L’anno dei nodi da sciogliere tra guerre, crisi e speranze

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Un bambino ferito per i bombardamenti a Gaza.

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Sarà un anno di svolta? Forse sì. Anzi, è quasi certo. Sono troppe le questioni aperte nel mondo ereditate dal 2024: due guerre di portata globale, quella in Ucraina e quella a Gaza, che si trascinano da troppo tempo, le soluzioni per gli ormai frequenti cambiamenti climatici, l’instabilità sul piano sociale in tanti Stati, la fragilità dell’Europa, l’azione di governo di nuovi personaggi politici tornati o saliti alla ribalta, come il redivivo Donald Trump o Javier Gerardo Milei, il presidente argentino fautore di un liberismo selvaggio, “revolutionary freemarket”, come lo incorona l’Economist . Nel 2025 necessariamente i nodi verranno al pettine. Il problema è che non sappiamo come verranno sciolti i nodi. Sul piano internazionale, il mondo ha continuato a girare su assi insanguinati. Ucraina e Medio Oriente restano i teatri di due grandi tragedie umanitarie. 

I funerali di un militare israeliano.


I funerali di un militare israeliano.



Il primo pensiero va all’Ucraina: riuscirà Trump a fermare un conflitto che ricorda le guerre imperialiste ottocentesche e che ha già sacrificato centinaia di migliaia di giovani – per non parlare dei civili – sull’altare geopolitico della conquista di porzioni di territorio? Spesso ci dimentichiamo che gli Stati Uniti non hanno solo la sponda atlantica, ma anche quella del Pacifico. E sul fronte Orientale c’è la Cina a far paura. La crescita economica e dell’impero del Drago e soprattutto quella alle armi è impressionante. Pechino acquisisce armi sei volte più velocemente dell’impero americano, e ha raddoppiato l’arsenale atomico e balistico negli ultimi quattro anni. Significa che è potenzialmente pronta alla guerra con l’America. E tutti auspichiamo una pace perpetua, che mandi avanti la stagione irenista e commerciale inaugurata da Nixon e Kissinger. Ma Taiwan, altrimenti detta Formosa, siamo sicuri che resterà indipendente? O sarà la scintilla di un nuovo conflitto, in questa epoca in cui le dinamiche della Guerra Fredda tornano prepotentemente?

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Festeggiamenti in Siria per la caduta di Assad.


Festeggiamenti in Siria per la caduta di Assad.

Il 2025 è l’anno delle incertezze anche in Medio Oriente, una delle aree più instabili del Pianeta, teatro del grande gioco delle potenze mondiali o aspiranti tali. In Siria, ad esempio, focolaio di una guerra che va avanti da 14 anni e della più grave crisi migratoria che abbia mai investito l’Europa, il nuovo regime di al Jolani, leader del Hayat Tahrir  al-Sham (Hts), sul quale negli Stati Uniti pende tuttora una taglia da 10 milioni di dollari, torneranno la pace e – se non proprio la democrazia –  almeno un regime non autoritario e crudele? Probabilmente non lo sa nemmeno il nuovo leader di un Paese che è tuttora il frutto degli appetiti di numerosi attori. Da Israele, che ha approfittato della situazione per annettersi nuovi territori, come le alture del Golan e il versante siriano del Monte Hermon, al confine col Libano, alla Turchia, la più strenua sostenitrice dell’opposizione ad Assad, che mantiene una sua presenza militare sul confine attraverso il sedicente Esercito Nazionale Siriano, in perenne lotta contro i curdi. Ma anche gli Stati Uniti hanno i loro protettorati nel Nord est della Siria e perfino la Russia non ha rinunciato alle sue basi militari, quella aerea di Khmeimim e quella navale di Tartus. Questo campo di forze così conplesso e variegato potrebbe destabilizzare il fragile equilibrio di potere raggiunto da al Jolani, che sta cercadno di federare tutte le milizie annettendo anche quelle sconfitte, con imponderabili conseguenze.

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Benjamin Netanyahu.


Benjamin Netanyahu.




Chi esce certamente sconfitto dal grande gioco siriano è certamente l’Iran, devastato dagli attacchi e dalle rappreseglie israeliane, sconfitto con la presa di Damasco (del cui regime era alleato), l’8 dicembre scorso, e con i suoi alleati, come Hezbollah, annientati dall’Idf. Ma non dobbiamo dimenticare che il nuovo corso del medio Orienete dipenderà anche dagli Stati Arabi del Golfo, che al momento sembrano stare a guardare (ma è davvero così, e soprattutto, sarà così anche per i prossimi dodici mesi?).
 

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Il lancio di un missile da parte dell'esercito ucraino.


Il lancio di un missile da parte dell’esercito ucraino.

Quanto a Israele, finirà il martirio di Gaza dopo oltre un anno di flagellazione della Striscia? La recente presa di posizione di due corti internazionali, quella dell’Onu e quella dei Diritti umani, per nio parlare di papa Francesco e di Amnesty International, ha messo seriamente in discussione l’ipotesi di genocidio ai danni della popolazione civile, a cominciare dai bambini (oltre 30 mila uccisi dall’Idf). Finirà nel 2025 questa strage? O dovremo continuare a fingere di considerare il massacro agli occhi del mondo come effetto collaterale di un’azione anti guerriglia senza che nessuno muova un dito per fermarlo?
 

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Una trincea ucraina sulla linea del fronte.


Una trincea ucraina sulla linea del fronte.




E in Europa? Il vecchio Continente vede i suoi due principali pilastri passati dal ruolo di locomotive a grandi malati. Stiamo parlando dell’asse franco-tedesco, naturalmente, che ha visto per tutto il 2024 governi finiti al collasso, tensioni sociali e crisi economiche di portata globale. La Francia si trova senza una chiara maggioranza in Parlamento e la Germania deve fronteggiare una crisi che ha coinvolto persino la sua manifattura – la seconda al mondo dopo quella americana –  fino alla chiusura di stabilimenti storici come quello Volkswagen. Il presidente francese Macron, grazie ai suoi poteri di monarca repubblicano, arrivato a metà del secondo mandato fatica a gestire il potere di un governo e di un Parlamento sferzato dal vento delle destre e della sinistra, in un’epoca in cui il “centrismo” soccombe sotto la spinta di posizioni identitarie e radicali (frutto anche della crisi economica). Basterà nominare primo ministro (che nel sistema francese ha un ruolo di comprimario) il politico centrista navigato François Bayrou? Quanto alla Germania, il leader che ha sostituito la Merkel, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz, si è rivelato debole, peraltro in una coalizione troppo eterogenea, con le destre, anche quelle neonaziste, all’assalto (e su questo fuoco soffia anche il magnate Donald Tusk).

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Donald Trump e la consorte Melania.


Donald Trump e la consorte Melania.

In questo quadro l’Unione europea, alle prese con il tentativo di regolarizzazione giuridica dei privilegi delle Big Tech e con il ritrovamento di una leadership perduta (anche nella vicenda Ucraina) è chiaramente in difficoltà. Gli investimenti nel campo dell’Intelligenza Artificiale vanno avanti a ritmo serrato, molto più veloce degli interventi legali ed etici (si parla, anche a livello di Nazioni Unite, di “algoretica”). Va detto che l’Europa è stata la prima ad agire con l’European Ai Act che mira a stabilire standard globali elevati per la sicurezza nel campo dell’Intelligenza Artificiale. Il problema è che i cambiamenti giuridici ed etici, così come la grande rivoluzione verde, necessaria a fronteggiare il surriscaldamento climatico, costa ingenti risorse che molti cittadini, molte aziende e molti governi non possono permettersi.
 

Volodymyr Zelensky.

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Volodymyr Zelensky.




Il “Green Deal” è estremamente caro dal punto di vista finanziario. Ed è difficile che l’Unione europea raggiungerà gli obiettivi previsti per il 2030. A tutto questo dobbiamo aggiungere gli scarsi risultati, soprattutto in campo diplomatico, per risolvere le crisi umanitarie e fermare le guerre, anche perché si procede in ordine sparso, valga per tutti le trattative intraprese da Macron con la Russia, risoltesi con un buco nell’acqua. Il 2025 è dunque anche l’anno di riscatto dell’Europa. Non sarà facile.
 

Vladimir Putin.


Vladimir Putin.

Tra i grandi anniversari che si celebreranno nel 2025 i più importanti sono quello della fine della Seconda Guerra Mondiale e  quello della nascita delle Nazioni Unite (lo Statuto fondativo fu adotatto nel giugno del 1945 alla Conferenza di San Francisco). Ottant’anni fa venne fondata l’organizzazione, figlia della Società delle nazioni, che oggi conta 193 Stati membri, che doveva garantire la pace nel mondo, ma alla quale non può ancora accedere lo Stato della Palestina, in virtù del veto degli Stati Uniti. Le crisi di questi ultimi anni ne hanno mostrato la debolezza ormai riconosciuta a livello globale. Nulla ha potuto il Palazzo di vetro per fermare conflitti come quello Ucraino o della Striscia di Gaza. Per non parlare di altri focolai come la Libia, la Siria (risolta sul campo dai jihadisti), Haiti, il Sudan e lo Yemen. Ma l’elenco potrebbe continuare. L’Onu i suoi 80 anni li dimostra tutti. E chissà che il 2025 possa sprigionare una scintilla di luce per riformare un sistema ormai paralizzato, ma di cui tutto il mondo ha un disperato bisogno.





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