle norme di sicurezza “per poterne essere concesso l’utilizzo senza rischi persino a terzi, soggetti non formati e non autorizzati”, come gli ospiti della comunità. 



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